Sul complottismo in generale e la pandemia in particolare
- da Théorie Communiste, gennaio 2021 -
« Ci nascondono tutto, non ci dicono niente
Più impariamo, meno sappiamo.
Non veniamo informati su niente
Adamo aveva un ombelico?
Ci nascondono tutto, non ci dicono niente
(...)
Il caso comesichiama e la storia sounasega
il cui assassino non si trova
Ci nascondono tutto, non ci dicono niente
Giocano a nascondino e a scaricabarile
A moscacieca e a pincopallino
Sono i re dell'informazione. »
(Jacques Dutronc, 1967)
«Immaginate che ci abbiano mentito, nei secoli dei secoli/ Che ci siano alcune comunità di alto rango che conoscono le risposte/ I segreti della vita, non quello che ci lasciano vedere.» (Keny Arkana).
Alcune considerazioni preliminari
Nel modo di produzione capitalistica, la popolazione non è un fatto di «natura», e la sua produzione, riproduzione, gestione e le categorie che la costituiscono sono il prodotto dei rapporti di classe e di genere che ne strutturano la sua formazione e la sua evoluzione. Questa popolazione esiste socialmente e si riproduce solo in funzione del capitale. Non c'è alcun substrato intatto o puro che possa servire come prefigurazione di qualcosa; non esiste felicità o sofferenza, buona salute o malattia; non c'è un modo di vivere o di morire che possa essere compreso in una maniera diversa da quella che viene espressa dalla relazione di classe e di genere. Dato il soggetto, bisogna aggiungere che questa espressione - che viene rinnovata continuamente come prodotto storico della relazione di classe e di genere - esiste nella quotidianità del pensiero e dell'azione per tutte le classi, e ancor di più all'insaputa (ma a partire dalla «loro spontanea volontà», dal loro «libero arbitrio») dei suoi attori, per quel che attiene alle classi dominanti o superiori.
Questa riproduzione non è una meccanica ideale e fredda dei rapporti di produzione che viene messa in moto dai suoi propri materiali ideali. I rapporti di classe e di genere, in quanto rapporti di produzione, non sono nettamente definiti, ma esistono in una complessità che può essere compresa concettualmente come un dispiegamento dinamico delle categorie di sfruttamento (il rapporto tra lavoro in eccedenza e lavoro necessario) su tutti gli aspetti dell'esistenza che il modo di produzione capitalistico mobilita a partire dal suo carattere totale. Ragion per cui, la popolazione viene prodotta ed esiste certamente nei rapporti di produzione in quanto tali, ma proprio a partire da questo, nell'esistenza quotidiana costituita dalla (ri)produzione del rapporto di sfruttamento nel suo insieme - vista come condizione dell'esistenza dei rapporti di produzione in senso stretto (attraverso le ideologie, i pensieri, l'affettività, la socialità, il tempo libero, la salute, l'alloggio, il nutrimento, la sintomatologia, la registrazione istituzionale, l'identificazione di genere sui documenti della previdenza, ecc.).
Far stare insieme tutti questi elementi disparati o eterogenei, non è compito di un Macron o di una lobby, per quanto potente essa possa essere, e non è neppure il prodotto di un caso o della mancanza di intenzioni, di volontà e di decisioni. Sono sempre le strutture che dominano gli individui o i gruppi di individui e le loro azioni, i loro pensieri, le loro ideologie, ecc. e sono esse stesse l'espressione di quelle relazioni di classe e di genere che producono e che riproducendole, naturalmente, le riproducono. [*1]
Partiamo da un'idea semplice, perfino semplicistica.
Nessun Stato, nessuna borghesia rovinerà la propria economia (già di suo non particolarmente brillante) al fine di rafforzare il «controllo» e l'«asservimento» della popolazione o per favorire i laboratori e le altre Gafa [N.d.T.: GAFA: Google, Amazon, Facebook e Apple]. Al limite, questa potrebbe essere un'opportunità, ma da manipolare con estrema precauzione da parte di questa classe dominante, per evitare gli effetti perversi che potrebbe avere sul lavoro, sulla produzione generale, sulla riproduzione della forza lavoro, sulla circolazione, sul consumo e, in maniera globale, sulla vita sociale quotidiana che alimenta il modo di produzione.
Passiamo ora a un livello più elaborato, relativo alla meccanica del discorso complottista (o cospirazionista).
