mercoledì 17 febbraio 2021

Il Manifesto Invisibile

I due Marx
- di Robert Kurz -

Nel momento in cui ci si trova a commemorare delle nascite, delle morti, o altri anniversari che risalgono a più di un secolo prima, l'oggetto del ricordo, il più delle volte, si è già trasformato in un pezzo da museo finito tra i reperti di un passato ormai morto che non suscita più la minima emozione. Le pagine culturali dei quotidiani, i dignitari della cultura e i curatori fallimentari della storia possono celebrare il loro "evento" stando comodamente appoggiati agli scaffali sui quali sono esposti i ricordi che un tempo avevano fatto battere assai più velocemente i loro cuori. Il "Manifesto del partito comunista" del 1848, redatto da due giovani intellettuali allora pressoché sconosciuti, Karl Marx e Friedrich Engels, ha conservato per molto tempo una sua freschezza ed attualità sorprendente. Un testo che, anche dopo più di un secolo, continua ancora a suscitare un odio rabbioso e ad essere messo all'indice - mentre allo stesso tempo ha una diffusione pari a quella della Bibbia - un testo del genere deve per forza contenere tanta dinamite intellettuale quanto ne possa bastare per un'epoca intera.
Ciò malgrado, il "Manifesto" ormai non potrà più festeggiare il suo 150° anniversario come se fosse un documento che viene discusso in maniera controversa nel bel mezzo del tumulto delle lotte sociali. In un qualche punto degli anni 1980 - al più tardi con la grande svolta verificatasi nel 1989 - questo testo rimasto scottante per così tanto tempo, improvvisamente tutt'a un tratto è diventato freddo e scialbo; è come se, da un giorno all'altro il suo messaggio si fosse come ingiallito, e oggi, anche se lo si studia ancora, lo si fa ormai «senza né odio né passione», come se fosse solo la testimonianza di una storia finita. Ma ciò non significa affatto che la teoria di Karl Marx si sia esaurita e sia arrivata alla conclusione della sua parabola; potrà morire e passare alla storia solo insieme al capitalismo. Né significa che si possa  ritenere inaccettabile il contenuto del "Manifesto", a partire dal fatto che sarebbe basato fin dall'inizio su un "errore". Quando il neoliberismo fa simili affermazioni, ciò è dovuto solo al fatto che sta ancora latrando contro ciò che era il vecchio oggetto della sua rabbia, il quale tra l’altro ormai non può più rappresentare alcuna critica al capitalismo avanzato, dimostrando così come continui ad essere ancora aggrappato ai vecchi tempi.
Per poter capire il perché il "Manifesto" sia riuscito ad esprimere una verità per così tanto tempo, e solo verso la fine del XX secolo sia diventato in qualche modo falso, occorre riconoscere il carattere contraddittorio della teoria marxiana che è sempre stata ritenuta e trattata come se fosse un unicum monolitico. Esiste, per così dire, quasi un «doppio Marx»: dentro un solo cranio, ci sono due teorici che seguono delle linee di argomentazione completamente diverse. Il Marx n°1  è il Marx «essoterico» e positivo universalmente noto, il discendente  e il dissidente del liberalismo, il politico socialista del suo tempo e mentore del movimento operaio, che non rivendica nient'altro che dei diritti di cittadinanza e «un giusto salario per una giusta giornata di lavoro». Questo Marx n° 1 sembra adottare il punto di vista ontologico del "lavoro" insieme alla corrispondente etica protestante, egli rivendica il «plusvalore non pagato» e vuole sostituire la «proprietà privata dei mezzi di produzione» (giuridica) con la proprietà statale.
Non c'è alcun dubbio: questo è anche il Marx del "Manifesto comunista", al cui livello il suo aiutante e coautore Engels si è limitato per tutta la sua vita. Si tratta del manifesto della «lotta di classe», e di come essa ha determinato l'evoluzione del mondo moderno tra il 1848 ed il 1989. «Il vostro diritto» - così Marx ed Engels si scagliano contro una borghesia capitalista ancora giovane -  «non è altro che la volontà della vostra classe eretta a legge.»  Oh, certo, ci sono le famose «condizioni materiali», che hanno la loro importanza; ma ciò che in ultima analisi determina e fa avanzare la storia, è la soggettività integrale e la volontà cosciente di quelli che sono gli interessi sociali antagonisti: «classe contro classe», senza che ci si debba interrogare più in dettaglio sul modo in cui questi soggetti sociali collettivi, e i loro interessi, si siano realmente costituiti. Risuonano qui, assai distintamente, echi dei discorsi dell'illuminismo, secondo il quale si può ricondurre, quasi scientificamente, la società e la sua evoluzione a degli atti di volontà cosciente, quasi come nelle scienze naturali.
