Marx femminista?
- di Maria Rita Kehl -
Proprio così: Marx femminista.
Nel grande secolo borghese, l'oppressione sessuale delle donne non avrebbe potuto rimanere inosservata dalla sensibilità libertaria dell'inventore del socialismo scientifico. E neppure può essere detto che la cosa sia avvenuta per caso: basta leggere il suo piccolo saggio - un articolo praticamente - Sul suicidio [N.d.T.: articolo che può essere letto per intero qui, nella mia traduzione]. Scritto nel gennaio del 1846, era stato stampato dal "Gesellschaftsspiegel", Organo di Rappresentanza delle Classi Popolari Diseredate e di Analisi della Situazione Sociale Attuale. Quale altra società, per quanto capitalista socialdemocratica, avrebbe mai potuto creare un organismo, un'agenzia con funzioni talmente precise? Certamente, niente a che vedere con i nostri vaghi e approssimativi (e oggi praticamente obsoleti) Segreterie del Benessere Sociale.
Nel suo articolo, Marx riprende, traendone spunto, la relazione di un archivista della polizia - tale Jacques Peuchet (morto nel 1830) - che trattava i numerosi casi di suicidio riscontrati nelle ricerche statistiche sulla società francese durante la Restaurazione. Il testo si compone dei commenti che Marx fa su alcuni estratti tratti dalle relazioni di Peuchet. Nessuna delle scelte può essere considerata neutrale, e si nota subito come proprio la scelta degli estratti fatta da Marx renda lo scritto come un testo di Marx, che va oltre Peuchet. Come scrive Michael Löwy in una sua prefazione, osservando le tragiche vite di decine di lavoratori francesi, il giovane Marx sembra scoprire ciò che nel successivo secolo sarebbe poi diventata una verità consolidata: la stretta connessione e l'intreccio tra politica e vita privata.
«Che razza di società è questa, dove ci si trova nella più profonda solitudine in mezzo a così tanti milioni di individui; dove si può essere sopraffatti da un desiderio implacabile di uccidersi, senza che nessuno possa prevederlo?»
Il problema rilevato da Marx - ma che, nel 1846, non sa come risolvere - attiene al fatto che le estensioni del potere politico sulla vita privata - e che nel 20° secolo verranno poi chiamate da Michel Foucault reti di micropotere - non vengono eliminate automaticamente dalle trasformazioni rivoluzionarie. Peuchet, che ha attraversato la Rivoluzione Francese, riesce a percepire un tale limite: « La rivoluzione non ha abbattuto tutte le tirannie; i mali, di cui si incolpavano le autorità dispotiche, rimangono nelle famiglie: in queste essi provocano crisi analoghe a quelle delle rivoluzioni. »
Le tabelle pubblicate da Peuchet registrano il verificarsi di 2.808 suicidi a Parigi, in solo 7 anni (tra il 1817 e il 1824). A catturare l'attenzione di Marx non furono i suicidi dei lavoratori, motivati dalla disoccupazione, dalla miseria, dallo sradicamento violento delle persone che dopo la rivoluzione industriale migravano dalla campagna per andare nelle città. Dei quattro casi di suicidio, narrati con stile letterario (e melodrammatico) da Marx/Peuchet, solo uno fa riferimento a un membro della guardia reale che è stato « licenziato, come molti altri, senza troppe cerimonie »; e che rimase incapace di mantenere la sua famiglia. Gli altre tre sono drammi che hanno come interpreti delle giovani donne cadute in disgrazia - come si soleva dire - a causa di qualche errore nella loro vita sessuale.
La «salvezza delle donne»
« La classificazione delle diverse cause di suicidio dovrebbe essere la classificazione dei mali stessi della nostra società », osserva Puchet. Ed è egli stesso che alla fine della sua relazione elenca quali sono le ragioni principali che hanno condotto uomini e donne a porre fine alla loro stessa esistenza: passioni, litigi, dissapori domestici, malattie, depressione, fragilità, cattiva condotta, miseria ecc. Ad aver maggior incidenza sono i suicidi causati da « Malattie, disgusto della vita e debolezza di spirito », qualsiasi cosa quest'ultimo termine possa voler significare.
Se Marx, da parte sua, decise di studiare tre casi di donne che si erano suicidate, lo fece perché le relazioni di Peuchet lo avevano spinto ed aiutato a capire come la condizione femminile, nel 19° secolo, trascendesse quelli che erano i limiti della lotta di classe. Forse la depressione che aveva spinto le donne a uccidersi comprendeva, tra le motivazioni, quella «debolezza di spirito»: la condizione femminile non era mai stata così fragile come nel periodo in cui cominciava a strutturarsi la famiglia nucleare borghese, così come la conosciamo fino ad oggi. L'urbanizzazione e la divisione del lavoro, il disagio di molte madri nel contesto delle nuove configurazioni familiari, dal momento in cui, nelle città, avevano smesso di esistere le vecchie famiglie allargate delle culture rurali, e i focolari si erano chiusi in sé stessi , sotto forma della moderna "famiglia nucleare", e tutti questi elementi avevano fatto in modo che sulle spalle delle donne finissero per cadere maggiori responsabilità, un carico ancora più pesante di lavoro che faceva sì che dovessero esperire molta, molta più solitudine.
Non è certo una coincidenza che Dostoevskij abbia scritto, ne I fratelli Karamazov che « l'isteria è la salvezza delle donne ». A cos'altro avrebbero mai potuto ricorrere per esprimere la loro insoddisfazione per le tremende restrizioni loro imposte dal ruolo di (future) madri di famiglia e mogli devote? Il vecchio «attacco isterico» (che oggi, si badi bene, non si vede più) sarebbe stato l'espressione della solitudine, del sovraccarico di responsabilità e, soprattutto, dell'insoddisfazione sessuale e amorosa delle moderne madri di famiglia; operaie o meno. E non è certo nemmeno un caso che Freud abbia fondato la psicoanalisi alla fine di quello stesso secolo, con i suoi Studi sull'isteria, dove egli stabilì per la prima volta l'ipotesi di un'eziologia sessuale delle nevrosi.
I casi esaminati da Marx sono talmente semplici che, al giorno d'oggi, non servirebbero nemmeno come argomenti per una fiction televisiva: la ragazza che ha passato la notte con il fidanzato, alla vigilia del suo matrimonio, e che per questo viene condannata dalla sua propria famiglia; la moglie che è diventata letteralmente prigioniera del marito malato e geloso; la giovane donna di una famiglia ricca rimasta incinta di suo zio, la quale non ha trovato nessun medico disposto ad aiutarla ad abortire. Di fronte a questi casi, Marx si rende conto del fatto che la piramide del potere si regge, in ultima analisi, proprio a spese dei suoi anelli più debole; i lavoratori manuali che non hanno alcun altra risorsa se non la loro forza lavoro al servizio del capitale. E le donne, senz'altra risorsa se non la loro capacità riproduttiva al servizio della trasmissione dei patrimoni familiari.
Sono tutti quelli e quelle che, perfino dopo la Rivoluzione Francese, in pratica, si erano a malapena costituiti come soggetti di diritto. Di fronte a loro, e alla loro mancanza di difesa istituzionale, « Gli uomini più vili e remissivi diventano inflessibili non appena possono far valere la propria autorità assoluta (...). L'abuso della medesima costituisce del pari un grossolano risarcimento per le molte umiliazioni e soggezioni cui queste persone vengono sottoposte (...) nella società borghese. » Si riproduce in tal modo la logica discriminatoria del potere, grazie alla quale le piccole autorità familiari, i piccoli funzionari pubblici, compensano la meschinità della loro condizione: sottomettendo ai «rigori della legge» quegli individui che si trovano in una posizione ancora più fragile della loro.
- Maria Rita Kehl - Pubblicato l'8/02/2021 su Blog da Boitempo -
1 commento:
scrupoloso contributo ad una lettura, alla buon'ora, non meramente "marxista" di Marx, su documenti che non conoscevo e che mi paiono di notevole rilievo in merito a motivi che possono rimandare a certi approfondimenti, per esempio in "L'origine della famiglia". analogo "rinvenimento" ebbi molti anni or sono, quando cercai di metter insieme possibili presenze "tendenzialmente ecologistiche" nel cumulo smisurato dei materiali di Karl Marx.
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