* Non accusare mai l'istituzione, il potere, il bersaglio in generale, di «complotto». Non usare mai questo termine.
* Porsi come avanguardia illuminata.
* Affidarsi alla scienza e alla ragione (proliferazione di note a piè di pagina, oscuri riferimenti accademici, link ipertestuali, grafici, mappe, ecc.).
* Porre sempre la domanda: «A chi giova il crimine?» Designare per ogni avvenimento un responsabile, un leader, un'organizzazione (se possibile, un gruppo occulto), e una singola causa. In questo modo, si potrebbe dire che - dal momento che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata in parte resa possibile nelle condizioni della prima guerra mondiale - il nazionalista serbo che assassinò a Sarajevo l'arciduca d'Austria era un agente di Lenin.
* Accumulare dei «dettagli inquietanti», collegandoli fra di loro.
* Rifiutare il caso, vedendo perciò solo le correlazioni necessarie («Sai cosa ...?»; «Non è una coincidenza se...»)
* Basarsi sulla storia e trovare ogni genere di eventi simili per quanto siano disparati, purché «somiglianti».
* Tenere presente che il nemico (organizzazioni occulte, servizi segreti, Goldman Sachs, ecc.) non commette mai errori. Tutto ciò che avviene è voluto e non può essergli sfuggito.
* Inversamente, e simultaneamente, il nemico commette degli errori da novellino (e qui torniamo ai «dettagli inquietanti» dell'inizio.
* Rifiutare la contraddizione, escludendola in maniera automatica, nella misura in cui essa può originarsi solo a partire solo da chi ha degli interessi legati a chi «dirige l'orchestra».
* Ricostruire il mondo come se fosse una «totalità espressiva» (la totalità è sempre presente in ciascuno dei suoi elementi, o in ciascuna delle sue parti). Ma, purtroppo, non tutti sono Leibniz e perciò sorvoleremo su qualche correlazione abusiva.
* La totalità espressiva si esprime attraverso una «teoria delle catastrofi» (il battito d'ali della farfalla australiana e il ciclone in Giamaica), ma senza entropia, dal momento che tutto si risolve nella realizzazione di un unico fine ben concepito.
** Qui la conclusione: il sistema è chiuso, non può essere manomesso ed è teleologico. Veniamo ai fatti: Più precisamente, nel contesto dell'attuale pandemia, la rabbia da complotto attraversa più fasi:
- 1 - La rabbia per certe misure sanitarie varate dai governi sono viste come liberticide. Queste misure sono: l'uso della maschera, soprattutto per i bambini, la chiusura delle attività commerciali «non essenziali» attraverso una blanda critica per la divisione essenziale/non essenziale, la regolamentazione degli spostamenti, la sorveglianza per mezzo di attestati, la realizzazione di App del governo per mappare il Covid per fermarlo, l'emarginazione dei ricercatori che mettono in discussione le strategie governative contro l'epidemia, l'istituzione di un Consiglio di difesa e di uno stato di emergenza per non passare dal parlamento, il coprifuoco, la prospettiva della vaccinazione obbligatoria in nome della libertà di curarsi, ma allo stesso tempo la critica al rifiuto delle autorità sanitarie di fornire sistematicamente l'Idrossiclorochina e altri trattamenti antibiotici che vengono a volte utilizzati, soprattutto negli Stati Uniti
- 2- Questa rabbia crea delle connessioni con tutta una serie di diverse e variegate fonti di informazione, di intellettuali e di ricercatori, il cui punto comune è fornire una prospettiva dissonante ma vendicativa rispetto gli intellettuali mainstream.
- 3 - La spiegazione che parte da una volontà deliberata del governo volta ad asservire le persone attraverso delle misure liberticide , e di renderle servili per mezzo della paura coagula tutti gli elementi più disparati. In generale, per coloro i quali non hanno paura del Covid la paura diviene l'emozione più sbeffeggiata e più avvilente.
- 4 - La conclusione è che il governo e le lobby costituiscono una cricca dominante che è riuscita a menare per il naso le popolazioni instupidite dalla paura grazie ad un virus che a malapena esiste, a manipolare le cifre, a bloccare l'economia con il semplice scopo di asservire le popolazioni che in fin dei conti sono buone solamente a ingrassare l'industria farmaceutica.
Eppure, però...
