« L'Autobiografia [di Vico] è un interessante e dinamico resoconto della vita di un uomo completamente dedito alle questioni filosofiche. (...) Visse in un'amara povertà, ebbe pochi contatti con la vita che lo circondava, e durante tutta la sua esistenza, a causa di una caduta subita nell'infanzia, fu uno storpio. Il suo figlio primogenito era un criminale; tutta la sua devozione la dedicò al figlio minore, cui riuscì ad assicurare la successione della sua cattedra. Dopo questo figlio, ciò che amava di più era la sua biblioteca. Come Machiavelli, sfuggiva alle proprie miserie rifugiandosi nel mondo dei libri (...). Tutta la sua vita mancava di quello che è più caro a un saggio, la calma e la tranquillità. Era un saggio timido e ossequioso, perseguitato dalla povertà e dall'ansia, che scriveva troppo e troppo in fretta » (p. 25).
« La storia, per Vico, era una progressione ordinata (guidata dalla Provvidenza che agisce attraverso le capacità degli uomini) di forme sempre più profonde di comprensione del mondo, di modi di sentire, agire ed esprimersi, ciascuno dei quali si sviluppa dal precedente, che sostituisce. Ad ogni tipologia o cultura appartengono, necessariamente, alcune caratteristiche che non si trovano in nessun altra. Inizia così la concezione della "fenomenologia" dell'esperienza e dell'attività umana, della storia degli uomini e della vita, vista come determinata dal suo stesso modellamento, dapprima inconscio e poi progressivamente sempre più consapevole, vale a dire, del dominio della natura sia morta che viva. Nella forma che gli poi hanno dato Marx, Hegel e i loro seguaci, questa idea domina il mondo moderno, ed è per questo che Marx lodava Vico. Nel bene e nel male, egli è stato il pioniere di questa visione degli uomini e della storia » (p. 45).
(Isaiah Berlin, "Vico ed Herder. Due studi sulla storia delle idee", Armando Editore. 1978)
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