A partire da questo, l'obiettivo diventa semplicemente quello del rovesciamento dei rapporti di dominio esistenti, cioè a dire, «l'elevazione del proletariato a classe dominante»; e dopo «il proletariato userà il suo dominio politico per strappare gradualmente tutto il capitale alla borghesia». Improvvisamente, qui il concetto di capitale non designa più una relazione sociale, bensì un ammasso di ricchezza materiale che una classe può sottrarre all'altra, e la cui forma sociale non merita più alcuna considerazione. Denaro e Stato, appaiono così come se fossero della entità neutre da disputarsi e di cui l'una o l'altra classe può fare, in qualche modo, il suo bottino; in modo che il proletariato si legittimi moralmente in questa lotta, in quanto portatore di "lavoro" contro i parassitari «redditi senza lavoro» dei capitalisti. A partire da questa logica, il "Manifesto" reclama come misura essenziale la «centralizzazione del credito nelle mani dello Stato» e il «lavoro obbligatorio (!) per tutti», così come la «creazione di eserciti industriali (!)». Adorno sapeva bene di cosa parlava, quando criticava il Marx del "Manifesto" per aver voluto trasformare tutta la società in una gigantesca prigione di lavoro forzato. Le dittature socialiste dello sviluppo, in Unione Sovietica e nel Terzo Mondo, sono state effettivamente portatrici di tutti i connotati che aveva un comunismo di caserma fondato su una visione utopica del lavoro.
Ma c'è anche un Marx del tutto diverso. Questo Marx n°2, è il Marx "esoterico" e negativo che rimane ancora oggi oscuro e misconosciuto. È il Marx che ha scoperto il feticismo della società ed è il critico radicale tanto del «lavoro astratto» quanto della sua repressiva etica che lo accompagna e che caratterizza il moderno sistema di produzione di merci. Il Marx n°2 non concentra la sua analisi teorica sugli interessi sociali immanenti al sistema ma, piuttosto, sul carattere storico del sistema stesso. Il problema smette di essere quello del «plusvalore non pagato», o quello del potere giuridico di disporre della proprietà privata, bensì quella della forma sociale del valore stesso; una forma che è comune a tutte le classi in lotta e che è anche la causa principale della divergenza dei loro interessi. Questa forma è "feticista" in quanto costituisce una struttura senza soggetto, che agisce «alle spalle» di tutti gli individui che sono coinvolti sottomettendoli congiuntamente all'incessante processo cibernetico della trasformazione dell'energia umana astratta in denaro. Sul piano teorico del Marx n°2, alcune affermazioni essenziali del "Manifesto Comunista" sono semplicemente assurde. Qui, il capitale non è una cosa che sarebbe possibile sgraffignare alla classe dominante,ma è la relazione sociale sociale del denaro totalizzato, che in quanto capitale si è riaccoppiato a sé stesso in un circuito chiuso, e così facendo si è reso indipendente attraverso un movimento fantasmatico, funzionando da «soggetto automatico» (come più tardi, scriverà Marx nel Capitale). Pertanto, ne consegue che non si può superare questa relazione assurda e mettere fine al feticismo moderno per mezzo di un semplice tentativo messo in atto dalla lotta degli interessi immanenti al sistema. Invece, in ultima analisi, è necessario una rottura cosciente con quella che è la forma comune ai diversi interessi, in modo da passare dal movimento forsennato del valore e delle sue categorie ("lavoro", merce, denaro, mercato, Stato) a una «amministrazione delle cose» emancipatrice e comunitaria, usando in maniera consapevole le forze produttive secondo criteri di «ragione sensibile», anziché abbandonarsi alla cieca processualità di una "macchina" feticista.
