sabato 18 dicembre 2021

Inversioni…

Il "dominio della cosa sull'uomo".
- di Sandrine Aumercier e Frank Grohmann, dicembre 2021 -

«Di fatto, il dominio dei capitalisti sugli operai non è altro che il dominio delle condizioni indipendenti del lavoro, indipendenti dall'operaio (condizioni di cui fanno parte, oltre alle condizioni oggettive del processo di produzione, ossia i mezzi di produzione, anche le condizioni oggettive relative alla conservazione e all'efficienza della forza lavoro, cioè gli alimenti), e perfino sull'operaio stesso, sebbene questo rapporto si realizzi solamente nel processo di produzione reale, che, come abbiamo visto, è essenzialmente un processo di produzione di plusvalore, il quale implica la conservazione del valore precedente, cioè un processo di auto-valorizzazione di quel capitale che è avanzato al capitalista.
Nella circolazione, il capitalista e l'operaio si incontrano solo in quanto venditori di merci, ma a causa della natura specificamente polare del genere di merci che si vendono l'un l'altro, l'operaio entra necessariamente nel processo di produzione come un elemento del valore d'uso, un elemento dell'esistenza reale e dell'essenza-valore del capitale, sebbene sia solo all'interno del processo di produzione che questo rapporto si realizza, e che il capitalista - il quale all'inizio esiste come acquirente di lavoro, solo potenzialmente - diventa un capitalista reale; vale a dire che lo diventa solo quando il lavoratore, che all'inizio è solo un potenziale salariato attraverso la vendita della sua forza-lavoro, attraverso questo processo, passa realmente  sotto il comando del capitale.
Le funzioni che esercita il capitalista, non sono altro che le funzioni stesse del capitale - del valore che si valorizza succhiando il lavoro vivo - esercitate con coscienza e volontà. Il capitalista funziona solo in quanto capitale personificato, capitale in quanto persona, così come l'operaio funziona solo come lavoro personificato, che gli appartiene come supplizio, come sforzo, ma che appartiene al capitalista come sostanza che crea e accresce la ricchezza, allo stesso tempo in cui appare come tale, anzi, proprio come elemento incorporato al capitale nel processo di produzione, come suo fattore vivo e variabile. Il dominio del capitalista sull'operaio equivale quindi al dominio della cosa sull'uomo, del lavoro morto sul lavoro vivo, del prodotto sul produttore, poiché le merci, che diventano mezzi di dominio sui lavoratori (ma solo in quanto mezzi di dominio del capitale stesso), sono dei meri risultati del processo di produzione, i prodotti di tale processo. È assolutamente lo stesso rapporto, inscritto nella produzione materiale, nel processo della vita sociale reale - poiché è questo il processo di produzione - simile a quello che si vede nel campo ideologico con la religione: l'inversione del soggetto in oggetto e viceversa.
Storicamente, questa inversione appare come il punto di passaggio obbligato per imporre la creazione della ricchezza in quanto tale, vale a dire, quelle spietate forze produttive del lavoro sociale, che da sé sole possono costituire la base materiale di una società umana libera, a scapito dei tanti. Si deve passare per questa forma antitetica, allo stesso modo in cui l'uomo deve prima organizzare religiosamente le sue forze spirituali in relazione a sé stesso come se fossero potenze indipendenti. È questo è il processo di alienazione dal proprio lavoro. In questa prospettiva, l'operaio si trova immediatamente in una posizione migliore del capitalista, perché il capitalista ha le sue radici in questo processo di alienazione, e in esso trova una soddisfazione assoluta, mentre l'operaio, sua vittima, è da subito in una relazione di ribellione, vivendola come un processo di asservimento. Nella misura in cui il processo di produzione è allo stesso tempo un processo di lavoro reale e in cui il capitalista, come supervisore e direttore di questo processo, deve svolgere una funzione nella produzione reale, ecco che allora la sua attività acquista un contenuto specifico e vario. Mentre il processo di lavoro in sé appare solo come il mezzo del processo di valorizzazione, così come il valore d'uso del prodotto appare solo come il supporto del suo valore di scambio. L'auto-valorizzazione del capitale - la creazione di plusvalore - è pertanto lo scopo determinante, dominante e globale del capitalista, l'impulso e il contenuto assoluto della sua attività, ma di fatto è solo l'impulso e lo scopo razionalizzato del creatore di tesori; un contenuto assolutamente povero e astratto, che del resto fa apparire il capitalista altrettanto sottomesso alla schiavitù della relazione di capitale quanto lo è l'operaio, sebbene sia al suo polo opposto
».

