Per gran parte della nostra storia, mari e oceani hanno costituito le vie principali dello scambio e della comunicazione a grande distanza fra i popoli, i canali primari non solo per l’esplorazione, la conquista e il commercio, ma anche per la diffusione delle idee e delle religioni. Andando oltre i confini della storia navale e ripercorrendo la circolazione umana lungo le coste e attraverso i maggiori specchi d’acqua del pianeta, David Abulafia ci invita a ridisegnare la nostra mappa mentale del mondo e a prendere atto che le rotte marittime sono state molto più importanti di quelle terrestri come forza motrice dello sviluppo delle civiltà. Dalle prime incursioni di popoli su canoe scavate a mano alle più antiche società marinare (come quella dei polinesiani, dotati di straordinarie abilità nautiche, che già nel I secolo a.C., ben prima dell’invenzione della bussola, commerciavano con le più remote isole del Pacifico), dall’epoca dei grandi navigatori e dei grandi imperi coloniali ai transatlantici e alle gigantesche navi portacontainer di oggi, emerge con chiarezza come le reti commerciali marittime siano sorte da molteplici distinte località fino a costituire un continuum di interazione e interconnessione globali, e abbiano così consentito l’incontro di mondi sideralmente differenti e distanti, come per esempio la Spagna e l’America, il Portogallo e il Giappone, la Svezia e la Cina. Seguendo mercanti, esploratori, marinai, conquistatori, avventurieri, pirati, cartografi e studiosi in cerca di spezie, oro, avorio e schiavi, terre da colonizzare e conoscenza, Abulafia ha dato vita a un’opera di storia universale concepita da una prospettiva radicalmente originale (non dalla terraferma e dai suoi confini, come nella maggior parte delle storie del mondo, ma dalle onde del mare sconfinato) e, insieme, a un vivido racconto dell’incessante lotta dell’uomo con la vastità degli oceani, condotta con scopi a volte nobili e a volte esecrabili, ma sempre per viaggiare, commerciare, conoscere e, in fondo, per sopravvivere.
(dal risvolto di copertina di: David Abulafia, "Storia marittima del mondo". Mondadori)
Nel mare...
- di Alessandro Vanoli -
Nel mare si specchia la storia: quella delle grandi civiltà, dei regni e degli imperi; quella dei mercanti e dei sapienti, delle religioni, delle lingue e delle conoscenze; quella di uomini e donne che non avranno mai volto, siano stati essi marinai, soldati, profughi, schiavi. Comprensibile che agli storici il mare piaccia: perché è lo spazio ideale per allargare lo sguardo e cogliere le relazioni che legarono gli uomini su grandi distanze; è un mondo con le sue regole e le sue abitudini, che spesso sopravvivono per millenni, indifferenti a regni e imperi; ed è un mondo dove la lotta per il potere e la ricerca di gloria e ricchezze si sono esercitate spesso su immense distanze. Insomma è nel mare che gli storici possono cercare nel passato tante tendenze del mondo presente: lo scambio tra le culture, i fenomeni migratori, persino i sintomi antichi della globalizzazione. Per ovvie ragioni questo tipo di studi si è concentrato per lo più su spazi relativamente chiusi.
Il Mediterraneo innanzitutto, che rappresenta la radice principale di gran parte della nostra civiltà. Da Omero ai mercanti arabi, per arrivare alle migrazioni odierne. Ma attraverso lo studio di un caso non è difficile convincersi che gran parte della nostra storia venga dalle onde. Questo per almeno una buona ragione: i mari per definizione sono aperti, connessi l'uno con l'altro. E se c'è una cosa che caratterizza l'umanità, è lo spostamento, l'andare oltre, la sfida all'ignoto.
Per secoli gli uomini hanno sfidato i limiti geografici posti dall'orizzonte di mari e oceani, spingendo le loro imbarcazioni in acque ignote, studiando venti e correnti, per cercare nuove terre. Non c'è mai stato un mare veramente chiuso, perché di fronte a ogni stretto ci sono state imbarcazioni pronte ad andare oltre.
Così non stupisce che un grande narratore come lo storico di Cambridge David Abulafia, dopo essersi misurato con il Mediterraneo, abbia deciso di allargare il suo sguardo, scegliendo di raccontare "Una Storia marittima del mondo" (Mondadori): una naturale prosecuzione del viaggio di studio e ricerca intrapreso molti anni fa con "Il grande mare", verrebbe da dire. E in effetti questo volume imponente (per ambizione e numero di pagine) è pensato soprattutto come storia delle strade che sul mare si sono intrecciate dagli albori dell'umanità.
