L'antisemitismo "secondario" ossia «a causa di Auschwitz»
di Bruno Quélennec - 10/11/2021
La varietà e la molteplicità delle accuse contro gli ebrei impone una costante rielaborazione dei concetti usati per caratterizzarli. A partire da qualche anno, la nozione di «antisemitismo secondario», o di «antisemitismo del rifiuto del senso di colpa», si è imposta nel caratterizzare quelle nuove forme di ostilità antiebraica che fanno riferimento alla Shoah per negarla, per relativizzarla, per invertire la responsabilità, ecc. Questo testo del filosofo Bruno Quélennec, scritto per K., mira a chiarire questa nozione così importante ai fini della comprensione dell'antisemitismo contemporaneo [*1].
Sconosciuto in Francia, il concetto di «antisemitismo secondario» (Sekundärer Antisemitismus) o di «antisemitismo del rifiuto del senso di colpa» (Schuldabwehr-Antisemitismus) è invece d'uso corrente negli studi in lingua tedesca sulla giudeofobia contemporanea [*2]. Questo tipo di ostilità antiebraica, è spesso descritto a partire da una formula che viene attribuita allo psicanalista israeliano Zvi Rex: «I tedeschi non perdoneranno mai gli ebrei per Auschwitz». Paradossalmente, la Shoah darebbe ai tedeschi una nuova ragione per odiare gli ebrei, poiché l'esistenza di questi ultimi ricorda ai primi i crimini da essi stessi commessi in loro nome durante il Terzo Reich. Questo antisemitismo - non «nonostante, ma a causa di Auschwitz» [*3] - si manifesterebbe in diversi modi: tramite l'incapacità di riconoscere qualsiasi forma di responsabilità collettiva per la Shoah; con la negazione o con la relativizzazione dello sterminio; con il rifiuto della sua commemorazione; e con la tendenza a invertire i ruoli di carnefici e di vittime.
La "matrice" dell'antisemitismo secondario (P. Schönbach, T. W. Adorno)
Il concetto di antisemitismo secondario venne usato per la prima volta dal sociologo Peter Schönbach nel 1961, in un lavoro di psicologia sociale nel quale sosteneva che gli atteggiamenti antiebraici tra le giovani generazioni in Germania non erano basati tanto su una convinzione nazionalsocialista «autentica», quanto piuttosto su una «appropriarsi» dei pregiudizi nazisti del «padre» [*4]. Nella ricerca attuale, quest'idea di un antisemitismo «di seconda mano», che si trasmette nella sfera familiare, viene spesso confusa con la nozione, costruita da Theodor W. Adorno, di «antisemitismo del rifiuto del senso di colpa»: a partire da un'analisi qualitativa di tutta una serie di interviste di gruppo condotte alla fine degli anni '40 (intitolata Schuld und Abwehr) [*5], il filosofo aveva scoperto che la maggior parte degli intervistati non rivendicava in alcun modo l'ideologia nazista, riconoscendo l'orrore della politica del regime... ma non voleva però essere ritenuto colpevole. Messi di fronte alla critica (fittizia) del soldato americano "Colburn", che aveva dichiarato in una lettera (anch'essa fittizia) che nel dopoguerra i tedeschi erano rimasti ancora oltremodo ostili agli ebrei e rifiutavano di assumere qualsiasi responsabilità per i crimini nazisti [*6], molti degli intervistati avevano respinto senza riserve questa accusa [*7]. Di certo, questi riflessi difensivi non erano di certo antisemiti in sé, ma Adorno mostrava che potevano servire come base per una ricostituzione dell'ostilità antiebraica: se i tedeschi non sono responsabili o colpevoli, l'occupazione alleata, i programmi di "rieducazione", i risarcimenti da pagare, i bombardamenti subiti, perdevano la loro legittimità. Tutti questi fenomeni potevano quindi essere visti come attacchi ingiustificati al popolo tedesco, che veniva spesso presentato dagli intervistati come un collettivo composto principalmente di "innocenti" e "vittime" del terrore nazista (e sovietico). In questo quadro interpretativo, gli ebrei potevano essere oggetto di accuse di natura antisemita: per esempio, veniva denunciata l'illegittima "pressione" morale, politica e finanziaria che da parte loro sarebbe stata esercitato sulla Germania, attraverso l'intermediazione degli Alleati, insieme anche al loro presunto controllo sul mercato nero nell'immediato dopoguerra [*8].
