Nel periodo storico in cui Roberto Arlt scriveva e pubblicava i suoi romanzi - fine anni '20, inizio anni '30 - si era venuto a creare uno spazio all'interno di una complessa rete di testi e di fiction che avevano a che fare con la letteratura, con i gruppi clandestini, il sabotaggio, la falsificazione di denaro, i gesti estremi di "terrorismo" e così via (qualcosa che poi si riverbererà, e che raggiungerà il suo culmine nella famosa frase di Bertolt Brecht, coniata proprio in quello stesso periodo: «Che cos'è rapinare una banca a paragone del fondare una banca?»): gli anarchici di Dostoevskij (I demoni, 1871) e di Conrad (L'agente segreto, 1907), i cospiratori di André Gide (I falsari 1925), e le bande di Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz, 1929). Allargando un po' tutta la questione, ecco che ci si rende possibile avvicinare Roberto Arlt anche a Fernando Pessoa (morto nel 1935) e perfino a Luigi Pirandello (morto nel 1936); in special modo, lo si può fare a partire dai pregiudizi connessi al concetto di «imitazione» e di «imbroglio identitario» (e non a caso, gli ultimi due menzionati si indentificano anche con gli elementi fascisti dell'epoca).
Tornando al saggio di Fredric Jameson ("Firme del visibile: Hitchcock, Kubrick, Antonioni"; in particolare, facendo riferimento alla sua discussione circa il film noir (nel quale il «pericolo» viene ridotto a quelli che sono dei gruppi specifici, impedendo così la riflessione sul «pericolo» più grande, inglobante, che è appunto - e di nuovo - la banca, e il capitalismo); in tutte queste «finzioni», l'insistente riaffiorare degli «anarchici» e dei «cospiratori» evidenzia la necessità strutturale di un contro-discorso, di un insieme di possibilità o di vie di fuga, a fronte dell'apparente inesorabilità del «progresso», ma anche la necessità di una «cronologia» (in cui l'attenzione si concentra su dei gruppi atipici, in modo che non si debba pensare al fallimento sistemico che ha richiesto la loro comparsa).
fonte: Um túnel no fim da luz
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