* questo attaccamento, e questa promozione di libertà individuali,
* questa riflessione, che per asserire la legittimità di un punto di vista fa riferimento a una congrega di intellettuali più o meno a posto, ma che si nascondono sempre dietro dei titoli che sono più prestigiosi di altri,
* questa enfasi sull'asservimento di tutti, sulla paura che li blocca, e dalla quale questa avanguardia illuminata riesce a sottrarsi per portare avanti coraggiosamente un discorso libero e senza maschere,
* e infine questa visione della popolazione come vista solo per il consumo della poltiglia prodotta da una qualche sorta di lobby industriale, mediatica e farmaceutica.
Tutti questi elementi indicano in maniera violenta fino a che punto un tale pensiero possa venire solo a una categoria della popolazione la cui intera esistenza dipende dalla capacità di produrre, e riprodurre una parte dell'ideologia capitalistica, prendendola alla lettera. Vale a dire, secondo una versione che sia corrispondente, e non contraddittoria, alla sua propria esistenza stessa, la quale fa riferimento al posto che essa occupa nei rapporti di produzione. Nei termini di quella che è la sua iscrizione sociale, l'esperienza vissuta da questa categoria di individui è:
* Una relazione non contraddittoria con la libertà individuale di cui essi godono. Il loro essere iscritti alla comunità del capitale in quanto società capitalista, è tale che la loro esistenza di individui isolati non è in contraddizione con la loro dipendenza da questa comunità, dal momento che tale dipendenza non viene vista come una costrizione violenta, ma piuttosto viene vissuta come partecipazione spontanea, in totale solidarietà con le sue istituzioni (si veda più avanti per gli organi dell'apparato statale). Si tratta dell'individuo isolato della libertà e della scelta, e non dell'individuo isolato la cui libertà di scegliere lo porta ad un peggioramento immediato, e lo spinge al vagabondaggio e alla precarietà dissafiliata.
* Una visione normativa della società che viene vista come se dovesse promuovere il libero sviluppo individuale, attraverso la libertà educativa, la libertà sanitaria, la libertà alimentare, la libertà artistica, insieme - nel peggiore dei casi - a un minimo intervento statale che permetta loro di riprodursi come individui isolati, in accordo con l'ideologia capitalistica. E in effetti, la riproduzione dei lavoratori vista come una responsabilità privata è l'ideale capitalista. Sebbene, tuttavia, sia per il proletariato che per le classi superiori, questa responsabilità privata sia sicuramente impossibile, per quanto essa permetta, a libello di esperienza vissuta, l'illusione del libero arbitrio. Ed è grazie a questa sicurezza e a questa omogeneità di una riproduzione senza rimanenze, che tale pensiero può denunciare l'intervento dello Stato additandolo come sistema totalitario e fraudolento.
Questo libero sviluppo dell'individuo nella società, si scontra con l'appartenenza di classe in quanto costrizione interiorizzata, la quale è effettivamente liberticida a partire dalla sua base contrattuale di libera compravendita di forza lavoro. Così, il ricatto di ritirare i propri figli dalla scuola, o quello di opporsi ad una politica sanitaria, esiste solo per quelle persone la cui appartenenza sociale non solo è garantita nei fatti, ma anche nella piena adesione all'ideologia del contratto sociale capitalista e nella sua funzione di cementare le relazioni sociali capitalistiche. Ci sono alcuni che possono permettersi di minacciare di ritirare i propri figli dalla scuola, quando altri invece sanno che la scuola pubblica mette fuori gioco le persone, offrendo loro sempre meno protezione a causa della mancanza di mezzi, di mancanza di controllo sulla «mappatura scolastica» e/o a causa dell'essere passati dalle politiche di integrazione a quelle di lotta contro la «radicalizzazione» e il «separatismo». Questa visione delle popolazioni viste come masse abbrutite di consumatori schiavi delle lobby, ci parla di quanto coloro che se ne fanno portatori siano ideologicamente dominanti, quanto produttivamente inutili, e allo stesso tempo idioti fino al punto di arrivare ad essere ciechi di fronte al fatto che è il lavoro produttivo alla base di quel mondo che essi celebrano a vuoto attraverso le loro denunce. Bisogna intrattenere un rapporto con l'esistenza del tutto particolare, per arrivare a sostenere che la paura sia un freno, come se questa fosse una scelta. Tutto ciò che riguarda i vincoli violenti e «ingabbianti» dell'appartenenza di classe, deve essere ignorato , se la si vuole vedere come se fosse una questione di manipolazione ideologica. E infine, per arrivare a ritenere che la paura impedisca di pensare, bisogna vivere un'esistenza ovattata, nella quale l'indignazione cerca di spacciarsi per lotta sociale.
