Capitalismo post-pandemico: «Dobbiamo ripensare il concetto di valore» !!??
Mariana Mazzucato: «Tutto [...] suggerisce che il rapporto tra pubblico e privato si sia interrotto. Per porvi rimedio, bisogna occuparsi di un problema più serio: la mancanza di comprensione del concetto di valore. [...] L'attuale concetto di valore ha delle enormi implicazioni sul modo in cui le economie sono strutturate. Esso influenza il modo in cui le organizzazioni sono gestite e le attività sono contabilizzate, quali settori sono prioritari, il modo in cui le attività del governo e dello Stato vengono percepite e come la ricchezza nazionale viene misurata. Per esempio, il valore generato dall'istruzione pubblica, allorché essa è gratuita, non si riflette nel prodotto interno lordo di un paese; ma il costo degli stipendi degli insegnanti sì. È pertanto naturale che si parli di "spesa" pubblica, quando invece in realtà si tratta di investimenti pubblici. [...] Per riuscire cambiare lo status quo, dobbiamo perciò trovare una nuova risposta alla domanda "Che cos'è il valore?". È essenziale riconoscere in che misura e quale livello di creatività viene investito in esso da una vasta gamma di quelli che sono attori diversi nell'economia; e non solo le imprese, ma anche i dipendenti e gli enti pubblici. Per troppo tempo è stato dato per scontato che il principale responsabile dell'innovazione e della creazione di valore sia il settore privato; e che a partire da questo possa perciò rivendicare i benefici che ne derivano. Ma ciò non è vero. Le medicine, Internet, le nanotecnologie, l'energia nucleare, le energie rinnovabili: tutte queste cose sono state sviluppate grazie a enormi investimenti pubblici e a partire dall'assunzione di rischi sulle spalle di innumerevoli lavoratori; e attraverso infrastrutture e istituzioni pubbliche. Riconoscere l'enorme contributo di un tale sforzo collettivo renderebbe più facile remunerare in maniera adeguata tutti i risultati e distribuire in maniera più equa i profitti dell'innovazione. Il cammino che porta a una partnership più simbiotica tra istituzioni pubbliche e private, comincia con il riconoscere che la creazione di valore è uno sforzo collettivo. Oltre alla necessità di ripensare il concetto di valore, le aziende devono dare priorità agli interessi a lungo termine di tutte le parti interessate, rispetto a quelli a breve termine degli azionisti. Nel contesto della crisi attuale, si tratta di sviluppare una sorta di "vaccino del popolo" contro la Sars-Cov-2, accessibile a tutti nel mondo. Lo sviluppo di nuovi farmaci va regolato in modo da incoraggiare la cooperazione e la solidarietà tra paesi e popoli, sia durante la fase di ricerca e sviluppo sia quando arriva il momento di distribuire il vaccino. I brevetti dovrebbero essere messi in comune tra università, istituti di ricerca pubblici e aziende private, in modo che la conoscenza, i dati e la tecnologia possano fluire liberamente in tutto il mondo. Senza tutto questo, c'è il rischio che un monopolio produca e venda il vaccino anti-corona a un prezzo elevato; come se si trattasse di una sorta di prodotto di lusso che solo i paesi e gli individui più ricchi possono permettersi.» (Mariana Mazzucato, da "Kapitalismus nach der Pandemie", Blätter für deutschen und internationale Politik, dicembre/2020.).
Robert Kurz: «Non bisogna [...] farsi ingannare da questa confusione ideologica sovralimentata. Le folli oscillazioni che saltano da un polo all'altro, non possono nascondere il fatto che si tratta di una semplice inversione dei poli all'interno dello stesso quadro di riferimento, vale a dire, all'interno dello stesso continuum storico dei moderni sistemi di produzione di merci. Il vecchio modello funziona ancora secondo i vecchi requisiti categoriali e ideologici. Tutto è ancora lì come prima: un'immagine astratta-generale che vede l'uomo al di fuori della storia, l'idea di giustezza, la democrazia, le categorie del mercato e la politica. Ciò che è cambiato, è la valutazione dei requisiti [...] Nella misura in cui la democrazia politica appare identica alla libertà del mercato, ecco che la pretesa politica di pianificare in contrapposizione alle categorie economiche ricade sotto la critica, come se si trattasse di una hubris soggettiva. L'etica democratica non deve più essere realizzata a partire dal "primato" delle rivendicazioni di pianificazione politica, ma in quanto "etica economica", direttamente in seno alla categorie del mercato stesso. [...] Ai fini di una critica di queste categorie di base, diventata necessaria proprio per la sopravvivenza [...] non può più esserci alcun ritorno alla vecchia costellazione dell'etica democratica. Un'abolizione di quella che è la costituzione feticcio del sistema produttore di merci, non può avvalersi di nessuna nozione di 'giustizia' [...], come criterio. Difatti, l'etica democratica è sempre stata una mera stampella di fortuna, per poter zoppicare tra gli imperativi vicendevolmente contraddittori di interessi finanziari particolari e nudi, da un lato, e una coesistenza sociale socialmente e legalmente regolata di tali soggetti particolari (nella loro forma di "lupo"), dall'altro. Il sistema di riferimento non è mai stato lo scambio comunicativo tra soggetti, ma fin dall'inizio si è trattato del processo automatico, senza soggetto, della valutazione astratta del valore. Solo in un simile sistema feticista, l'etica e la giustizia hanno un senso. L'apparire di un'esigenza di una regolamentazione soggettiva per mezzo di imperativi etici, non avrebbe potuto avvenire fino a quando l'accumulazione del capitale continuava a possedere ancora un ambito storico di sviluppo, e quindi sempre un certo margine di distribuzione. Al raggiungimento di questo limite interno assoluto, invece, questa possibilità viene meno. [...] L'appello alla giustizia deriva dal concetto di soggettività giuridica funzionale, perfino nel suo stesso nome. Un "diritto" alla vita, al cibo, all'alloggio, ecc. è in sé tuttavia assurdo; esso ha senso solo in un quadro sociale di riferimento che, conformemente alla sua tendenza, non dà per scontati tutti questi fondamenti elementari della riproduzione umana, ma che, al contrario, li mette costantemente in discussione in modo oggettivo. [...] È tale contesto a guidare l'etica democratica, e quindi la richiesta di giustizia ad absurdum. La pretesa ideologica della realizzazione di un "vero" essere umano astratto è diventata irrilevante dal momento che la sua sostanza storica, l'essere umano "puro" del sistema totale della merce, è ora effettivamente stabilito, e allo stesso tempo cessa di essere un essere umano. [...] La paura dell'assenza di giustizia si dissolve con il sistema di produzione della merce. [...] Il compito è ora quello di riorganizzare socialmente le forze produttive e le risorse esistenti secondo le norme del loro contenuto sensibile, vale a dire, di liberarle dalla loro forma di feticcio della merce. Questo può essere fatto solo se le risorse non assumono più la forma di prezzi monetari, e se la coesistenza non prende più la forma del diritto, vale a dire, della giustizia o dell'ingiustizia».
Robert Kurz, "Die Aufhebung der Gerechtigkeit" (1992), Weltkrise und Ignoranz. Kapitalismus im Niedergang, Edition Tiamat, Berlino 2013.)
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