« Sto guardando, mentre scrivo di Kafka, la sua fotografia a quarant’anni (la mia età): è il 1924, con ogni probabilità l’anno più dolce e pieno di speranza della sua vita adulta, e l’anno della sua morte. Il viso è affilato e scheletrico, la faccia di uno che vive a credito: zigomi pronunciati resi ancora più evidenti dall’assenza di basette; orecchie con la forma e l’inclinazione delle ali di un angelo; un’espressione intensa e creaturale di sbigottita compostezza. »
« Henderson il re della pioggia di Saul Bellow è la rigenerazione del cuore, del sangue e della salute fisica e mentale del suo protagonista. Non va tuttavia sottovalutato il fatto che la rigenerazione di Henderson avvenga in un mondo che è sí immaginato in modo completo ed esaustivo, ma non esiste. Quella visitata da Eugene Henderson non è l’Africa tumultuosa dei quotidiani e dei dibattiti alle Nazioni Unite. Non c’è traccia di nazionalismo o sommosse o apartheid. Ma perché dovrebbe esserci? C’è il mondo, e c’è anche l’io. E l’io, quando lo scrittore vi rivolge tutta la sua attenzione e il suo talento, si rivela una cosa straordinaria. »
« Sotto il dominio del comunismo sovietico alcuni dei piú originali scrittori dell’Europa orientale da me letti si sono posti in una prospettiva simile: Tadeusz Konwicki, Danilo Kiš e Kundera, ad esempio, per nominare solo tre K strisciate fuori dall’ombra dello scarafaggio di Kafka per venirci a dire che non esistono angeli incontaminati, che il male è dentro tanto quanto fuori. E tuttavia anche questa sorta di autoaccusa, nonostante il suo tono ironico e le sue sfumature, non riesce a prescindere dall’elemento del biasimo rivolto verso il regime, dall’atteggiamento morale di situare la fonte del male nel sistema anche quando esamina come il sistema contamini te quanto me. »
(da: Philip Roth, "Perché scrivere? Saggi, Conversazioni e Altri Scritti (1960-2013)", trad. Norman Gobetti, Einaudi, 2018)
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