Per spiegare un simile genere di reazione, Adorno mobilitava i concetti psicoanalitici di «rifiuto del senso di colpa» e di «proiezione aggressiva» [*9]: il senso di colpa, quando non viene elaborato consapevolmente, verrebbe bloccato e proiettato verso l'esterno (cioè verso gli alleati, gli ebrei, gli sfollati, ecc.) Queste "strategie" più o meno inconsce di auto-disculpazione non sempre si trovano correlate a una storia di compromesso attivo con il regime: piuttosto, si tratta della combinazione di un senso di colpa "latente" e di un'identificazione "cieca" con la "nazione" che va a costituire quelle condizioni necessarie e sufficienti per questo tipo di riflessi potenzialmente antisemiti. Mentre lo studio di Schönbach sottolineava la questione della trasmissione intergenerazionale del pregiudizio, attraverso la figura del padre, i cui figli desideravano mantenere un'immagine "pura", Adorno descriveva un meccanismo simile, concentrandosi sul rapporto dell'individuo con la patria. Per entrambi gli autori, gli ingredienti della matrice dell'«antisemitismo secondario» sono pertanto un «complesso di colpa» (a livello individuale e psicologico), un riflesso di difesa di gruppo (a livello sociologico) e il nazionalismo (a livello ideologico e politico). Dal momento che la Shoah costituisce un ostacolo insormontabile per lo sviluppo di qualsiasi tipo di orgoglio, ecco che allora la responsabilità dello sterminio dev'essere negata, relativizzata, aggirata, compensata, affinché il suo peso non gravi più sulla coscienza individuale, familiare o nazionale. Ed è spesso nel contesto di questi tentativi di auto-disculpazione che si riattivano gli stereotipi antiebraici.
La "semantica" dell'antisemitismo secondario (W. Bergmann)
A partire dagli anni '80, il concetto di antisemitismo secondario è stato riformulato e rielaborato dal sociologo del Centro di ricerca sull'antisemitismo di Berlino, Werner Bergmann, il cui lavoro è stato ispirato più dalla teoria luhmanniana dei sistemi, che da Schönbach e da Adorno. In un articolo del 1986 scritto insieme a Rainer Erb [*10], Bergmann rappresenta la RFT del dopoguerra come una doppia realtà contraddittoria: mentre l'espressione dell'antisemitismo er proibita nello spazio pubblico, i pregiudizi antiebraici circolavano ancora ampiamente nella sfera privata e familiare. Secondo i due sociologi, la non espressione dell'antisemitismo costituiva allora la condizione di possibilità della "comunicazione pubblica". Questo ha permesso così sia la rifusione dello Stato tedesco occidentale, costruito sul mito di una rottura netta con il nazionalsocialismo, sia l'integrazione di questo Stato nella comunità internazionale del "mondo libero". Una conseguenza di questa doppia realtà sarebbe che l'espressione pubblica dell'antisemitismo moderno sarebbe stata sostituita da altre forme di giudeofobia, meno soggette a censura. L'antisemitismo secondario è stato quindi concepito qui non tanto come una nuova "matrice" ancorata in un "complesso di colpa" post-Shoah, quanto piuttosto come una nuova semantica che ha permesso l'espressione dell'ostilità antiebraica nel nuovo contesto del suo tabù sociale e politico.
In un articolo del 2007, W. Bergmann ha ricostruito le quattro forme principali di articolazione. Prese separatamente, queste diverse "strategie discorsive" non sono sempre necessariamente antisemite; è la loro convergenza a realizzare la semantica dell'antisemitismo secondaria [*11] :
* - La negazione della Shoah o la sua relativizzazione: qui c'è tutto uno spettro di opzioni che vanno dal negazionismo puro e semplice alla comparazione della Shoah con altri massacri, per contestarne il carattere eccezionale.
* - Il "conto" (Aufrechnung): W. Bergmann distingue due sottotipi: a) presentare gli ebrei come corresponsabili della Shoah o come un collettivo di "carnefici"; b) costruire il collettivo nazionale (tedesco) come un collettivo di "vittime" della seconda guerra mondiale.
* - Rifiuto di affrontare l'argomento: qui il sociologo si riferisce alle richieste di «tracciare una linea sopra il passato», in modo da porre fine alla «cultura del pentimento» e ristabilire così un rapporto "normalizzato" con il passato nazionale (un discorso che oggi si sente regolarmente provenire dal partito di estrema destra Alternative für Deutschland, ma non solo).
* - Discredito morale: W. Bergmann si riferisce qui all'idea diffusa che vuole la memoria della Shoah sistematicamente "strumentalizzata" al servizio di interessi finanziari e politici, che sono quelli di una cosiddetta "lobby ebraica" e/o dello Stato di Israele.
Trans-nazionalizzazione dell'antisemitismo secondario?
Ci si può interrogare da un punto di vista temporale, su quali siano i limiti della nozione di antisemitismo secondario (è rilevante per poter comprendere la giudeofobia tedesca al di là della generazione dei "boia" e dei loro figli? Il riconoscimento ufficiale dei crimini nazisti da parte della RFT e l'integrazione di una memoria "negativa" nell'identità nazionale tedesca "occidentale" sconvolge la "matrice" antisemita del dopoguerra?); e da un punto di vista spaziale (la nozione di antisemitismo secondario è "esportabile" in altri contesti nazionali, e in particolare in Francia? Tuttavia, possiamo anche chiederci se la globalizzazione della memoria della Shoah a partire dagli anni 2000 (si pensi a organizzazioni come l'IHRA) non sia stata accompagnata da un processo di trans-nazionalizzazione di questo tipo di ostilità antiebraica. L'antisemitismo «a causa di Auschwitz» non è stato in gran parte slegato dalle ideologie nazionaliste degli ex paesi "boia"? Non costituisce forse un «codice culturale» (Shulamit Volkov) integrato in una visione del mondo più ampia e a sua volta globalizzata, costruita in opposizione all'«Occidente liberale» e a quello che viene visto come il suo "imperialismo" culturale (e memoriale)? Non possiamo dunque trovarlo oggi quasi tanto "a sinistra" quanto "a destra"?