I motivi esterni dell'ideologia complottista
La società si trova ad essere decomposta in quella che è una somma di elementi discreti, separati e indipendenti: lavoro, educazione, salute, salario, consumo, tempo libero, privacy, famiglia, rapporti amorosi, ecc. Bisogna inoltre considerare che tutti questi elementi, così come attualmente sono, non sono organizzati come dovrebbero essere dalle attività, dalle pratiche, dalle intenzioni, dalla manipolazione, dalla pubblicità e dai malevoli interessi di un certo numero di individui che formano una casta che comprende le banche, i grandi proprietari, i media, i laboratori farmaceutici, i governi (non in quanto Stato, ma come bande organizzate. Detto in una parola: le élite. L'ordine che promana spontaneamente da tutti questi elementi è una versione corrotta dell'ordine necessario.
Il complottismo opera a partire da una concezione dello Stato piuttosto banale, che lo vede alla base dell'ideologia giuridica e democratica, ma che è anche la nostra comune sorte quotidiana. Da un lato, ci sarebbe il potere dello Stato, e dall'altro l'apparato dello Stato o la «macchina statale», come la chiamava Marx. Il problema risiede nel fatto che l'apparato statale che si materializza nei suoi organi, nella loro divisione, nella loro organizzazione, nella loro gerarchia, nel potere statale di una classe (e di una sola), tutto questo è allo stesso tempo sia organizzazione della classe dominante (in quanto potere di Stato detenuto dalla frazione momentaneamente egemonica della classe dominante, per conto dell'insieme di tutta questa classe) sia organizzazione di tutta la società sotto il dominio di questa classe. Ma se da un lato, lo Stato del modo di produzione capitalista realizza completamente la fusione di queste due funzioni [*2], dall'altro esso diventa la necessità «naturale» di ogni riproduzione sociale. Mentre, è la loro stessa divisione e la loro separazione fondamentale (reale e ideologica) dai rapporti di produzione, a rendere necessariamente di classe gli organi di un apparato statale (si veda Marx, "La guerra civile in Francia" ), oramai tutti gli organi dell'apparato dello Stato (esercito, polizia, amministrazione, tribunali, parlamento, burocrazia, istruzione, previdenza sociale, informazione, partiti, sindacati, ecc.) appaiono solo come strumenti che possono essere piegati alla volontà di chi li controlla. Da questa duplice funzione dell'apparato statale (non due funzioni, ma una duplice funzione), come dittatura di una classe e come riproduzione di tutta la società, derivano sia la fusione che la neutralità degli organi. Per il complottista, rispondendo così al pensiero spontaneo, questi organi sono neutri, e nella loro stessa esistenza e forma non sono quelli di una dittatura di classe. Di conseguenza, se non funzionano «come dovrebbero», come un «bene comune», ciò avviene perché sono prevaricati, deviati e pervertiti da una cricca, da una casta. Il complottista è il cittadino ideale.
Basandosi su questa concezione «naturale» dello Stato, il complottismo non è affatto la «psicopatologia di qualche sbandato», ma è il «sintomo necessario dello spossessamento politico» e della «confisca del pubblico dibattito». È la risposta alla «monopolizzazione del discorso legittimo» da parte dei «rappresentanti» assistiti dagli «esperti», dove ogni critica diventa un'aberrazione mentale che viene immediatamente squalificata come «complottista». È vero che il complottismo è diventato la nuova cifra del cretino, e questo perché è diventato anche il nuovo luogo comune della stupidità giornalistica e di numerosi filosofi e sociologhi che si guardano bene dal puntare il dito contro un presidente della Repubblica che sostiene che i Gilet gialli sono il prodotto di una manovra di Putin (Le Point, febbraio 2019). Lordon, il quale ritorna regolarmente sull'argomento su Le Monde Diplomatique del giugno 2015, sintetizzava: «Ma ancor più dello spossessamento, il cospirazionismo, che per le élite è il sintomo di una minoranza irrimediabile, potrebbe essere la paradossale indicazione che il popolo, di fatto, ha conquistato la maggioranza dal momento che vengono rispettosamente ascoltate abbastanza dalle autorità, e sta cominciando a immaginare il mondo senza di loro.»
