Se osserviamo lo sviluppo dell’umanità nello scorrere dei millenni, ci rendiamo conto che la vitalità degli imperi, di qualsiasi età e latitudine, è sempre stata influenzata da una costante ineludibile: le malattie infettive. Colpendo a ondate reiterate, questa «danza della peste» ha imposto il ritmo della crescita e del declino di ogni civiltà umana, nessuna esclusa. Charles Kenny analizza la grande Storia della nostra specie tramite la lente, spesso trascurata, delle infezioni. Un’esplorazione che va dai vecchi imperi dissolti a causa di nemici invisibili fino all’emergere del concetto di igiene e sanità pubblica, dalle rotte degli schiavi ai genocidi causati dal vaiolo, dalle quarantene nella storia delle migrazioni fino all’HIV e all’Ebola, dagli albori delle campagne vaccinali ai movimenti no-vax. Grazie ai progressi della medicina, nelle ultime generazioni pareva che l’umanità si fosse liberata dalla morsa dei cicli pandemici, dando vita a un mondo globalizzato e spensieratamente florido. Ma questo incredibile sviluppo è diventato precario proprio a causa degli insidiosi aspetti di una prosperità apparentemente senza limiti. Le fluttuazioni della popolazione, il commercio globale e il cambiamento climatico hanno reso l’umanità di nuovo vulnerabile alle epidemie, come ha dimostrato fin troppo chiaramente il caso del Covid-19. In queste pagine, chiare e puntuali, scopriamo aspetti inediti della storia dell’uomo, informazioni a tratti inquietanti che pure è quanto mai necessario conoscere. Ma capiamo anche quanto sia urgente una maggiore cooperazione globale verso una salute sostenibile se vogliamo rimettere l’umanità sul cammino virtuoso già intrapreso contro le infezioni.
(dal risvolto di copertina di: Charles Kenny, "La danza della peste". Bollati Boringhieri, pagg. 272, 19 euro )
Pronti a danzare con la peste
- di Francesco Piccolo -
Il virologo premio Nobel sir Macfarlane Burnet nel 1962 affermava che la previsione più plausibile riguardo al futuro delle malattie infettive è che «sarà molto noioso». Proprio mentre mostrava tale sicurezza, nel bacino del fiume Congo circolava una malattia destinata a mandare all’aria questa previsione, e che sarebbe arrivata negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta: l’Aids. E poi ne sono arrivate ancora altre, fino al Covid-19 che ha rimodellato la vita dell’intero pianeta sulla base della contagiosità. Quindi, la storia continua. E un libro molto interessante cerca di ricostruirla interamente; si intitola La danza della peste. Storia dell’umanità attraverso le malattie infettive, è in libreria edito da Bollati Boringhieri, ed è scritto da Charles Kenny.
È un libro serio, pacato e incisivo, che ricostruisce la storia dal punto di vista delle pandemie; e quindi è un libro suo malgrado terribile, che si legge sia con insofferenza sia con curiosità, mentre si soffre e si riconosce con nitidezza che le malattie infettive hanno determinato l’intero arco storico delle vicissitudini umane: alcune pesti hanno ucciso milioni di persone in pochissimo tempo; le scoperte come quella dell’America hanno esportato e importato malattie mortali, così come le conquiste dei vari imperi — e la fine dell’impero di Giustiniano è colpa di un’epidemia; sono state le pesti che hanno fatto vincere e perdere le guerre, almeno fino alla prima guerra mondiale, quella in cui i morti caduti in battaglia sono stati per la prima volta più numerosi di quelli dei contagiati dalle malattie — prima, invece, le crociate, la guerra dei trent’anni, le campagne di Napoleone, e quant’altre, sono state decise da tifo, colera, malaria, peste nera.
