Nel 1485, ser Bernardo Machiavelli annota nel suo libro di ricordi di aver comprato «da Filippo di Giunta, librario del popolo di Santa Lucia d'Ognisanti» due volumi, uno di diritto e uno di storia: su quest'ultimo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, possiamo tuttora leggere le annotazioni di suo figlio, Niccolò Machiavelli. Quattro anni dopo, a stipulare il contratto di affitto della nuova bottega del «librario» Filippo Giunti è il notaio Piero da Vinci, padre di Leonardo... Di Filippo Giunti e di suo fratello Lucantonio, fondatori a Firenze e a Venezia di due tra le prime e più innovative imprese editoriali della storia, avevamo finora notizie lacunose: Alessandro Barbero pone mano agli strumenti dello storico e ricostruisce il loro percorso, la dinastia cui danno vita, la rivoluzione di cui sono protagonisti. Nati in una modestissima famiglia di pannaiuoli, cresciuti in un mondo dove i «cartolai» erano iscritti all'Arte degli Speziali perché si occupavano di «carte di papiro, o pecorine, libri di carte bambagine o di capretto», Lucantonio e Filippo intuiscono le formidabili potenzialità della nuova arte della stampa e diventano tipografi, editori e vivacissimi commercianti di libri attivi tra la Serenissima, Firenze, la Francia e la Spagna. Lucantonio pubblica il primo libro - "l'Imitazione di Cristo", tuttora presente nel catalogo Giunti - nel 1489: sei anni prima che Aldo Manuzio dia avvio alla sua attività.
(dal risvolto di copertina di: "Inventare i libri. L’avventura di Filippo e Lucantonio Giunti, pionieri dell’editoria moderna", di Alessandro Barbero. Giunti, pagg. 528, € 20)
Vita dei Giunti sotto torchio
- di Andrea Kerbaker -
Nell’intensa prefazione a un suo libro oggi un po’ negletto, Gli amori difficili (che non a caso nella versione francese si chiamava Aventures) Italo Calvino si sofferma sulle tante variabili che stanno alla base dell’avventura: «un disegno geometrico, un gioco combinatorio, una struttura di simmetrie e opposizioni, una scacchiera in cui caselle nere e caselle bianche si scambiano di posto secondo un meccanismo semplicissimo». Questa variegata composizione mi torna alla mente leggendo il documentatissimo tomo di Alessandro Barbero, Inventare i libri, che nel sottotitolo parla proprio di «avventura di Filippo e Lucantonio Giunti, pionieri dell’editoria moderna»; effettivamente nel loro caso la parola mi pare calzante. I due fratelli Giunti nascono ad appena un anno di distanza poco oltre la metà del Quattrocento. Non sono ricchi, tutt’altro: la loro famiglia, di dignitosa povertà, abita da sempre nei quartieri allora periferici di Firenze. Ma, ecco la prima avventura, in quello stesso periodo accade che nella lontana Germania un certo Gutenberg inventi la stampa a caratteri mobili; che la novità si diffonda rapidissima nel resto d’Europa, e soprattutto in Italia, e che giovani brillanti come Filippo e Lucantonio possano indovinarne l’opportunità, con la felice intuizione di dedicarsi al commercio dei libri. L’attività è ricca e consente un salto sociale, che include il contatto con personaggi di grande rilievo: per esempio tra i loro clienti già nel 1485 c’è Bernardo Machiavelli, padre di un giovane promettente che all’anagrafe fa Niccolò; e il notaio fiorentino che poco dopo stipula un contratto d’affitto di una delle prime botteghe di Filippo si chiama Piero d’Antonio da Vinci, il cui figlio Leonardo è uno scienziato affermato, in quel tempo a Milano dove, tra una fortificazione e l’altra, diversifica affrescando pareti per i frati domenicani.
Certo, quella Firenze è una città fuori dall’ordinario, con un tasso di alfabetizzazione irraggiungibile nel resto del Paese; ma si può fare perfino meglio, spostandosi a Venezia, capitale mondiale della tipografia, che di lì a poco sarà rivoluzionata dal mitico Aldo Manuzio. Sempre in base a quel gusto per l’avventura, il minore dei fratelli, Lucantonio, si trasferisce presto in Laguna e lì, a soli 32 anni, all’attività di libraio affianca quella di stampatore. Tra i due fratelli inizia allora un complesso di rapporti d’affari e alleanze che li porta in breve a spartirsi una cospicua fetta di mercato per coprire le due città più importanti d’Italia. Il patto prosegue nel tempo, quando anche Filippo, a Firenze, inizia a stampare, con una divisione dei ruoli non dichiarata ma abbastanza chiara: al minore, di stanza a Venezia, le opere di argomento religioso e teologico, di più ampio mercato; al maggiore quelle umanistico-letterarie, più impegnative ma anche prestigiose. E pazienza se ogni tanto - soprattutto per quelle in greco, copiate più o meno di sana pianta - nascono contenziosi con Manuzio, che su tanti di quei testi avrebbe il privilegio: sono solo piccoli contrattempi del benessere che deriva dalla nuova posizione sociale acquisito dai fratelli e le loro famiglie con le attività librarie. In questo modo il nome Giunti, che all’inizio viene declinato in molti modi anche seguendo le fantasie e le mode, si stabilizza e diventa sinonimo di editoria cospicua e di alto livello. Le attività si moltiplicano e si fanno più lucrose e redditizie, coinvolgendo alcuni figli e nipoti, in particolare Bernardo, figlio di Filippo. Sullo sfondo, un periodo tra i più convulsi della storia d’Italia, con scenari politici e bellici in perenne movimento e vicende drammatiche che vanno dall’epopea di Savonarola al sacco di Roma del 1527, in un’alternanza di fortune e sfortune che pochi periodi storici hanno vissuto con quel ritmo. In ogni caso le aziende procedono; magari per qualche anno pubblicano meno, e i titolari le devono affidare a un congiunto, ma sempre pronti alla ripartenza. E tra le punte del loro catalogo ecco spuntare due libri fondamentali: I discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e Il principe di Machiavelli.
Anche se, per un soffio, non sono prime edizioni, ne conservano tutto il valore intellettuale. Per fare ordine in questo guazzabuglio di vicende pubbliche e private, Barbero deve mettere in campo tutte le sue competenze di storico; e infatti, avverte in una nota, «se queste pagine hanno qualche lettore che non sia uno specialista, ne approfittiamo per fargli notare quante trappole presenti la ricerca storica per chi vi si avventuri senza un corredo adeguato!». Ne ha ben donde: basti pensare che, oltre alle consuete oscillazioni tra diverse valute e sistemi di computazione, in questo caso ci si trova a combattere perfino con quelle del calendario, visto che a Venezia l’anno iniziava il 1° marzo e non a gennaio come in altre regioni d’Italia, con i relativi pasticci di datazione. Ma Barbero è anche romanziere; la sua penna corre, e molte di queste pagine, soprattutto quando non indulge troppo in elencazioni che suonano un po’ eccessive, si leggono spedite, come nei racconti di fantasia. Peccato per la mancanza di illustrazioni, che in questo caso avrebbero permesso di seguire meglio le numerose dettagliate descrizioni di frontespizi, marche editoriali, colophon e altre tecnicità, di quelle che mandano in visibilio gli addetti ai lavori ma senza immagini confondono chi se ne intende di meno.
- Andrea Kerbaker - Pubblicato su Domenica del 20/3/2022 -
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