Recentemente, sulla "London Review of Books", Fredric Jameson ha pubblicato una recensione del gigantesco romanzo di Olga Tokarczuk, "The Books of Jacob" [in italiano, "I libri di Jakub", in uscita per Bompiani] (su Jacob Frank, un leader religioso polacco del XVIII secolo che sosteneva di essere la reincarnazione del Messia), nella quale Jameson, in maniera curiosa, colloca il libro «accanto ai grandi mega-romanzi postmoderni», affiancandogli, come esempi, i libri di Thomas Pynchon, "2666" di Bolaño e "Vita, istruzioni per l'uso", di Perec.
Una recensione entusiasta che, ironicamente, sottolinea la «furbizia» del comitato responsabile del premio Nobel, che lo ha conferito a Tokarczuk prima che il mondo potesse si rendesse conto chiaramente a chi venisse dato il premio (in qualche modo, se ho capito bene il commento di Jameson, il nobel avrebbe reso più "malleabili" gli umori, rendendo così possibile la circolazione di un romanzo talmente impegnativo; e rendendo inoltre possibile anche la recensione di Jameson su una rivista così celebre).
Ci sono diversi temi cari a Jameson, che egli ritrova nel romanzo di Tokarczuk, e che di conseguenza appaiono nella recensione: (a) le metamorfosi del romanzo come genere, visto nella letteratura, prima del XX, e ora del XXI secolo; (b) la dinamica di trasmettere i concetti vedendoli nel contesto dei vari discorsi delle scienze umane (si parla di Weber e del "carisma", di Freud, nonché del "populismo"); c) le discontinuità, e la discrepanza tra tempo "naturale" e tempo "storico", tra il tempo pensato come se fosse una successione di stagioni, e il tempo pensato invece come un accumulo di fatti ed eventi (il modo in cui Adorno tratta la "storia naturale"); d) la relazione tra pensiero "utopico" e pensiero "razionale", o anche, il rapporto esistente tra il "tempo del mondo" e la dimensione messianica; fondamentale per Walter Benjamin (che viene citato nella recensione) e centrale nel romanzo.
Il grande mistero del romanzo - cosa su cui Jameson si sofferma nella sua recensione - è costituito dal mistero del credo religioso e dai suoi legami con il messianismo; e all'interno di tale questione, il modo in cui la trasformazione del discorso religioso finisce per comportare dei cambiamenti anche nel paesaggio politico (il modo in cui l'eresia si avvicina al tradimento, alla sedizione, e così via). Tokarczuk è riuscita a fare l'impossibile: a scrivere il romanzo del collettivo, sostiene Jameson nel suo finale: il «romanzo del collettivo», in quanto esso non è incentrato su un singolo personaggio - anche se si tratta di un Messia - ma piuttosto sull'«energia messianica» che lega l'individuo al collettivo, l'energia che dà connessione alle comunità, alle congiure e alle società segrete (il Messia «è qualcosa che ti scorre nel sangue», scrive Tokarczuk, citando, a sua volta, Jameson).
fonte: Um túnel no fim da luz
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