Che brutti scherzi gioca la memoria, che brutto scherzo che è la memoria.
Somiglia sempre più agli scaffali di una libreria ingombra di volumi, dove i vecchi libri detengono ormai un posto inamovibile, mentre i nuovi fanno sempre più fatica a conquistarsene uno, per quanto precario.
Si accampano - più timidamente - su un tavolino, su un comodino, ed è lì che vivacchiano aspettando educatamente una migliore sistemazione .
E somiglia a quella libreria soprattutto proprio quando cerchi un libro, un ricordo di cui in quel dato momento hai un disperato bisogno; e non riesci a trovarlo, a metterlo a fuoco.
Ti manca nella mente la posizione cui poterlo riferire, il nome cui collegarlo, ti manca l'immagine del libro, la sua copertina e o la sua costola: una, qualcuna o tutte queste cose insieme.
E poi, improvvisamente, come il balenìo d'un lampo, ecco che davanti agli occhi ti compare quello che cerchi.
Parole, facce, nomi, profumi, musica si intrecciano in maniera ineludibile e si richiamano l'un l'altro.
Ciascun ricordo ha senso solo all'interno della sequenza. Ciascun libro ha senso solo all'interno del suo scaffale. Ciascuno scaffale può avere i suoi libri disposti solo in quella tua libreria.
E le immagini sono inscindibili dalla colonna sonora, quella musica che cominci a sentire che sale. Piano piano. Un po’ come il film "Giù la testa" e il suo motivetto "scion scion"!
Ed ecco la domanda sale prepotente.
A quale libro rinunciare? Quale ricordo estirpare? Quale libro rimuovere dallo scaffale? Quale faccia cancellare? Quale nome dimenticare? Quale sequenza sovrascrivere? Quale canzone smettere di cantare? A quale sogno rinunciare?
Ma poi, perché farlo? Perché mai?!?
Forse perché la memoria ha una sua dimensione data, una sua quantità finita.
E una volta oltrepassato il limite, una volta che lo hai superato, ecco che tutto comincia a traboccare, a colare, a scorrere via.
Oppure si tratta solo di un fardello che col tempo si è fatto troppo pesante da portare. E diventa sempre più pesante ancora. Insopportabile.
Così, d'un tratto è come se stessi parlando con un'interlocutrice che ti soppesa con occhi impietosi, e se poi la guardi meglio ti accorgi che quegli occhi sono come arrossati da tracce di rimprovero.
Ti guarda, a sua volta, ed è timorosa di essere lei la tua memoria - di essere lo specchio in cui potresti non riconoscerti più.
Gelosa. Possessiva.
Mal la si sopporta, col passar del tempo, una così che pretende di conoscere e vagliare le tue nuove amicizie.
Mette bocca in ogni cosa. Invadente. Giovane, di quella gioventù un po’ arrogante.
Consapevole della propria bellezza. Troppo consapevole! Una così è capace di farti fare qualsiasi cosa!
Lasciandoti poco tempo a disposizione per pensare, dopo, se ne era valsa davvero la pena.
Ma quando sei stanco, deluso, a pezzi, come lo sei ora, chi altri ti potrebbe mai consolare?
Chi meglio di lei sa quel che sei, conosce quel che sei stato, quel che senti, quel che vuoi?
È l'unica in grado di sussurrare le parole che ti servono,mentre ti guarda con gli occhi del colore giusto e ti chiama con il tuo nome.
Sa anche perfino cullarti con le strofe di quella vecchia canzone che avevi il terrore che un giorno avresti potuto dimenticare.
E allora ecco che così diventa facile soffermarsi a guardarla - e nel mentre che lo fai è come se le tue rughe si distendessero, pur senza scomparire.
Ti suggerisci che sì, che a conti fatti ne è valsa davvero la pena.
E allora metti sul piatto quel vecchio disco di vinile, ti accendi una sigaretta, ti versi da bere e ti godi il tuo proprio sorriso calmo che ancora c'è.
(scritta per la prima volta intorno al 1999)
Nessun commento:
Posta un commento