I manifesti sono stati, assieme ai comizi, il principale strumento della comunicazione politica della seconda metà del Novecento. Attingendo ai diversi repertori simbolici della politica, alle avanguardie artistiche, alla propaganda bellica, alla pubblicità, al fumetto e ai linguaggi della protesta, hanno raccontato le stagioni e gli avvenimenti salienti dell'Italia repubblicana, dal ritorno alla democrazia all'avvento della seconda Repubblica, sino a oggi. Intrecciando il piano storico all'analisi del linguaggio iconografico di più di cento manifesti, realizzati dal 1945 al 2018 da alcune delle firme più importanti dell'illustrazione, della grafica e della pubblicità italiana - tra cui Dudovich, Steiner, Jacovitti, Crepax - ma anche da ignoti militanti, il volume ricostruisce l'evoluzione della grafica e della comunicazione politica seguendo il filo di parole, simboli, personaggi e slogan che hanno alimentato i sogni e le paure di milioni di italiani, rivelandone origini e significati, plagi e trasformazioni.
(dal risvolto di copertina di: Edoardo Novelli, "I manifesti politici. Storie e immagini dell'Italia repubblicana". Carocci pp. 264, € 24)
Quando parlavano i muri
- di Giovanni De Luna -
I muri hanno parlato. Per tutto il ’900 scrivere sui muri è stato uno dei principali strumenti per gridare idee, rabbie, speranze, desideri e frustrazioni. Sui muri venivano incollati anche i manifesti che a quelle grida davano una forma, rinchiudendole in un formato standard, 70x100 centimetri, e arricchendole con una immagine eloquente almeno quanto il testo al quale si accompagnava. E proprio ai manifesti politici che quei muri «facevano parlare» Edoardo Novelli ha dedicato il suo nuovo libro, Manifesti politici, storie e immagini dell’Italia repubblicana (Carocci, pp. 264, € 24): sono 100 e attraversano tutta nostra storia a partire dal 1946; un percorso in cui la suggestione delle immagini cattura lo spirito del tempo, restituendoci il sapore di una politica che si lascia guardare con un velo di nostalgia.
Un poster riciclato
Ognuna delle fasi che hanno scandito la nostra storia repubblicana viene riproposta con il proprio linguaggio, in una carrellata in cui le invettive reciproche che arroventavano la Guerra fredda lasciano il posto alla fantasia sfrenata degli «anni ‘68» per arrivare fino agli slogan «pubblicitari» che accompagnano l’iconografia dell’Italia «da bere» degli anni 80: anticipando così la grande slavina di Tangentopoli e della crisi istituzionale che provocò lo sconquasso del biennio 1992-1994.
Il percorso, però, propone anche impennate interpretative che rompono la crosta del puro «rispecchiamento» e, in qualche caso, sottolineano alcuni nodi storiografici raccontandoli con uno stile tanto seduttivo quanto efficace. È così, ad esempio, per il tema della «continuità» tra fascismo e Italia repubblicana, una questione sulla quale si è acceso un dibattito storiografico affollato da interpretazioni contrastanti: da un lato chi sottolineava nell’avvento della democrazia e del pluralismo politico i segni di una drastica rottura con il ventennio mussoliniano; dall’altro chi enfatizzava gli aspetti sociali, istituzionali e culturali di una continuità che aveva visto l’Italia ereditare dal passato strutture, quadri mentali e assetti di potere, transitati intatti attraverso il crollo del fascismo per riciclarsi senza molta fatica nel nuovo Stato repubblicano.
Proprio in questo senso Novelli ci offre un esempio folgorante della continuità, pubblicando due opere firmate da Manlio D’Ercoli, un illustratore già molto attivo durante il Ventennio: il manifesto fascista del 1942 (dedicato alla Gioventù italiana del Littorio) e quello usato dalla Democrazia cristiana nel 1946 (nella campagna elettorale per la Costituente e per il referendum Monarchia/Repubblica) sono identici, riproducono lo stesso giovane che però la propaganda democristiana ha svestito della camicia nera (diventata azzurra), sostituendo anche il fucile modello ’91 che lo affiancava con i più rassicuranti simboli del lavoro contadino (la zappa e la vanga).
Il Pci nel blu dipinto di blu
Ma i manifesti proposti da Novelli non si limitano a recepire lo scontro ideologico o i temi politici che caratterizzano le varie campagne elettorali. Così colpisce, in pieno boom economico, l’irruzione, nel mondo solitamente plumbeo della propaganda del Pci, di un esplicito riferimento a «Volare», la canzone (Nel blu dipinto di blu) di Migliacci e Modugno che nel 1958 stravinse il Festival di Sanremo, mandando in soffitta definitivamente il sentimentalismo dolciastro di Nilla Pizza e Claudio Villa: il manifesto comunista affisso sui muri per le elezioni politiche proprio del 1958 («Troppo in alto, dal blu dipinto di blu facciamolo scendere giù») prende di mira Fanfani e la DC, strizzando l’occhio alla novità di una musica (rhythm and blues) molto americana. E colpisce ancora di più la dimensione colta del linguaggio del movimento studentesco («Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace») che si avvale di una citazione di Tacito in un manifesto pacifista che certifica le caratteristiche universitarie del suo retroterra culturale.
La stagione populista
L’aspetto più suggestivo della raccolta è quello che evidenzia il progressivo affievolirsi della capacità della politica di imporre il proprio linguaggio (mutuato dai programmi e dalle ideologie che ispiravano i partiti novecenteschi) insieme con la crescita costante di un mercato che - attraverso la pubblicità - è diventato sempre più invasivo, fino a sostituirsi alla politica (e siamo già alla fine del ’900) nel definire i comportamenti e le scelte esistenziali degli italiani. In alcuni casi il collegamento pubblicità-propaganda politica è esplicito; in altri è mediato dall’uso di altri linguaggi come i fumetti (con firme di autori famosi, da Crepax a Jacovitti); in altri ancora sfrutta (la Forza Italia di Berlusconi) la seduttività degli slogan elaborati dal marketing.
Gli ultimi esemplari ci introducono infine alla stagione populista della nostra politica che significativamente parte dai manifesti leghisti degli anni 90 («Lumbard tas»), improntati a un vittimismo in quella fase vincente, passando attraverso l’«Italia dei valori» di Di Pietro e culminato nella vertiginosa ascesa elettorale dei «5 stelle». Nel frattempo, però, il manifesto politico ha perso la sua tradizionale incisività e l’avvento dei social ha fatto il resto. Oggi i muri tacciono, in un silenzio rotto solo da enormi cartelloni pubblicitari fatti per essere guardati non più dai militanti e dagli elettori novecenteschi ma dai consumatori e dai frequentatori del web. Un passaggio di testimone è avvenuto.
- Giovanni De Luna - Pubblicato sulla Stampa del 26/11/2021 -
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