Le vie, le rotte, le scoperte sono gli elementi che costituiscono la vera ossatura della narrazione. «Se questo libro ha dei protagonisti», dice Abulafia, «essi non sono quasi mai gli esploratori che aprirono nuove rotte verso gli oceani, bensì i mercanti che ne seguirono le orme. Furono loro, vedendo le nuove opportunità, a trasformare gli instabili rapporti instaurati dai primi in collegamenti solidi, affidabili e regolari, sia all'epoca del commercio greco-romano attraverso l'Oceano Indiano sia dopo i viaggi di Colombo ai Caraibi».
L'autore prende le mosse dalle antiche esplorazioni del Pacifico, cominciate in epoca preistorica e continuate per millenni. Si sposta verso l'Oceano Indiano per descrivere le antiche rotte segnate dai monsoni, che portarono in giro per l'Asia le religioni e spinsero i mercanti a scambiare merci dalla Cina sino a Roma. Di qui le avventure dell'Atlantico, dagli antichi abitanti dell'Estremo Nord agli esploratori vichinghi e, verso la fine del Medioevo, all'ascesa portoghese. Quindi la grande accelerazione, il salto portato dalla conquista europea degli oceani: da Colombo alle avventure e alle tragedie coloniali del tardo Ottocento. La storia della rotta delle spezie; dello scontro tra i grandi imperi spagnolo, portoghese, francese, olandese e inglese; la storia dei pirati dei Caraibi e della tragica tratta degli schiavi; ma anche la storia che avrebbe condotto sino alla conquista dell'Australia, ai commerci con la Cina e alle ultime conquiste coloniali. Infine il presente. Il controllo commerciale e militare degli oceani durante il Novecento egli ultimi grandi cambiamenti a cui stiamo ancora assistendo.
Da tutto questo, è piuttosto evidente quali siano le linee guida dell'opera (anche perché è l'autore stesso a indicarle). Innanzitutto l'idea unitaria che muove il racconto: questo libro, dice Abulafia, è un tentativo di scrivere insieme la storia dei tre grandi oceani; perché, pur avendoli trattati separatamente nell'esposizione della loro storia più antica, è a un solo oceano che l'autore giustamente pensa. In fondo, dice, avevano ragione gli antichi a pensare il mondo rinserrato tra terre circondato da un vasto oceano.
Le interconnessioni, quelle che avvengono dopo Colombo, sono il vero grande salto di qualità, il momento in cui tutto l'oceano diventa realmente unitario, tenuto assieme dalle rotte e dalle vie commerciali. Un modo per riflettere dunque anche sulle origini della globalizzazione europea. Perché, nota Abulafia, anche se è evidente che il concetto di globalizzazione è a dir poco scivoloso, è altrettanto evidente che dopo il Cinquecento si è creata una divergenza tra Europa e Asia. Ed è chiaro inoltre che per comprendere tale fenomeno si debba tenere conto non solo delle spinte culturali e tecnologiche, ma anche degli antecedenti più antichi.
Una grande opera, insomma, che non è però tanto una storia degli oceani, quanto una classica, ma molto aggiornata storia dell'espansione marittima. Come peraltro dichiara con chiarezza l'autore, notando in conclusione come in fondo sia una vicenda ormai concluda: senza più acque ignote o isole misteriose da scoprire; con i mari sempre più dominati dalle tecnologie portuali e dalle nuove forme di comunicazione. Ma proprio qui, mi verrebbe da dire, ci sarebbe la chiave per guardare più lontano, o almeno altrove. Per sognare una storia del mare che non racconti solo le conquiste umane, ma sia anche una storia delle coste, della pesca e delle immersioni. Che possa tenere conto anche dell'ecologia e della biologia, di cui - ci piaccia o meno - noi facciamo parte. Una storia della superficie e degli abissi, che parli per la prima volta dell'uomo assieme a tutti gli altri esseri marini. Perché in fondo, come ci ha spiegato Herman Melville, che senso avrebbe l'oceano senza le balene?
- di Alessandro Vanoli - Pubblicato sulla Lettura del 6/12/2020 -
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