Il complottismo non sarebbe perciò un sistema di risposte con delle determinazioni sociali proprie, ma piuttosto una semplice reazione giustificata in maniera negativa. Se questo non basta, allora bisogna cogliere la natura della «reazione» in maniera positiva, come un sistema di risposte adeguato a ciò che lo provoca. Il complottismo appare allora come una contestazione dell'ordine dominante, simile quasi a una lotta di classe. Ma non è così. Così come l'antisemitismo è stato il socialismo degli imbecilli, il complottismo è la lotta di classe degli esperti in materia che non si posizionano da nessuna parte in particolare, non nella società, e neppure lungo uno spettro politico-ideologico. La «risposta complottista» vuole esattamente questo mondo, lo stesso Stato, ma liberato dalla «casta»: «immagina il mondo senza la casta». Si tratta soltanto di mantenere tutti gli elementi di questa società, sottraendoli però alle pratiche di questi individui «malvagi» e «manipolatori» che pervertono e corrompono. Vuole un vero sistema salariale, una vera istruzione, una vera politica sanitaria, una vera democrazia, una vera informazione, una vera agricoltura, un vero consumo, una vera economia, un vero Stato. Il complottismo critica tutto, e desidera che ciò che esiste diventi «vero», «reale». Ma nel concepire quello che è il suo oggetto come «lato oscuro» e come détournement demoniaco, questa critica rende tale oggetto un semplice incidente di questo stesso mondo. Così facendo, afferma di non voler fare altro che perseguire il mondo così com'è. L'insieme di tutto ciò che esiste, potrebbe essere così bello se non fosse manipolato, malversato. La classe dominante, la sua riproduzione, le sue pratiche, il perseguimento dei suoi interessi, la produzione ideologica non sono più il prodotto naturale di tutte le relazioni sociali che il complottista vuole conservare, ma sono il risultato prodotto da una banda di delinquenti che ci prende per imbecilli. Il complottista è un furbo suo malgrado, esperto in tutto. È interessante constatare (su questo sono stati fatti alcuni studi) che il complottismo colpisce principalmente i laureati della classe media, quelli che amano il proprio «spirito critico», che se ne vantano e lo mostrano ovunque, avendolo cucito sulla manica. Per quelli che vivono quotidianamente tutte le umiliazioni e le miserie delle relazioni sociali capitaliste, i «complotti» finalizzati ad asservire la nostra libertà in modo da controllarci non hanno alcun senso. Bisogna amarlo questo mondo per non volere esso che ci menta!
A quale generalità fa riferimento il complottismo
Quanto è stato esposto sopra, è solo una piccola analisi del discorso complottista visto come sistema critico, proveniente da una parte - che considera sé stessa come trascurata -, delle categorie dominanti della popolazione per quanto riguarda la gestione statale, e più ampiamente il mondo circostante. Detto ciò, bisogna anche riconoscere che molti temi e caratteristiche del discorso complottista vengono mobilitati in ordine più o meno sparso in un modo che va ben oltre queste categorie dominanti. La questione è quindi anche quella di sapere quale statuto acquisisca questa critica non sistematizzata nel momento in cui essa viene assunta da una frangia significativa delle classi proletarie. Da dove viene questo voler «salvare» lo Stato capitalista? Ed è dello stesso ordine di quel che abbiamo precedentemente descritto? Ma per essere posta in maniera corretta, questa domanda deve includere anche tutti questi temi presi isolatamente come aventi un significato diverso da quello che viene loro conferito dal sistema complottista, proprio a a causa della chiusura di questo sistema che in fin dei conti rende il complottista il cittadino ideale, in quanto difensore dello Stato democratico e del lavoratore libero. Non daremo risposte a tutto questo, ma solo alcuni indizi, alcuni dei quali sono già stati sparsi su queste note.
Nel complottismo ci sono delle componenti che ricordano il democratismo radicale: la comunità dei cittadini nello Stato come forma concreta e partecipativa della loro comunità di individui isolati. Ma, a partire dagli anni '90 e dall'inizio degli anni 2000, la situazione è cambiata. Nel capitalismo risultante dalla ristrutturazione degli anni 1970/1980, la riproduzione della forza lavoro è stata oggetto di una duplice disconnessione. Da una parte c'è sta una disconnessione tra la valorizzazione del capitale e la riproduzione della forza lavoro, mentre, dall'altro lato, abbiamo avuto la disconnessione tra il consumo ed il salario come reddito.