(da: Karl Marx, "Resultate des unmittelbaren Produktionsprozesses. Das Kapital, I. Der Produktionsprozess des Kapitals. VI. Kapitel", Archiv sozialistischer Literatur, 17, Verlag Neue Kritik Frankfurt, 1970 [1969], pp. 19-21.)

Questo estratto di Marx, tratto dal poco noto lavoro preparatorio per il Capitale - del quale non sappiamo ancora se esista una traduzione francese, dato che il testo è stato solo parzialmente tradotto [*1] - è un pezzo superbo che ci mostra il palesarsi di un "Marx esoterico" nel contesto di un discorso fatto da un "Marx essoterico" (Robert Kurz) [*2]. Il Marx esoterico è quello che si dedica a svelare la logica interna alle categorie effettive del capitalismo - valore, denaro, lavoro, merce. Il "Marx essoterico" perde il filo di questa articolazione, e finisce qui impigliarsi in delle personificazioni che sono solo un aspetto della fenomenologia del processo di produzione. Improvvisamente, i «portatori di funzioni» - il capitalista e l'operaio - diventano degli individui psicologici, uno dei quali si verrebbe poi a trovare in una posizione migliore, al fine di portare poi avanti la rivoluzione, e questo a causa della sua sofferenza e insoddisfazione. Qui Marx fraintende ed equivoca radicalmente - ossia, proprio nel mentre che sta stendendo questo testo (che mostra il suo pensiero in corso di formulazione, visto che si tratta di bozze) - due aspetti essenziali. Uno di questi aspetti è che la sofferenza non basta da sé sola a provocare la ribellione e che -  come la psicoanalisi metterà in evidenza più tardi - la sofferenza può anche essere persino un'occasione di godimento paradossale, chiamato da Freud «beneficio secondario del sintomo» [*3]. Freud ci mette in guardia circa l'incongruenza che esiste tra lo sfruttamento e il desiderio di liberazione, e pertanto mette in discussione quella psicologia della dominazione in cui Marx si sta qui addentrando. Per contro, ci manca innegabilmente una teoria psicoanalitica che commenti il fatto che la dominazione sotto il capitalismo non è (vale a dire, non è solo) una dominazione diretta del capitalista sull'operaio ma, come viene sviluppato da Marx, un «dominio della cosa sugli esseri umani». Ma ecco che ricade di nuovo in una personificazione dei «portatori di funzioni», che annulla la chiarezza e la forza del dominio senza soggetto del capitale [*4]. (Anche alla psicoanalisi mancherà questa linea di indagine). Inoltre, il processo storico di espansione del capitale, che vede il capitale allargare progressivamente la sua base di riproduzione, e mettere in competizione l'intero pianeta, si applica anche ai singoli detentori e venditori di forza lavoro; di modo che il miglioramento relativo di una parte della classe operaia (specialmente durante l'era fordista) si integra al mercato capitalista sotto forma di compensi ottenuti grazie alla socialdemocrazia e all'economia keynesiana, miglioramenti che però vengono pagati attraverso l'esternalizzazione delle condizioni della produzione verso il Terzo Mondo, vale a dire, attraverso la proletarizzazione di un altro strato della società mondiale. Benché lo stesso Marx fosse a conoscenza di questo inevitabile meccanismo dell'espansione capitalistica, che ai suoi tempi era solo agli inizi, egli però ignora le conseguenze che avrà sull'integrazione della classe operaia nel mercato capitalistico, e l'effetto che avrà la relativa pace sociale che ne deriverà, dopo la guerra nei paesi del centro capitalistico. Da questo errore, a partire dal quale Marx pone la ricchezza capitalista come una condizione per la futura liberazione dell'umanità, nel quale egli stesso compie un'inversione che poi sarà ripresa da tutto il marxismo ortodosso fino ad oggi, e da cui deriva che la ricchezza capitalista non verrà mai messa in discussione, e che essa è, per così dire, il male necessario, il trampolino che può permettere di saltare verso un'emancipazione che contiene in nuce. Marx, nonostante tutte le note, sparse qua e là che puntano nella direzione opposta, non immagina mai davvero che questa ricchezza possa essere, al contrario, il becchino collettivo di questa emancipazione.

