« In sostanza, la proiezione di una “apocalisse” e delle “fantasie sulla fine del mondo” ecc. - quasi religiose - viste nel contesto di base della teoria radicale della crisi, è fuorviante. In realtà, questa fantasia si colloca interamente dal lato degli oppositori della teoria radicale della crisi: sono loro che hanno bisogno di intendere il limite interno assoluto - determinato concettualmente e analiticamente dal modo capitalista di produzione della vita e storicamente limitato - come semplicemente una “fine del mondo”, proprio allo stesso modo in cui lo fanno i difensori ufficiali di quest'ordine di cose, poiché dopo tutto questo è il loro mondo e non possono né vogliono superarlo. Perciò, anche per loro, la critica categoriale dev'essere abbandonata a favore di quello che più interessa loro. Dopo il capitalismo - ossia, dopo il patriarcato moderno produttore di merci e del suo contesto formale di socializzazione negativa - non può e non deve venire niente di diverso, dal momento che, in partenza, qualsiasi alternativa può “essere autorizzata” ad essere pensata soltanto in queste forme basilari, oppure in quelle forme che ne sono solo meri surrogati. Come può essere descritto un simile atteggiamento, se non come una “questione di fede”? Perfino ancora prima di formulare le proprie basi teoriche, questi realisti presuntuosamente “illuminati” sulla situazione, avevano già espresso la loro fede relativamente alla possibile eternità di questo loro mondo. Sono loro che di fronte al fondamento teorico di un limite interno storico del capitale, dimostrano di avere un'irrazionale pre-teorica “paura dell'apocalisse”, perché la loro coscienza è intrappolata nelle forme feticiste. »
(Robert Kurz, da "Crisi e Critica" )
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