Di fronte alla varietà dei temi discussi in questi saggi ci si potrà chiedere se esista un filo che li leghi. Il titolo del libro ne offre uno. «La lettera uccide, lo spirito dà vita» disse Paolo di Tarso, contrapponendo alla legge giudaica in cui era nato la nuova fede – il cristianesimo – di cui fu il fondatore. «Uccide», «dà vita» sono metafore, che non vanno prese alla lettera. Ad esse si può rispondere con un’altra metafora: la lettera uccide chi la ignora. Dall’analisi ravvicinata di casi specifici emerge una versione della microstoria, qui presentata in una prospettiva inedita. Al centro di questi casi ci sono personaggi famosi (Machiavelli, Michelangelo, Montaigne) o semisconosciuti (Jean-Pierre Purry, La C.***); un testo o un’immagine; un tema (la rivelazione) o una lettera dell’alfabeto. E un elemento ricorrente: la riflessione sul metodo, sugli intrecci tra «caso» e «caso» – tra studi di caso ed elementi casuali, spesso prodotti deliberatamente. «Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi»: chi legge potrà scoprire i risultati, spesso imprevedibili, di questa affermazione di Aby Warburg.
(dal risvolto di copertina di: Carlo Ginzburg, "La lettera uccide". Adelphi, Il ramo d'oro, 71. 2021, pp. 252, € 30,00)
Folgorato sulla via della filologia da una frase delle Lettere di san Paolo
- di Carlo Ginzburg -
Comincio questo Diario di scrittura con una domanda rivolta a me stesso: nel caso del libro che sta per uscire da Adelphi (La Lettera uccide) è stata la scelta dei saggi a condizionare il titolo, o il titolo a condizionare la scelta? Opterei per la seconda alternativa. Molti anni fa, in un saggio intitolato per l’appunto La lettera uccide, avevo analizzato alcune reazioni, da sant’Agostino in avanti, al passo di san Paolo (Seconda Lettera ai Corinzi, 3, 6): «La lettera uccide, lo spirito dà vita». Il Nuovo Patto (il cristianesimo), dice san Paolo, si fonda sulla contrapposizione tra l’epistola che Cristo ha scritto nei cuori e quella scritta su tavole di pietra (un’allusione alle tavole della legge che Dio aveva dato a Mosè sul monte Sinai). Ma poco più avanti la Scrittura (l’Antico Testamento) viene recuperata attraverso una lettura non letterale (Seconda Lettera ai Corinzi, 3, 12-18).
A poco a poco quel titolo - La lettera uccide - agì come una calamita, attraendo altri saggi che avevo scritto o venivo via via scrivendo, su temi diversissimi: dalla microstoria, a Montaigne e al suo segreto (non dirò quale), alla Fine del mondo di Ernesto De Martino, e così via. In tutti questi casi era stata l’attenzione alla dimensione letterale di uno o più testi ad aprire la strada verso conclusioni spesso inaspettate, frutto di una lettura tra le righe, volta ad afferrare il non detto attraverso particolari rivelatori. La lettera è fatta
anche di questo. Nel rileggere quei saggi mi sono detto: la lettera uccide chi la ignora.
Lo sapeva bene sant’Agostino. La sua lettura in chiave allegorica della Bibbia (del Vecchio Testamento) è notissima. È stata trascurata invece la sua lettura in chiave letterale di passi imbarazzanti, come quelli sulla poligamia dei patriarchi. Agostino, professore di retorica, era ben consapevole della diversità dei contesti in cui la comunicazione si svolge. La poligamia dei patriarchi apparteneva a un mondo diverso dal suo, basato su consuetudini diverse dalle sue. Oggi sembra ovvio ricondurre una conclusione del genere alla nozione di prospettiva storica. In un saggio ormai lontano avanzai l’ipotesi che quella nozione sia stata generata dal rapporto, intriso di ambivalenza, del cristianesimo nei confronti dell’ebraismo. Un’ambivalenza inquietante, poiché il senso di superiorità (il cristianesimo come Verus Israel) ha nutrito, nel corso dei secoli, anche l’antigiudaismo e la persecuzione degli ebrei. Quest’ipotesi, su cui ho continuato a riflettere, ha finito col sospingermi verso san Paolo. Il saggio con cui si chiude il libro (Svelare la rivelazione. Una traccia) cerca di fare i conti con le implicazioni ineludibili delle parole «La lettera uccide».
