giovedì 12 maggio 2022

Prima della Commedia !!

Nel 1189 in Holstein un contadino ha una visione dell'aldilà, che un sacerdote mette per iscritto. Nasce così uno dei testi più originali del genere visionario, non solo per la persistenza di motivi del folklore germanico, ma anche perché il percorso di Godescalco è occasione per raccontare le storie di criminali del luogo. Immaginario dell'aldilà e vita quotidiana del Medioevo più profondo si mescolano in un testo affascinante, per la prima volta proposto al pubblico italiano.

(dal risvolto di copertina di: "Visio Godeschalchi. Il mondo e l’altro mondo di un contadino tedesco del XII secolo", a cura di Rossana E. Guglielmetti e Giorgia Puleio. Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, pagg. CLIII-248, € 52)

Il villico Godescalco s’affacciò nell’aldilà
- Le peripezie del contadino tedesco nel mondo ultraterreno, che si trovò in una brughiera, attraversò un fiume e incontrò diverse anime. Un secolo prima di Dante -
di Paolo Chiesa

Nel dicembre del 1189, nel nord di una Germania misera e primitiva, un contadino di nome Godescalco cadde in una condizione di morte apparente. Rimase in tale stato per una quindicina di giorni; poi si risvegliò, e raccontò agli astanti di essere stato nell’aldilà. Aveva conosciuto i segreti della vita oltre la morte e la topografia dei luoghi ultraterreni; aveva visto e assaporato le pene dei peccatori e le gioie dei giusti; aveva incontrato persone a lui note, di recente defunte, e ne aveva appreso il destino. Portava su di sé i segni della straordinaria avventura: i piedi erano lacerati dalle spine che aveva dovuto attraversare, la testa gli doleva per il fetore dei luoghi infernali, il fianco recava l’ustione di un lapillo di fuoco che l’aveva colpito. Passò il resto del suo tempo povero come lo era in precedenza, raccontando del suo viaggio a chi lo andava a trovare, a edificazione e ammonizione dei viventi; lo raccontò fra gli altri a un canonico della vicina Neumünster, che tornò spesso a trovarlo, prese appunti e mise per iscritto la visione. Narrazioni di questo tipo non sono rare nel Medioevo, e nel loro complesso formano un robusto genere letterario basato su una topologia comune, retroterra - incommensurabilmente più modesto per realizzazione e qualità, ma anticipatore di temi e motivi - della Commedia dantesca. La Visione di Godescalco, ora pubblicata in una nuova edizione critica e commentata, e per la prima volta in traduzione italiana, da Rossana Guglielmetti e Giorgia Puleio, è una delle meno conosciute e delle più interessanti, per l’originalità di rappresentazione, ma anche e soprattutto per il fortissimo legame con la realtà sociale del suo protagonista, che trasporta nell’aldilà vicende, timori e ossessioni del proprio mondo. La cultura più elevata del canonico narratore appiana la lingua, ma non oscura i tratti popolari del racconto, e nemmeno li edulcora in un pietismo agiografico: ne risulta un realismo spontaneo e affascinante, che prevale sulla retorica di scuola e sugli obblighi dottrinali.

Nel mondo ultraterreno Godescalco ha per guida due angeli, uno silente che gli presta aiuto nelle difficoltà, l’altro che gli dà spiegazioni sui luoghi e le persone che incontra. Si accede per degli ambienti preliminari, che tutte le anime devono attraversare: una brughiera di spine e un fiume costellato di lame. Solo i misericordiosi e i giusti possono passarli senza danno, grazie a scarpe e zattere che vengono loro fornite come sussidio; solo in parte scampa Godescalco, evidentemente non abbastanza misericordioso, che non riceverà le scarpe e si martorierà i piedi, ma potrà passare il fiume con la zattera. Superate queste prime prove si giunge al trivio fatale: qui le anime vengono smistate fra le pene infernali, le gioie paradisiache e due ambienti intermedi, destinati a chi si deve purgare o a chi è giusto, ma non perfetto. Godescalco non sarà ammesso all’empireo dei beati e all’inferno dei dannati, che percepirà soltanto a distanza; percorrerà invece la terza via, quella delle pene e delle gioie transitorie. Per i purganti la punizione è il fuoco, con gradi e durate diverse a seconda della gravità della colpa; i giusti alloggiano in edifici di tipo e misura diversi, un paradiso temporaneo che non assomiglia né a uno spazio celeste né al prato degli elisi, ma che ricorda piuttosto la piazza di un paese di campagna. La realtà terrena, si è detto, irrompe di continuo nella visione, e ne costituisce l’elemento peculiare e più suggestivo. L’incontro con precisi defunti è occasione per narrare episodi rimasti memorabili, dobbiamo supporre, nella coscienza locale, dai tradimenti dei nobili, alle scorrerie dei briganti, a clamorosi fatti di cronaca. Il più sconcertante riguarda un bambino omicida, che Godescalco vede nell’aldilà condannato a una pena modesta e di cui racconta la storia. Orfano e adottato da un’altra famiglia, il ragazzo aveva ucciso il figlio di questa per rubargli i vestiti; scoperto e condannato a morte, era stato giustiziato con il supplizio più brutale, la ruota che dilania le carni e spezza le ossa. Di fronte a una tortura così raccapricciante i genitori stessi della vittima implorano i carnefici di risparmiare il piccolo assassino; ma il prete del posto è inflessibile e l’esecuzione ha compimento, descritta nei più crudi particolari. Tutta la vicenda è raccontata con la suspense di un libro giallo, e insieme con lo sgomento di chi non ha visto tutto, ma potuto opporsi a una giustizia che riteneva disumana; la compensazione avviene nell’aldilà, dove l’assassino è solo blandamente punito con il tenue contrappasso di prestare servizio della sua vittima e di immergere periodicamente nel fuoco la mano che ha colpito. Come il grande Dante un secolo dopo, anche il piccolo Godescalco - o il canonico che gli presta la voce - parla dell’altro mondo; ma è solo la via per raccontare del mondo presente, per giudicarlo, criticarlo e desiderarlo migliore.

- Paolo Chiesa - Pubblicato sulla Domenica del 27/3/2022 -

Nessun commento: