La necessaria autocritica della Teoria Critica
- di Benoît Bohy-Bunel- 20 ottobre 2019 -
Nel contesto di una divisione istituzionalizzata tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, la teoria è violenta. Se una teoria "critica" esiste, il suo primo atto conseguente è l'autocritica. Diversamente, essa è solo un ossimoro. E bisogna che ponga anche un principio di umiltà. Alcune persone hanno subito delle violenze a scuola, e il tono, il gergo, il tecnicismo proprio alla teoria, compreso quello della teoria cosiddetta "critica", rischiano di essere violenti, anche nel caso in cui si cerca, da parte di chi la trasmette, di essere gentile e premuroso. Inoltre, perfino la parola scritta, in sé stessa, per molti individui è escludente. E tuttavia, per tutti e per tutte, appropriarsi della teoria critica può anche avere una dimensione emancipatoria. Ma essa diviene emancipatoria solo nella misura in cui mira alla propria auto-abolizione (in una società emancipata, non esisterebbe più in questa sua forma specializzata e separata).
Peraltro, a volte il tono freddo e distante della teoria critica sembra essere sfasato rispetto allo scandalo del mondo che descrive. Nel peggiore dei casi, sembra essere privo di empatia. Quando descrive il mondo, non sembra forse muoversi proprio all'interno di quel "razionalismo" freddo e oggettivante proprio del discorso che sostiene di voler combattere? Solo una strategia di détournement, che si appropri delle armi di quell'ordine che dev'essere combattuto, in modo da rivolgergli contro quelle stesse armi, sembra essere l'unica promettente. Può essere immaginata come una specie di «hacking teorico».
La teoria corre anche il rischio di diventare validista [*]. Gli individui che vengono assegnati alla "follia", coloro che non interiorizzano i contesti logici vincolanti, si vedono semplicemente esclusi da questi discorsi. Tuttavia, a volte, alcuni di questi discorsi pretendono di "denunciare" tale validismo. Questa contraddizione assertiva, dà parecchio da pensare. Si cerca, in questo caso, in maniera partenalistica, di "liberare" degli individui i quali non avrebbero le "risorse" per poterlo fare essi stessi da sé soli. Il teorico critico del validismo, razionalista e tecnico, purtroppo non è molto distinguibile dal "badante", il quale intrattiene una relazione gerarchica con la persona che viene "curata". In questo genere di situazioni, la teoria critica deve essere anche in grado di imparare, a volte, a tacere, per lasciare che si esprimano le parole delle persone che si trovano lì coinvolte, e che hanno i loro propri linguaggi, i loro propri modi di esprimere le loro sofferenze.
La critica tecnica e "scientifica" della violenza simbolica, è essa stessa una violenza simbolica che non sempre viene considerata. Nel momento in cui si finisce per comprenderne la sua dimensione violenta, ciò non va fatto in maniera cinica o disincantata. Questo significherebbe dialettizzare la nostra relazione con la teoria critica, la quale rimane una forma alienata, per quanto sia potenzialmente emancipatrice. È nel momento in cui prende veramente coscienza della sua forma alienata (e superabile), che la teoria diventa effettivamente emancipatrice, sebbene in modo piuttosto limitato e ristretto. Nel migliore dei casi, arriva a capire di essere parte di un più vasto campo rivoluzionario nel quale si trova inscritta e dove prevale la pluralità delle tattiche (è solo un settore alla fine abbastanza configurato, necessario ma non sufficiente, potenzialmente emancipatore, ma assai imperfetto).
Del resto, anche questo stesso testo è auto-contraddittorio in sé, per definizione. Non in maniera cinica. Chi scrive è consapevole della sua propria miseria, e vorrebbe anche riuscire a superare questa miseria, la quale è a sua volta il riflesso di altre sofferenze, collettive. In un mondo in cui ogni attività specializzata è una miseria, la teoria critica sviluppa la sua particolare miseria, ed è forse a partire da una certa presa di coscienza che si possono stabilire ricchi dialoghi, con la diversità di quelli che sono i nostri linguaggi.
- Benoît Bohy-Bunel - Pubblicato il 20/10/2019 su benoitbohybunel philosophie -
Nota del traduttore
[N.d.T.: "Validismo" (o "Capacitismo") è un termine che viene usato per descrivere la discriminazione, l'oppressione e l'abuso derivanti dal concetto secondo cui le persone con disabilità sono inferiori alle persone senza disabilità"].
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