Ora, la brusca transizione tra il Marx esoterico e il Marx essoterico che questo testo ci fa concretamente vedere, ci può aiutare a cogliere diversi punti di contraddizione tra la teoria marxiana e quella freudiana. Soffermiamoci un momento su questo passaggio. Marx scrive: «È assolutamente lo stesso rapporto, inscritto nella produzione materiale, del processo della vita sociale reale - poiché è questo il processo di produzione - simile a quello che si vede nel campo ideologico con la religione: l'inversione del soggetto in oggetto e viceversa». Marx nota qui una sorta di identità logica tra l'inversione religiosa e l'inversione operata dal feticismo delle merci: la religione sarebbe in questo senso una sottocategoria del feticismo (e non il contrario, come vorrebbe la teoria che vede il feticismo come una forma "primitiva" di religione). Subito a seguire, il testo scritto fa come un salto dal piano logico a quello storico, che fa riemergere le immagini della lotta di classe. Tuttavia, se ci atteniamo strettamente a questa frase di Marx, e senza entrare qui nei numerosi e complessi dibattiti che distinguono giustamente la natura religiosa del capitalismo dalla sua natura feticista - vediamo che c'è almeno una strada aperta. Curiosamente, i marxisti manterranno solo la critica della religione in quanto "oppio del popolo", e non il carattere materiale che viene qui affermato. Ma su questo punto, anche la psicoanalisi contribuisce con la sua quota di malintesi. Dal momento che, com'è noto, la critica della religione - basata sia in Freud che in Marx a partire da una critica di Feuerbach - è un tema centrale della teoria freudiana. Tuttavia, rimane la questione del perché la critica freudiana della religione si fermi proprio alla religione rivelata e ignori - anche se Freud non ha letto Marx - la tesi marxiana che vede un'identità tra l'inversione propria del fenomeno religioso e quella del feticismo della merce. Naturalmente, non è il fenomeno religioso, da una parte, e il feticismo, dall'altra, che sono identici; ma è «l'inversione del soggetto in oggetto e viceversa». Appare evidente come la psicoanalisi si sia fermata davanti al compito di portare avanti la critica della religione, se non altro per rispondere agli sviluppi di Marx su questo punto. Ancora oggi, la maggior parte degli psicoanalisti che criticano il capitalismo lo fanno in nome di una critica della "società dei consumi" che non vuole sapere niente della struttura di riproduzione del capitalismo come sistema. Le intuizioni di Lacan su una "omologia" tra plusvalore e plus-gioia non possono essere considerate come un progresso significativo in questo campo, perché tutte le mediazioni teoriche restano ancora da fare. Una presa di posizione sul feticismo delle merci ,non è meno competenza della psicoanalisi, di quanto lo sia la critica classica di Freud alla religione o alla cultura!
Pertanto, è a questo punto che ci sarebbe un interesse teorico a incrociare il "Marx esoterico" con un'estensione e uno sviluppo - che resta da fare - della critica freudiana della religione. In Freud, questa critica è essa stessa tronca, cioè si fissa sulle forme classiche del monoteismo (in "L'avvenire di un'illusione"), oppure si riferisce solo a forme considerate primitive (in "Totem e Tabù"), le cui tracce sopravvivono nell'inconscio moderno. Ma non risponde né affronta mai ciò che Marx ci dà da leggere come la vera inversione inscritta nei rapporti di produzione. Questo tema non è estraneo né ai fondamenti epistemologici della psicoanalisi né alla questione della sua storicità.

- Sandrine Aumercier e Frank Grohmann, dicembre 2021 -

NOTE:

[*1] - Il manoscritto è stato scoperto nel 1967 e ne sono stati pubblicati degli estratti da Maximilien Rubel, in "Economie et société", Cahiers de l'Institut de science économique appliquée, Série Études de marxologie, n°6, giugno 1967.

[*2] - Vedi https://francosenia.blogspot.com/2021/02/il-manifesto-invisibile.html

[*3] - Vedi per esempio: Sigmund Freud, "Inibizione, Sintomo, Angoscia", Bollati Boringhieri

[4] - Vedi Robert Kurz, "Dominio senza soggetto", in Bloody Reason, Crise & Critique, 2021 [1993]. in https://francosenia.blogspot.com/2015/01/il-dominante-e-il-dominato.html e segg.


fonte: GRUNDRISSE Psychanalyse et capitalisme

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