lunedì 6 dicembre 2021

«La calamita ama il ferro»

Isaiah Berlin insiste sull'importanza di «separare il grano dalla pula» nell'opera di Vico; distinguendo i momenti di rapimento fantasioso da quelli di genio e originalità. Riuscire a farlo, è difficile a causa dell'ambivalenza degli scritti di Vico, del suo stile barocco, e della reiterazione, a volte contraddittoria, delle idee (una sorta di auto-applicazione delle nozioni di corsi e ricorsi, e forse dell'evocazione a spirale della storia). Vico confuta l'idea di una traduzione senza residui e, allo stesso tempo, difende simultaneamente anche l'ineluttabilità delle traduzioni, dei passaggi, degli adattamenti, delle reiterazioni, delle ripetizioni. E non tanto del contenuto di ciò che viene tradotto, ma proprio dell'imperativo stesso del gesto traduttivo: la materia si trasforma, e non tutto ciò che è in greco può essere reso, ipsis litteris, in latino, ma il gesto di promuovere la trasformazione rimane sempre lo stesso. Ci sono somiglianze, echi e paralleli, ma non esiste un'identità centrale che possa permanere nel tempo e nello spazio (Vico rifiuta il principio "illuminista" delle verità eterne e inalterabili, e anche l'idealismo "neoplatonico" di parte del Rinascimento; sebbene riconosca, in maniera ambivalente, l'azione di una forza divina superiore). Ed è questo che permette a Dante - per Vico - di essere una sorta di nuovo Omero, senza però che la sua opera sia, di fatto (senza residui o differenze), una ripetizione dell'epica greca: si tratta di due epoche dominate dai "sacerdoti"; gli dei dell'Olimpo sono sostituiti da santi cristiani; la lingua poetica viene mobilitata in quanto strumento di coesione comunitaria, al di là della centralità istituzionale (il passaggio dal latino al volgare in Dante; l'agglutinazione di diverse esperienze "regionaliste" finalizzate a un tutto "greco" in Omero). Con Vico, così acquista rilievo anche una nozione molto particolare di "filologia", vale a dire, la percezione che la storia della lingua è la storia degli individui che usano la lingua, che non viene più pensata come qualcosa di statico e di immutabile, ma piuttosto viene vissuta come mutevole, oscillante, fatta di strati eterogenei di significato. Il modo in cui il linguaggio viene usato, si ripercuote pertanto sul modo in cui vediamo organizzate la religione, il diritto, la vita sociale, l'organizzazione militare, i legami familiari e così via (quando si trova davanti a un'espressione come «la calamita ama il ferro», Vico riflette sul fatto che ciò non indica necessariamente un uso metaforico o "poetico" del linguaggio: si rende necessario comprendere il contesto generale del linguaggio all'interno del quale questa specifica espressione - che può essere comune, banale -  è stata inserita). 

fonte: Um túnel no fim da luz

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