Estratto dalla recensione critica fatta da Moishe Postone, di "Spectres of Marx" di Derrida.
In "Spettri di Marx", Jacques Derrida riconosce l'importanza di una critica del capitalismo attuale, così come riconosce la forza dell'analisi di Marx. Ma essendo fin troppo consapevole delle insidie associate al marxismo tradizionale, egli sembra anche pensare che l'unica scelta rimasta sia quella di giustapporre semplicemente un'analisi marxista a quello che è il suo proprio approccio "spettrale". Per poter presentare un approccio teorico alternativo, ho bisogno di delineare brevemente gli elementi di una lettura di Marx che è molto diversa dall'interpretazione tradizionale che troviamo alla base dell'approccio di Derrida. Scopo di questa lettura non è "difendere" Marx dalla critica di Derrida, bensì fornire le basi per una teoria critica che permetta sia una comprensione socialmente e storicamente più adeguata della nuova situazione mondiale, sia soddisfare l'intento critico del concetto di spettralità di Derrida e la sua critica del marxismo tradizionale.
In questa lettura, le categorie che Marx ha usato nella sua opera matura, si riferiscono a relazioni sociali storicamente specifiche, e non possono essere comprese in termini "materiali" e trans-storici. Queste relazioni sociali, catturate per mezzo di categorie come "merce" e "capitale", non sono principalmente e soprattutto relazioni di classe (così come assumono le interpretazioni marxiste tradizionali), ma si tratta di forme particolari e quasi oggettive di mediazione sociale. Le relazioni sociali vengono costituite a partire da forme determinate di pratiche sociali, le quali esercitano una forma di vincolo "strutturale", astratto e storicamente nuovo sugli attori che le costituiscono. Non sono il mercato e la proprietà privata a costituire l'essenza del capitalismo. Pertanto, il punto di vista di una critica del capitalismo non è la produzione (industriale) e il proletariato; anzi, questa critica li considera addirittura come integrati e modellati dai rapporti sociali di base del capitalismo.
Pertanto, in un tale quadro, un possibile futuro post-capitalista non porterebbe alla realizzazione del proletariato industriale e del lavoro che esso svolge (vale a dire, alla realizzazione di un mondo industriale moderno in una forma razionale), ma porterebbe piuttosto al superamento di una struttura storicamente specifica fatta di vincoli razionali astratti, così come porterebbe anche al superamento delle forme concrete della produzione, del lavoro e, più in generale, della vita sociale storicamente modellate da questi vincoli. La teoria critica del capitalismo, nel modo in cui viene intesa secondo la formula di Marx, cioè, non come se si trattasse dell'analisi critica di una variante della società moderna - variante basata sull'opposizione di classe –, ma come analisi critica della società moderna vista nella sua stessa essenza. Qui, le categorie dell'analisi di Marx sono storicamente specifiche, nel senso che si applicano solo alla moderna società capitalista, e, nell'analisi, distinguono questa forma di vita sociale dalle altre. Eppure queste categorie sono anche le categorie generali del capitalismo. Ad un alto livello di astrazione, esse permettono la concettualizzazione dei tratti fondamentali della società capitalista e delle sue dinamiche - quei tratti che caratterizzano il capitalismo indipendentemente da qualsiasi forma storica più specifica come lo sono il capitalismo "liberale" del XIX secolo, il capitalismo "statalista" o "fordista" del XX secolo, o il capitalismo "postfordista" o "postmoderno" del tardo XX secolo. Sebbene le categorie di Marx non siano sufficienti per analizzare nessuna di queste configurazioni più specifiche, tuttavia esse forniscono il punto di partenza necessario a qualsiasi analisi di questo tipo, e per l'analisi dei processi dinamici attraverso i quali una data configurazione si trasforma in un'altra.
Storicizzando le categorie fondamentali della sua teoria critica, nella sua opera matura, Marx storicizza anche il concetto di dinamica storica. Abbandona implicitamente l'idea trans-storica secondo la quale la storia umana in generale possegga una dinamica, in favore dell'analisi della dinamica storica, e storicamente specifica, che caratterizza il solo capitalismo. Le categorie della critica dell'economia politica, così come Marx le ha formulate nella sua maturità - categorie che sono solitamente intese solo come categorie del mercato e dello sfruttamento di classe (proprietà privata) - permettono, a un alto grado di astrazione, un'analisi dei tratti caratteristici e della forza motrice di questa dinamica storicamente specifica. In definitiva, le concezioni trans-storiche della storia - sia quella degli hegeliani che quella dei marxisti tradizionali - risultano in un'affermazione della dinamica (e, correlativamente, della totalità) cui si oppongono i pensatori come Derrida. La comprensione storicamente specifica della dinamica storica delineata sopra, porta questa problematica fuori dal regno delle asserzioni metafisiche sulla natura della realtà sociale (sia totalizzante che eterogenea), e cerca di catturare socialmente un processo dinamico storicamente unico. All'interno di questa interpretazione, l'esistenza di una dinamica storica non appare come qualcosa di positivo, come una sorta di "locomotiva" dell'esistenza umana; ma viene intesa criticamente come se fosse una forma di eteronomia, come una forma di dominio del tempo astratto. Inoltre, una simile comprensione porta alla luce anche quella che è una dimensione molto importante della democrazia: l'autodeterminazione. In base a questa, la tensione tra capitalismo e democrazia non è causata solo dalle disuguaglianze strutturali legate a ricchezza e potere che il capitalismo produce e riproduce, ma anche dall'esistenza di una dinamica storica che impone importanti limiti alle possibilità strutturali di autodeterminazione.
Lungi dall'equiparare l'abolizione del capitalismo alla fine (apocalittica) della politica (una posizione che Derrida critica), quest'analisi indica un'estensione del dominio della politica come una possibile conseguenza dell'abolizione dei vincoli strutturali del capitalismo. Questo spostamento concettuale favorisce un ritorno al concetto di totalità; ma non in quanto categoria positiva, come nel marxismo ortodosso dove il problema del capitalismo viene spiegato a partire dal suo carattere irrazionale e frammentato. Qui, invece, la totalità diviene l'oggetto della critica. Questo approccio, come quello di Derrida, affronta criticamente l'omogeneizzazione e la totalizzazione. Ma questa critica non si limita semplicemente a negare l'esistenza effettiva dei processi di omogeneizzazione e di totalizzazione, ma fonda tali processi nelle forme storicamente specifiche delle relazioni sociali, e cerca di mostrare come le tensioni strutturali contenute in queste relazioni rendano possibile l'abolizione storica di questi processi stessi. Il problema centrale di molti dei nuovi approcci critici (incluso quello di Derrida) che affermano l'eterogeneità, sta nel cercare di porlo in modo quasi metafisico, negando l'esistenza di ciò che invece può essere abolito solo storicamente. In tal modo, queste posizioni che dovrebbero rendere gli uomini padroni del proprio destino, finiscono invece per assoggettarli profondamente, nella misura in cui mettono in secondo piano, e rendono invisibili, le dimensioni centrali di quello che è il dominio nel mondo moderno.
- Moishe Postone - da "La decostruzione come critica sociale: che cosa Derrida pensa di Marx e del Nuovo Ordine Mondiale". A proposito di «Spettri di Marx. Lo stato del debito, il lavoro del lutto e nuova internazionale» di Jacques Derrida, Raffaello Cortina Editore, 1994.
fonte: Palim Psao
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