La rottura di una relazione necessaria tra valorizzazione del capitale e riproduzione della forza lavoro, si ripercuote sulle aree di riproduzione coerenti con la loro delimitazione nazionale, e perfino regionale. Si tratta allora di separare, da un lato, riproduzione e circolazione del capitale, e dall'altro lato, riproduzione e circolazione della forza lavoro.
Quasi identica ad una crisi di sovraccumulazione e sottoconsumo, la crisi del 2008 è stata una crisi della relazione salariale che è diventata crisi della società del salario, mettendo in moto tutti gli strati e le classi della società che vivono di salario. Ovunque ci si trovi, con la società salariale, si tratta sempre di politica e di distribuzione. In quanto prezzo del lavoro (nella sua forma feticcio), il salario si appella, com'è normale, all'ingiustizia della distribuzione. L'ingiustizia della distribuzione ha un responsabile che ha «fallito nella sua missione»: lo Stato. La posta in gioco diventa così la legittimità dello Stato nei confronti della sua società. Il proletariato prende parte a tutto questo, alla sua stessa strutturazione in quanto classe coinvolta. Nella crisi della società salariale, le lotte che si svolgono intorno alla distribuzione designano lo Stato in quanto responsabile dell'ingiustizia. Questo Stato, è lo Stato denazionalizzato, agente di una globalizzazione che lo attraversa a sua volta. Contrariamente a quanto faceva la «denazionalizzazione», le politiche keynesiane erano parte di un «nazionale integrato»: una combinazione di economia nazionale, di consumo nazionale, di formazione e di educazione della manodopera nazionale, e di gestione e controllo della moneta e del credito. Nel «periodo fordista», lo Stato era inoltre diventato anche «la chiave del benessere», la quale, destinata ad essere tolta di mezzo durante la ristrutturazione degli anni '70 e '80, è poi stata proprio questa a diventare la sua cittadinanza. Per quanto questa vocazione sia un'astrazione, essa fa riferimento a dei contenuti molto concreti: piena occupazione, famiglia nucleare, ordine-protezione-sicurezza, eterosessualità, lavoro, nazione. È intorno a tali temi che durante la crisi della società salariale si ricostruiscono ideologicamente i conflitti di classe e la delegittimazione di ogni discorso ufficiale. Ecco che allora la cittadinanza diventa l'ideologia sotto cui viene portata avanti la lotta di classe. Esiste un chiaro legame tra il successo delle tesi complottiste e buona parte di espressioni come per esempio i Gilet gialli. Oltre alle somiglianze nella forma dei discorsi, troviamo una denuncia dell'incompetenza dello Stato, della critica della globalizzazione, dello Stato denazionalizzato. A prima vista, questa delegittimazione e questa ideologia cittadina (dal momento che il complottista è l'archetipo del buon cittadino) appare essere critica, ma solo nella misura in cui si tratta di un linguaggio delle rivendicazioni che vengono viste nello specchio offerto loro dalla logica della distribuzione e della necessità dello Stato. Le pratiche che operano sotto questa ideologia sono efficaci perché rimandano agli individui un'immagine plausibile e una spiegazione credibile di ciò che essi sono e di che cosa stanno vivendo; tali pratiche sono costitutive della realtà della loro vita quotidiana. La ricostruzione ideologica dei conflitti di classe diventa così il popolo contro le élite che monopolizzano il discorso legittimo (come è sempre stato), ma si tratta di un discorso che non ha più alcun senso. Il conflitto si trasforma in un conflitto culturale che viene combattuto in nome dei valori: l'inganno e la menzogna contro l'autenticità e la verità (che poi sarebbe ciò che ci viene nascosto, come cantava ironicamente già ai suoi tempi Dutronc, e come canta stupidamente oggi Arkana).