La traiettoria qui delineata sommariamente spiega solo fino a un certo punto i criteri che hanno dettato la scelta dei saggi (molti inediti in italiano, tre inediti in assoluto) tra quelli che ho scritto nell’arco di vent’anni. Chi scorra l’indice sarà verosimilmente colpito dalla varietà dei temi affrontati, e delle discipline coinvolte. In realtà ho sempre pensato che i confini disciplinari siano fatti per essere oltrepassati, eventualmente trasferendo strumenti di analisi da un ambito all’altro. Dopo aver licenziato il libro per la stampa mi sono accorto di non aver segnalato (nemmeno in nota) che a un certo punto, nel saggio Svelare la rivelazione, avevo letto gli appunti giovanili di Hegel tenendo tacitamente presente la «critica degli scartafacci»: il termine sprezzante con cui Benedetto Croce aveva respinto la critica delle varianti proposta da Gianfranco Contini. A dirigermi verso questo o quel tema è stato molto spesso il caso, generato da un uso obliquo dei cataloghi elettronici e di Internet. Due saggi (Conversare con Orion e La latitudine, gli schiavi, la Bibbia. Un esperimento di microstoria) illustrano questo procedimento, e il suo risultato. Naturalmente il caso non agisce da solo: chi lo mette in moto reagisce (o non reagisce affatto) a partire dalla propria formazione, dalle proprie curiosità, dai propri pregiudizi. Ma perché mettere in moto il caso? La risposta è semplice: per essere colto di sorpresa dalla documentazione, nel senso più ampio del termine. Un titolo, un nome, una parola, possono suscitare una curiosità, e innescare una ricerca. Spero che ciò che ho scritto riesca a sollecitare la curiosità di chi legge. Il nesso con le domande poste dal presente è in molti casi indiretto, e non immediatamente visibile. Non sempre, però. Il breve scritto Non esiste un Dio cattolico parte da una frase di papa Francesco e ne rintraccia la genealogia, che a un certo punto intercetta un altro saggio (Ancora sui riti cinesi). Qualcuno obietterà: niente di strano, ogni vera storia è storia contemporanea. Ma questa celebre frase di Benedetto Croce non può essere accettata a scatola chiusa. Ne discuto nel saggio Microstoria e storia del mondo. La contemporaneità si riferisce alle domande o alle risposte? Certo, il presente pone delle domande al passato: ma questo è solo il punto di partenza. Per ottenere dal passato risposte non anacronistiche bisogna ricorrere alla filologia - la filologia in senso ampio, come la intendeva Giambattista Vico. Chi voglia saperne di più potrà trovare altri elementi nel saggio Le nostre parole, e le loro.
E allora torniamo al presente, e alle sue domande. Il primo settembre papa Francesco ha pronunciato una catechesi sulla lettera di san Paolo ai Galati, suscitando reazioni polemiche da parte del rabbino Rasson Arousi, presidente della commissione del Gran Rabbinato d’Israele per il dialogo con la commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo, e da parte del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Non avrei potuto, né saputo, commentare quella recentissima discussione, che senza dubbio tocca il tema che è al centro del mio libro (ormai in corso di stampa), anche se alla lettera di san Paolo ai Galati accenno solo rapidamente. Concluderò con un passo che avevo già scritto, e che si potrà leggere sul risvolto di La lettera uccide: «Mi guardo bene dal fare previsioni su ciò che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Si tratta dell’ultimo (per ora) fotogramma di un film plurisecolare. Ma questa metafora cinematografica è forse ormai superata da un’altra metafora, la schermata del computer, che sembra annullare lo spessore temporale: un sintomo (e una causa) dell’indebolimento della percezione storica nelle società contemporanee. Una perdita gravissima, ma non inevitabile: qualcosa contro cui dobbiamo lottare, servendoci anche del computer».
- Carlo Ginzburg - Pubblicato su Tuttolibri del 9/10/2021 -
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