La più preziosa e sconosciuta opera mitografica che ci sia giunta dall’età classica.
«Cadmo, figlio di Agenore e di Argiope, generò quattro figlie da Armonia, figlia di Marte e di Venere: Semele, Ino, Agave e Autonoe, e un figlio, Polidoro. Giove voleva giacere con Semele; quando Giunone lo seppe, assunse l’aspetto della nutrice Beroe, andò da lei e le suggerì di chiedere a Giove che venisse a visitarla nello stesso modo in cui andava da Giunone: “Così saprai” le disse “quale piacere si ricavi giacendo con un dio”; e così Semele chiese a Giove di venire da lei in quel modo. Giove la esaudì, arrivò accompagnato da tuoni e fulmini e Semele ne morì bruciata. Dal suo grembo nacque Libero, che Mercurio salvò dal fuoco e consegnò a Niso perché lo allevasse; in greco è chiamato Dioniso».
(dal risvolto di copertina di: Igino. A cura di Giulio Guidorizzi, Adelphi, pagg. XLIV-652, € 16 )
Brillanti «fabulae» in casa di Augusto
- Igino. Prefetto della Biblioteca Palatina a Roma e amico di Ovidio, l’erudito alessandrino ci ha lasciato un agile manuale di mitologia che sintetizza il mondo divino dei greci -
di Carlo Carena
Fra i prigionieri fatti da Cesare ad Alessandria d’Egitto nel 47 a.C. e inviati a Roma c’era un erudito, un tal Igino, che nella capitale fece fortuna, almeno nelle lettere e nelle scienze; entrato nelle grazie di Augusto, divenne prefetto della Biblioteca Palatina senza arricchirsi molto. Ovidio, esule a sua volta nelle lontane e miserabili terre del Mar Nero, si rivolge a lui come «cultore e maestro venerando degli uomini colti» e suo fedele amico, senza il quale non sa più a chi ricorrere quando ha bisogno di qualcuno che gli suggerisca un vocabolo appropriato o il nome di una località. Di questo dotto della scuola alessandrina, fatta di scienziati più che di retori, e della sua vasta produzione letteraria e scientifica ci sono giunti un trattato di astronomia e un manuale di mitologia, enciclopedia e sintesi e di tutta la popolazione del mondo divino, essenzialmente greca, specchio di un paese crocevia di diverse civiltà, della storia politica e religiosa di una stirpe guerriera e di uno spirito dinamico insaziabile: poiché i Romani, popolazione di contadini, non avevano altrettanta fantasia e i loro eroi sono piuttosto grevi e sedentari, mentre queste fabulae iginiane, sono un vortice vertiginoso di nomi di dèi, dee, eroi, eroine, cavalieri erranti e naviganti instancabili, fatti sublimi e ributtanti, belle femmine e mostri. D’altro canto, senza costoro e le loro vicende non esisterebbe il teatro tragico, nessuno avrebbe scritto l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide né scolpito le statue prodigiose del Partenone.
Trascinato lì dentro, il lettore quello della Teogonia di Esiodo e della Genesi biblica, quando si costituì la luce dal Caos delle tenebre, e allora apparvero Dolore, Menzogna, Vendetta, Paura, il Tartaro e le Furie. E da costoro e da altre entità cominciarono a nascere le divinità, e dalle divinità via via oceani e fiumi e esseri umani e Muse e mostri. Primo avvenimento epico, straordinario, la spedizione degli Argonauti nel Mar Nero. C’era fra loro il fior fiore della gioventù, Linceo dotato di tale vista da vedere anche di notte e sottoterra, Ceneo invulnerabile dalle spade, Zete e Calaide figli di Aquilone alati e con i capelli azzurri. E c’era Ercole, che neonato aveva già strozzato serpenti e poi affrontato dodici fatiche oltre ad altre “secondarie”, sopprimendo leoni e cinghiali, deviando il corso dei fiumi. Non meno epica né meno mirabile l’accolta di eroi alla guerra di Troia. Igino enumera dapprima i pretendenti di Elena moglie del re Menelao, trentasei, poi i figli di Priamo re di Troia, cinquantaquattro (pochissimi, la realtà a volte supera l’immaginazione: Marco Polo conobbe in India un re che aveva seicento figli). Il successivo calcolo fatto sadicamente da Igino degli eroi greci che assediarono la città di Priamo, e delle duecentoquarantacinque navi che li trasportarono, dura per due pagine; ma d’altra parte non mancano nemmeno di essere elencati i giovani più belli e i vincitori di gare ginniche e musicali con i rispettivi premi. Fra tanta gente, quasi tutta è coinvolta in truci, meste, o folli passioni suscitate dagli dèi impassibili.