Che altro possiamo fare, oltre che difenderci, se non capire il più possibile cosa stiamo vivendo e perché. Cos’è la cultura, se non ragionare intorno a qualcosa che sta succedendo, e cercare di capirla. E anche se la storia delle pandemie racconta i modi di morire e il fetore delle pesti, allo stesso tempo ci mette a confronto con tutto ciò che l’umanità ha subìto nei secoli, e ci permette di conoscere e capire in cosa siamo immersi, e perché. Racconta quanti pochi mezzi abbiamo avuto per tanto tempo, perché alcune soluzioni sopravvivano ancora oggi (il distanziamento); e come tutto è cambiato quando abbiamo scoperto la possibilità di inoculare qualcosa che lottasse contro le infezioni all’interno del nostro corpo. È un libro che racconta come le malattie infettive abbiano condizionato la storia del pianeta, e allo stesso tempo è anche la cronaca della capacità di combatterle, dell’illusione di essere vicini a debellarle; e quanto invece adesso stiamo capendo che i modi di vivere, gli insediamenti, la densità di popolazione ci costringono a convivere con queste malattie cercando di addomesticarle — perché l’eradicarle è stato evento rarissimo.
Eppure questo libro racconta anche che abbiamo una risposta sempre più efficace. Perché la spaventosità di ciò che è accaduto nei secoli forma conoscenza, e la conoscenza mette al riparo da tanti pregiudizi sommari. Non si tratta qui di entrare in modo diretto nella polemica con coloro che sono contro ciò che viene inoculato nel corpo umano, ma di affermare che ogni strumento di conoscenza è un elemento in più per capirci qualcosa. E La danza della peste è un grande strumento di conoscenza che aiuta a chiarire e a riflettere in maniera seria su ciò che nel corso del tempo abbiamo subito, provocato, studiato, curato, risolto.
Il libro di Kenny si conclude con una considerazione: ci si concentra sulle minacce come la fame e la povertà — ma non sarà la carestia provocata dal sovraffollamento del pianeta la condanna principale; perché se non passiamo a cicli di produzione più sostenibili per l’ambiente, la minaccia più pressante restano le pestilenze. E poiché «per buona parte della storia è stata la mancanza di tecnologie adeguate più che di terre da coltivare a costringere i popoli in povertà, è ragionevole pensare che sostenendo il progresso tecnologico potremo permettere a oltre nove miliardi di persone di vivere sulla terra in armonia». Quindi si continua a suggerire che l’unico strumento costante di lotta contro le pesti è il progresso — che è il nome più ampio che diamo alla scienza.
Il progresso è una questione molto più complessa. Perché oggi in un vagone della metropolitana di New York ci sono tante persone quante ce n’erano secoli fa in un villaggio di campagna, quindi in uno spazio ampio, con le distanze e all’aperto. E quindi il progresso, l’aggregazione e le sue scelte sono state nei secoli il motivo principale per cui le epidemie sono diventate così rapide e feroci; sono cresciute per esempio perché le città si chiudevano dentro le mura dove vivevano ammassati uomini e animali.
Tutto ciò ha reso la via del progresso problematica. Allo stesso tempo, non può essere altri che il progresso a trovare le soluzioni. Perché quello che è successo, la costruzione del mondo nuovo, ha anche portato la capacità di individuare gli anticorpi alle epidemie, tanto è vero che a un certo punto abbiamo sperato che potessero diventare un argomento noioso.
E anche se non è successo, e anche se adesso è arrivata un’epidemia che ci ha sorpreso per la potenza e per la rapidità di diffusione in sintonia con la capacità di muoversi dell’umanità — nonostante tutto la reazione è stata la più veloce di sempre per trovare in modo di attenuarne o bloccarne la forza. È a questo processo che ci si deve affidare: non si può arretrare, perché il progresso è sempre capace di rompere gli equilibri ma è anche capace subito dopo di riassestarli. Ed è questa, allora, più precisamente, la parte del progresso che possiamo chiamare scienza: l’ostinata volontà di trovare un modo di riassestare un ordine deragliato.
E a questo ci dobbiamo testardamente affidare. Perché la storia dell’umanità attraverso le malattie infettive ci dice che alla fine, guardando dall’alto, da lontano, nella sua costruzione di vita nei secoli, il combattimento si vince, e in modo sempre più rapido. Come sta succedendo adesso, in confronto con il passato anche recente.
- Francesco Piccolo - Pubblicato su Robinson del 25/9/2021 -
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