domenica 10 ottobre 2021

I nuovi «Protocolli dei Savi di Sion» !!

Il complottismo non è un delirio né una menzogna, non è un crampo mentale né un argomento fallace. Piuttosto è un problema politico. Questo libro, che su uno sfondo storico considera gli aspetti inediti di un fenomeno planetario, non si associa alla vulgata anti-complottista, ma propone una visione originale in cui il complotto è lo spettro di una comunità frantumata. Chi c’è dietro? Chi tira le fila? Il mondo, ormai illeggibile, ha un lato nascosto, un regno segreto, quello dello Stato profondo e del Nuovo Ordine Mondiale, dove si architettano piani, si manipolano informazioni, si controllano pensieri. Non è più un singolo intrigo. Il complotto è la forma in cui si rapportano al mondo i cittadini che si sentono condannati a una frustrante impotenza, inermi di fronte a un dispositivo tecno-economico insondabile, manovrati da un potere senza volto. Ecco perché il complottismo, che mette allo scoperto il vuoto della democrazia, si rivela una temibile arma di depoliticizzazione di massa.

(dal risvolto di copertina di: Donatella Di Cesare,  "Il complotto al potere". Einaudi, pp.114, €12 )

Complottismo
- di Massimiliano Panarari -

Complotto, complotto delle mie brame, chi è il più complottista del reame? O se si preferiscono i suoni gutturali, si può ricorrere direttamente al più ilare e inquietante, al medesimo tempo, «gomblotto». Si fa per scherzare, ma la questione è terribilmente attuale, avendo già prodotto livelli elevati di inquinamento della vita pubblica. E, proprio per questo, va presa molto sul serio, e decostruita senza sufficienza (come suggeriscono studiosi come Alessandro Campi). E proprio a questo tema dedica il suo ultimo, denso e affascinante libro, intitolato Il complotto al potere (Einaudi, pp.114, €12), la filosofa Donatella Di Cesare, professoressa alla sapienza di Roma e firma di queste pagine.

Se il novecento è stato il «Secolo americano», il Duemila rappresenta l'«età dell'oro del complottismo», e non vi è dubbio che si possano ritrovare alcuni fili di continuità tra questi momenti storici, con il cospirazionismo divenuto fenomeno di massa e gli Stati Uniti sino all'acme della sua diffusione col postmodernismo. Ma come ora, infatti, corre ossessivamente di bocca in bocca - anzi post in post, sui social - la domanda: «chi tira le fila» di tutto quello che c'è di sbagliato e non va? Ed ecco che il complottismo - evidenzia Di Cesare - si palesa mediante un filo, alternativo e non lineare, di (pseudo)razionalità in un mondo che si è fatto sempre più liquido e complicato da decifrare, «il complottismo è la reazione immediata alla complessità. È la via più semplice e rapida». Quella di chi, sentendosi costantemente destabilizzato, «non sopporta l'inquietudine, la domanda aperta. Non tollera di abitare in un paesaggio mutevole e instabile, non accetta l'estraneità». E, in buona sostanza, rigetta l'idea di essere, nella vulnerabilità e conseguente necessaria flessibilità, anche di essere «più libero e più responsabile».

Dunque, «il prisma del complotto restituisce un rassicurante scenario rigidamente manicheo», e si presenta alla stregua di un (artificiosissimo) simulacro di argine all'avanzare del caos dentro il quale siamo sprofondati. Un enorme paradosso che, per la verità, tale appare a prima vista, dato il contesto eminentemente paradossale in cui si trova chi abita la condizione postmoderna. Di qui, giustappunto, l'esigenza di dismettere un approccio normativo, come quello - annota l'autrice - che caratterizza in modo permanente i vari filoni dei «conspiracy studies», i quali propongono una gamma di ricette che vanno dalla «rieducazione cognitiva» al «debunking» (volto a mostrare l'illogicità e la fallacia delle tesi cospirative). Ma, all'atto pratico, non riescono a contenere adeguatamente il gonfiarsi della marea complottista che dilaga nello spirito di questo nostro tempo. E anche il modello interpretativo - dalla «teoria sociale della cospirazione» di Karl Popper ai lavori di Umberto Eco - che legge il complottismo come il ritorno dell'irrazionalismo e un rigurgito di pensiero magico al cospetto della secolarizzazione e di quello che Max Weber aveva etichettato come il «disincanto del mondo» pecca, secondo la filosofa, di un eccesso di perentorietà.

L'«anticomplottismo semplicistico» e l'atteggiamento «patologizzante che squalifica ogni critica alle istituzioni», non costituiscono la linea di condotta più opportuna, scrive la studiosa, ma scavano alla lunga una lacerazione che si allarga sempre più con coloro che si sono persuasi di essere degli alfieri di «scomode» (e improbabili) posizioni antisistema. E l'esito finisce per essere quello di un irrigidimento da parte di chi si è appunto convinto dell'esistenza di una dicotomia fra una «verità ufficiale» e una «verità nascosta», e si ritiene un coraggioso portatore della seconda contro tutto e contro tutti. Il complottismo, segnala con forza Donatella Di Cesare, coincide pertanto con un «problema politico». È una spia dello stato di malessere in cui - da tempo - sono precipitate le nostre democrazie rappresentative, e costituisce al contempo un'«ammissione di impotenza» di chi vi si riconosce di fronte alla moltiplicazione di eventi catastrofici nel quadro della globalizzazione. Il disagio di una parte dell'opinione pubblica - in uno scenario di disintermediazione, infodemia, accessibilità totale a una varietà inusitata di fonti di notizie (parecchie delle quali non verificate) - si salda con la sfiducia crescente nelle istituzioni. E, allora, viene edificata una ramificata dottrina politica che identifica la governance globale con un complotto planetario, ordito e gestito da «poteri forti», «potenze occulte», settori del Deep State. Un «derivato di consenso politico», verrebbe da dire, oggi di larga circolazione al punto - ulteriore paradosso - che sono entrati in campo, con relativo successo, diversi leader populsovranisti impegnati a «disvelare» i disegni criminosi dello «Stato profondo», sgravandosi così personalmente da ogni responsabilità e descrivendo la liberaldemocrazia come una farsa e un «regno delle ombre».

Una mera rappresentazione e un teatrino (della politica) proiettati su cittadini ignari e deprivati di ogni facoltà di incidere sulle cose, con il potere decisionale vero totalmente risucchiato dal Complotto che vuole imporre il «Nuovo Ordine Mondiale». Ed è, quindi, solo attraverso una riflessione politica sull'isolamento e il «risentimento sovrano» degli individui e la disintegrazione della società, e mediante uno sforzo di spiegazione dell'inesistenza di qualsivoglia schema totalizzante di comprensione della realtà che si può provare  a combattere più efficacemente, e sul lungo periodo, la concezione cospirativa. All'insegna di una rinnovata, per quanto difficoltosa, pedagogia politica.

- Massimiliano Panarari -

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