1) Tra le carte di Flaubert - ritrovate dopo la sua morte e legate alla stesura di "Bouvard e Pécuchet" - c'è un foglio staccato che contiene un'unica citazione, tratta dall'Emilio di Rousseau: «È un fatto di palmare evidenza che le associazioni scientifiche d’Europa altro non sono che pubbliche scuole di menzogna», una frase che potrebbe funzionare come una sorta di epigrafe segreta al romanzo. Vi si trova, tra queste carte, anche un foglio di "grande formato", l'ultimo del manoscritto, su cui Flaubert aveva elencato una serie di «idee convenzionali», tra cui: difesa della schiavitù, difesa della Notte di San Bartolomeo, derisione degli studi classici, «Raffaello, nessun talento», «Molière, arazzo di lettere», «Omero non è mai esistito», «Shakespeare non è mai esistito; è Bacone l'autore delle sue opere».
2) I protagonisti del romanzo di Flaubert, all'inizio della storia, cominciano come copisti, impiegati: è questo il modo per cui si conoscono, il modo in cui si identificano. Dopo aver ricevuto un'eredità, possono andare, insieme, a vivere in campagna: ed è lì che passano anni a cercare di approfondire le loro conoscenze nei settori più diversi (istruzione, medicina, agricoltura, mesmerismo), sempre con risultati insufficienti, se non addirittura catastrofici. Nelle bozze, verso la fine del romanzo, Flaubert mette una frase la quale rappresenta allo stesso tempo sia la rinuncia che la riassunzione (come nell'Aufheben di Hegel, si tratta di un processo simultaneo di cancellazione e di sospensione, di seppellimento e di riesumazione, di conservazione e di superamento) in quella che è la relazione dei due - tornare a copiare come ai bei tempi andati. In altre parole, la fine del romanzo è stata pensata da Flaubert come un ritorno a uno stato precedente, quello dei copisti, ma ora, però, con una differenza cruciale: senza illusioni sulla possibilità di accedere alla «conoscenza».
3) Una delle «sciocchezze», delle insensatezze che possono essere trovati in autori celebri (e questo sarà il nocciolo del secondo volume che Flaubert aveva previsto per Bouvard e Pécuchet: un libro fatto in gran parte di citazioni, di frammenti di sciocchezze prese da grandi opere) riguarda Goethe, ed è stato scritto da Dumas, figlio: «quando i fanatici della forma per la forma, dell'arte per l'arte, dell'amore al di sopra di tutto e del materialismo, verranno a chiedervi di aggiungere "Uomo eccezionale", i posteri risponderanno: No!». Così, su Napoleone, Flaubert sottolinea una frase di Chateaubriand: «il più mediocre dei generali è più abile di lui». Lamartine parla di Rabelais come del «letamaio dell'umanità»; Marat parla di Descartes come di «un sognatore famoso per le deviazioni della sua immaginazione», e il cui nome «era fatto per la terra delle chimere» (questa dimensione di Descartes visto come "sognatore" è stata esplorata da George Steiner in uno dei saggi del suo "Nessuna passione spenta. Saggi (1978-1996)".
fonte: Um túnel no fim da luz
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