Qual è la relazione tra il Marx n°1 "essoterico" e il Marx n°2 "esoterico"? Il «duplice Marx» non può essere suddiviso in un "giovane" Marx e in un Marx "maturo", dal momento che il problema si estende come una contraddizione che attraversa tutta la teoria di Marx. Si possono trovare elementi di una critica al feticismo della forma valore e del "lavoro" già negli scritti di gioventù che precedono il "Manifesto Comunista", così come, viceversa, anche nel Capitale e negli ultimi testi emergono elementi che fanno parte del modo di pensare sociologicamente ridotto. Il problema sta nel fatto che Marx, ai suoi tempi, non poteva riconoscere la contraddizione esistente all'interno della sua stessa teoria, nella misura in cui questa contraddizione non si trovava solo nella teoria ma anche nella realtà stessa. Marx è stato l'unico ad aver scoperto quella che era la forma comune inedita - e il suo carattere storicamente limitato degli interessi di classe contrapposti - ma questa sua scoperta non poté esercitare alcuna efficacia pratica, poiché il sistema moderno produttore di merci aveva ancora da percorrere una traiettoria di sviluppo lunga 150 anni. Pertanto, per il movimento operaio il Marx n°2 era insignificante, dal momento che gli era possibile percepire solo la variante del "Manifesto Comunista".
In questo senso, la "lotta di classe" può essere intesa in una maniera del tutto diversa dal solito: lungi dall'aver contribuito alla caduta del capitalismo, essa ha costituito piuttosto il motore interno dello sviluppo del sistema capitalista stesso. Il movimento operaio, limitato alla forma feticista dei propri interessi, ha ripetutamente rappresentato, per così dire, il progresso del modo di produzione capitalista, contro il conservatorismo sconsiderato della controparte capitalista. Ha imposto l'aumento dei salari, la riduzione della giornata lavorativa, la libertà di associazione, il suffragio universale, l'intervento dello Stato in economia, la politica industriale e quella occupazionale del mercato del lavoro, ecc. come condizioni necessarie allo sviluppo e all'espansione del capitalismo industriale. Ed il "Manifesto Comunista" è stata la fiaccola che ha illuminato questo movimento storico all'interno del suo involucro feticista.
Se al giorno d'oggi questo movimento si ritrova paralizzato, è perché anche lo stesso sistema capitalista non ha più davanti a sé alcun orizzonte di sviluppo. La "lotta di classe" è arrivata alla fine, e di conseguenza il "Manifesto Comunista" ha perso ogni forza. Il suo linguaggio stimolante si è pietrificato in un documento storico. Il testo è diventato irreale perché ha svolto quello che era il suo compito. Ma proprio per questo, però, è suonata l'ora del Marx n°2, l’ora del Marx "esoterico": il sistema di riferimenti comuni al «soggetto automatico», che all'epoca storica della lotta di classe non veniva percepito come un fenomeno distinto, ed era rimasto in qualche modo "invisibile", ora è diventato un problema bruciante e la sua crisi globale marcherà profondamente il prossimo secolo. Ora ci sarebbe bisogno di scrivere un altro manifesto, un manifesto nuovo, il cui linguaggio non è stato ancora trovato.

- Robert KurzFebbraio 1988 - "Der doppelte Marx" -

fonte: EXIT!

Nota del Traduttore: Già da me tradotto (francamente non troppo bene) nel gennaio del 2014, ho ritenuto di dover mettere mano a questa nuova traduzione, a partire dal fatto che mi è capitato di leggere in giro assurdità a proposito di “lotta di classe” e di “comitato di affari della borghesia”; nel tentativo di continuare a rivogare il solito vecchio «socialismo da caserma», dove la lotta per i propri interessi immanenti sarebbe ancora e sempre l’unico modo per arrivare a sostituire al «comitato di affari della borghesia» quello degli affari del proletariato, in maniera che esso possa continuare a lavorare per l’eternità, continuando a valorizzare il valore, l’ultimo e unico dio che è rimasto a tutti questi begli spiriti che agitano come uno spauracchio il fantasma della realizzazione dell’illuminismo in cui non hanno mai smesso di credere

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