Certamente, gli elementi della semantica dell'antisemitismo secondario ricostruita da Bergmann circolano in tutto il mondo e si trovano «a destra» come «a sinistra» [*13]. Essi costituiscono ormai un «repertorio discorsivo» per i numerosi attori che attaccano - per varie ragioni - la memoria della Shoah. Ma allo stesso modo in cui non tutte le critiche al cosiddetto «abuso della memoria» (Tzvetan Todorov) sono antisemite, non tutto l'antisemitismo "memoriale" è necessariamente "secondario". Alcuni elementi semantici sparsi da soli non "fanno" la sindrome di antisemitismo «a causa di Auschwitz». Suggerisco quindi di non separarli dalla matrice specifica scoperta da Schönbach e Adorno. Secondo questa ipotesi, perché esista l'antisemitismo secondario, gli attori che mobilitano questa semantica devono identificarsi in qualche modo con il collettivo criminale: è per questo che troveremo la giudeofobia definita in questo modo tendenzialmente all'estrema destra. Alcuni di coloro che pensano, soprattutto in Francia, che la memoria della Shoah prende «troppo spazio» rispetto a quella della schiavitù, della colonizzazione o della Resistenza possono essere antisemiti. Ma non sono «secondariamente antisemiti» nel senso dato qui a questa nozione, nella misura in cui il gruppo che cercano di difendere non era "rappresentato" (ma al contrario, talvolta perseguitato) dal governo di Vichy o dalla Germania nazista. Mentre la semantica è simile, la matrice rimane diversa.
- Bruno Quélennec - Pubblicato il 10/11/2021 su K! Les Juifs. l'Europe, le XXI siécle -
NOTE:
[*1] - Questo testo è una versione abbreviata di un articolo pubblicato sulla rivista Cités, "L'antisémitisme: permanence et métamorphoses", 2021/3 (No. 87), e di una nota pubblicata nell'agosto 2020 sul sito del "Cercle de la LICRA".
[*2] - In questo testo, faccio uso dei termini "antisemitismo" e "giudeofobia" come sinonimi.
[*3] - Henrik M. Broder, Der ewige Antisemit. Über Sinn und Funktion eines beständigen Gefühls, Frankfurt/M., Fischer, 1986, p. 11.
[*4] - Peter Schönbach, Reaktionen auf die antisemitische Welle im Winter 1959/1960, Frankfurt/M., Europäische Verlangsanstalt, 1961, p. 80.
[*5] - Theodor W. Adorno, "Schuld und Abwehr. Eine qualitative Analyse zum Gruppenexperiment" (1955), in Theodor W. Adorno, Soziologische Schriften II.2, Frankfurt/M., Suhrkamp, 2017, pp. 121-324.
[*6] - Ibidem, pp. 142-143.
[*7] - Questi risultati sono coerenti con quelli delle indagini dello stesso periodo. Vedi Werner Bergmann, "'Störenfriede der Erinnerung'. Zum Schuldabwehr-Antisemitismus in Deutschland", in Klaus-Michael Bogdal, Klaus Holz, Matthias N. Lorenz (eds.), Literarischer Antisemitismus nach Auschwitz, Stuttgart, J. B. Metzler, 2007, p. 15.
[*8] - Theodor W. Adorno, "Schuld und Abwehr", op. cit. p. 251f.
[*9] - Ibidem, p. 147.
[*10] - Werner Bergmann e Rainer Erb, "Kommukationslatenz, Moral und öffentliche Meinung. Theoretische Überlegungen zum Antisemitismus in der Bundesrepublik Deutschland", Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, Vol. 38, No. 2, 1986, pp. 223-246.
[*11] - Werner Bergmann, "'Störenfriede der Erinnerung'", art. cit.
[*12] - Vedi su queste diverse questioni la nota per il "Cercle de la Licra" e l'articolo pubblicato su Cités. In quest'ultimo testo, ho suggerito che sarebbe bene includere l'antisemitismo secondario tra le "componenti" della giudeofobia contemporanea nei rapporti annuali della Commission Nationale Consultative des Droits de l'Homme (CNCDH), accanto ad "antisemitismo classico", "antigiudaismo" e "anti-israelismo".
[*13] - Va notato di sfuggita che non tutti gli elementi semantici dell'antisemitismo secondario provengono dalla Germania: la negazione dell'Olocausto è in qualche misura un'invenzione "francese", e la letteratura sulla cosiddetta "industria dell'Olocausto" (Norman Finkelstein) è stata prodotta principalmente negli USA.
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