Nel complottismo, ciò che è in gioco, in maniera del tutto perversa come «conflitto», è la relazione tra lo Stato, tra tutti i suoi apparati ideologici, la classe dominante nel suo insieme, e la sua società. Nel contesto della crisi degli Stati e di tutti i loro apparati nei confronti delle loro società, il discredito sociale in cui è caduta questa relazione conferisce alle denunce di tipo complottista una loro dimensione generale. E lo fa in maniera del tutto perversa, dal momento che il funzionamento stesso del complottismo presuppone il voler mantenere questa società così com'è. E tutto ciò si verifica nella misura in cui la classe dominante equivale a nient'altro che a una élite parassitaria che si mantiene attraverso la menzogna, e non in quanto classe dominante, cioè come la necessità stessa di questa società e di tutte le sue relazioni.
Il fatto che le principali aziende di Wall Street si rivolgano alla U.S. Securities and Exchange Commission, l'Agenzia di regolamentazione del mercato dei capitali negli Stati Uniti, per ottenere la modifica di una legge, o di un vantaggio di qualche tipo, non è un «complotto», per quanto l'azione sia stata concertata e celata. Il fatto che i rappresentanti generali economici della classe capitalista americana (e mondiale) si rivolgano ai rappresentanti generali della legalità di quella stessa classe, non è affatto un «complotto», ma è lo Stato. Oppure, forse, si immagina che lo Stato è, o dovrebbe essere, qualche «altra cosa». Al posto delle relazioni sociali capitalistiche (che si vogliono mantenere), non ci sarebbero altro che un piccolo numero di uomini cinici che basano il loro dominio e il loro sfruttamento del «popolo» su una falsa rappresentazione del mondo che si sono inventata per asservire le menti. Il complottismo, ha bisogno di questa concezione semplicistica dell'ideologia, del modo di produzione e dello Stato per essere ciò che è: l'apologia e la conservazione delle attuali condizioni di esistenza. Ma purtroppo, o per fortuna, come pratica quotidiana, l'ideologia è un'altra cosa: è la pratica dei soggetti che, in quanto tali, riescono ad immaginare di essere stati ingannati (cosa ovvia per un soggetto). Il modo di produzione, è qualcosa di diverso dal «massimo profitto». Lo Stato, con i suoi apparati, qualcosa di diverso da una «cricca».
Il complottismo è un approccio globale alla società. Per rispondere alla domanda circa la generalità di alcune delle sue caratteristiche, gli sviluppi summenzionati forniscono qualche indicazione, qualche indizio ed alcuni elementi di comprensione al fine di riuscire a porre «correttamente» la domanda, senza riuscire ancora a formalizzare la risposta.
Concludiamo (momentaneamente)
Le manovre, gli intrighi, le carambole a tre sponde sul biliardo esistono, ma non spiegano niente; hanno bisogno, esse stesse, di essere spiegate come eventi storici correlati e intercambiabili. Nella storia, il complottismo non ama la «lunga durata». Davos è uno scenario decisivo per la globalizzazione, ma è stata la globalizzazione ad aver fatto Davos, e non il contrario. Se, contrariamente a quanto ci dicono Marx ed Engels nelle prime pagine dell'Ideologia Tedesca, il «mondo» non è affatto un «libro aperto», ciò è dovuto al fatto che la sua comprensione richiede la produzione di concetti, e non perché dietro si nasconde una corporazione, una casta di orchestranti e di Illuminati.
Tarona – R.S. - Gennaio 2021
NOTE:
[*1] - Si riportano, come aneddoto su queste considerazioni sulla popolazione, due eventi significativi avvenuti durante le vacanze di Ognissanti del 2020 - il secondo Lockdown e l'assassinio di Samuel Paty - che hanno messo in scena due agenti fondamentali in questa riproduzione di quelle categorie della popolazione che sono i genitori: 1) Quelli che si indignano cotro la volontà di asservire e di disumanizzare la loro progenie attraverso l'uso delle maschere a scuola a partire dai 6 anni di età, minacciano di non mandare più i loro figli a scuola; 2) Altri, per i quali la priorità era quella di difendere disperatamente la conformità alla scuola repubblicana della propria prole, attraverso il bisogno urgente di far capire ai loro figli - provenienti da un contesto di immigrazione - il divieto di parlare, di reagire e di riferirsi all'assassinio dell'insegnante avvenuto all'inizio dell'anno, con il rischio di espulsione e di sanzioni istituzionali e finanziarie per le famiglie interessate.
[*2] - In questo, si differenzia dallo Stato feudale e dall'«Ancien régime».
fonte: Théorie Communiste, la soute
Nessun commento:
Posta un commento