Uomini o donne, pochissimi ne sono esenti, e la vita è un séguito di non se ne libera più, perché ne vede, ne conosce e ne impara di tutti i colori. Giulio Guidorizzi, che ne apprestò per Adelphi un’edizione nel 2000, ora riveduta e riedita, correda le 165 pagine di testo con 400 di note e con un Indice onomastico di 80. Un’opera, riconosce Guidorizzi, di scarso valore letterario ma di grande utilità per le messe di notizie che contiene e che esauriscono l’argomento, pur così ricco; frutto dell’uso di ottime fonti, di una ricerca paziente, anziché, come pur sostengono alcuni studiosi, un pasticcione pieno di errori e di fraintendimenti, composto in un latino semibarbarico. Certo è che il lettore se la gode trovando lì la statistica di un mondo immaginario dato per vero come da un antico geometra, spoglio ormai del suo valore religioso e non ancora preda dell’antropologia ma tutto abbandonato alla fantasia. Quando poi, ispirato dalla vicenda del mito, Igino lascia l’aridità dell’enciclopedista e si concede per un attimo al racconto, regala ai suoi lettori piccole perle, come nella storia di Atalanta invincibile nella corsa anche dagli uomini e inespugnabile nella sua verginità; o in quella di Orione nato dalla pelle di un toro in cui avevano orinato tre dèi e poi trasferito fra le costellazioni celesti.
L’esordio dei Miti è simile a quello della Teogonia di Esiodo e della Genesi biblica, quando si costituì la luce dal Caos delle tenebre, e allora apparvero Dolore, Menzogna, Vendetta, Paura, il Tartaro e le Furie. E da costoro e da altre entità cominciarono a nascere le divinità, e dalle divinità via via oceani e fiumi e esseri umani e Muse e mostri. Primo avvenimento epico, straordinario, la spedizione degli Argonauti nel Mar Nero. C’era fra loro il fior fiore della gioventù, Linceo dotato di tale vista da vedere anche di notte e sottoterra, Ceneo invulnerabile dalle spade, Zete e Calaide figli di Aquilone alati e con i capelli azzurri. E c’era Ercole, che neonato aveva già strozzato serpenti e poi affrontato dodici fatiche oltre ad altre “secondarie”, sopprimendo leoni e cinghiali, deviando il corso dei fiumi.
Uomini o donne, pochissimi ne sono esenti, e la vita è un séguito di tragedie o per nostra follia o per il malvolere divino. Sicché la conclusione sembra non poter essere che questa: per i mortali meglio la morte che la vita. Fra i motti dei Sette Sapienti, anch’essi qui riferiti uno per uno, quello di Biante consiste in: «Molte sono le sciagure»; quello di Periandro ammonisce: «Su tutto bisogna riflettere»; quello di Solone consiglia: «Niente di troppo». E quello di Talete garantisce: «Avrà danni chi prende moglie». Oltre a questi nostri benefattori con la loro prudenza, Igino indica pure, e con essi chiude la parata delle sue 277 favole, gli autori di utili invenzioni: un certo Belone scoprì l’ago per cucire; il centauro Chirone inventò la chirurgia e Apollo introdusse l’oculistica; la ragazza Agnodice fu la prima donna a imparare a praticare la medicina, ad Atene; Pan fece risuonare il flauto e Tirreno figlio di Ercole la tromba, ricavata da una conchiglia. E Dioniso-Bacco ci regalò il vino, a cui è meglio accondiscendere anziché opporsi come cercò di fare Licurgo re dei Traci: motivo per cui fu ubriacato e reso folle dal dio, si tagliò erroneamente un piede anziché il ceppo di una vite, uccise moglie e figlio e venne divorato dalle pantere su una montagna. Fortunatamente un altro nostro benefattore – o guastafeste, – Ceraso Etolo, introdusse poi l’uso di sorbire quella bevanda miscelata con acqua.
- Carlo Carena - Pubblicato sulla Domenica del 3/4/2022 -
Nessun commento:
Posta un commento