In Finnegans Wake, James Joyce inventa una parola di cento lettere che di tanto in tanto compare a intervalli regolari: essa "rappresenta" il tuono, l'inizio del mondo, il ripetersi dei cicli naturali, e anche il suono che fa la testa del protagonista quando gli si rompe per una caduta dalle scale. «Nei libri di Joyce, il tuono è sempre la voce del Dio collerico. In Ulisse, quando gli studenti del reparto maternità si fanno beffe delle forze della vita, tuona. Il linguaggio usato è sempre pieno di terrore primitivo (...) Joyce stesso tremava sempre a sentire il tuono, e a chi gli chiedeva perché, rispondeva: "Non sei stato allevato nell'Irlanda cattolica"» (Anthony Burgess, da "Common Man at Last").
Così, allo stesso modo, anche il Vico della Scienza Nuova afferma che il tuono segna l'origine del linguaggio e del pensiero: il rumore brusco genera paura, e la paura genera elaborazione culturale (linguaggio, pensiero), una strategia di sopravvivenza, di familiarizzazione della paura (attraverso le metafore, che avvicinano l'umano al "divino" - create dall'umano stesso - perché danno vita all'inanimato (l'idea stessa di "dare vita" è già una metafora, che mostra il ciclo inesorabile di corsi e ricorsi).
fonte: Um túnel no fim da luz
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