Una leggenda ebbe grande diffusione in tutta Europa tra la metà del Seicento e i primi del Novecento. Nascosta tra le righe di un trattato di diritto marittimo pubblicato a Bordeaux nel 1647, questa mitologia attribuiva agli ebrei l’invenzione delle lettere di cambio – strumento in apparenza simile al moderno assegno, che consentiva il movimento di grandi somme di denaro senza alcuno spostamento di monete o lingotti e che, in mano a banchieri esperti, agevolava forme di speculazione del tutto avulse dallo scambio delle merci. Storicamente infondata, questa leggenda ebbe tuttavia un successo enorme. Se ne trova menzione in una miriade di testi oggi poco noti, nonché in grandi autori come Montesquieu, Marx e Sombart. Perché? Come le lettere di cambio attraversavano mari e monti senza lasciare traccia, così gli ebrei apparivano indistinguibili dai mercanti cristiani. In questa ‘invisibilità’ non era facile riconoscere il mercante onesto dall’ebreo usuraio. Ben prima della mano invisibile di Adam Smith, l’invisibilità degli ebrei fu dunque una tra le metafore predilette dei pensatori europei e diede voce a timori profondi legati ai lati più oscuri e ingovernabili del nascente capitalismo finanziario.
(dal risvolto di copertina di: Francesca Trivellato, "Ebrei e Capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata". Laterza, 25€ )
Gli ebrei non hanno inventato il capitalismo ma la leggenda ha creato l’antisemitismo
- di Elena Loewenthal -
Che cosa potrà mai tenere insieme la piattaforma Rousseau (nel senso di Casaleggio & Co.), un naufragio di massa nel golfo di Biscaglia a metà gennaio del 1627 (due mercantili portoghesi e cinque galeoni armati di scorta), l’invenzione delle lettere di cambio e la numerosa, per quanto sottotraccia, comunità di conversos a Bordeaux, fra il XVI e il XVII secolo? Più che una domanda sembra un rompicapo, e forse lo è. Eppure Francesca Trivellato, Andrew W. Mellon Professor presso l'Institute fos Advanced Studies di Princeton, docente e ricercatrice di storia economica in età moderna, allieva di Giovanni Levi, fondatore insieme a Carlo Ginzburg della microstoria nonché grande studiosa di storia moderna, crea in questo suo libro, "Ebrei e Capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata", un tessuto perfettamente coerente di tutto questo e tanto altro. È un saggio storico che si legge praticamente come un romanzo, che avvince e illumina - nel senso quasi letterale della parola. L'obiettivo di questo saggio è, certo, quello di sfatare una leggenda tanto comune quanto scivolosa, che di fatto sta alla radice dell'antisemitismo moderno, secondo cui si attribuiscono ai figli di Israele un uso morboso e malefico del denaro e l'invenzione del capitalismo più spregiudicato.
Sta di fatto che, attraverso i lunghi secoli del Medioevo - età per molti versi tutt'altro che buia - il prestito su pegno o a interesse era vietato ai cristiani per il semplice motivo che si fondava, e si fonda, su un uso «economico» del tempo, che è Dio e non può per questo diventare profitto. Per questa ragione le comunità ebraiche facevano gioco, e a loro fu imposto l'esercizio di questa professione tanto sgradita quanto necessaria.
Etienne Cleirac (1583-1657), autore di "Us et Coutumes de la mer", un trattato di diritto marittimo pubblicato a Bordeaux nel 1647 che a suo tempo ebbe un grandissimo successo, offre a Trivellato lo specchio di un passaggio cruciale nella percezione della minoranza ebraica d'Europa, e dei danni immensi che questo passaggio provocò, pure a secoli di distanza.
L'indagine di Trivellato si sofferma anche su un altro testo, di pochissimo più tardo: il "Parfait négociant", di Jacques Savary che, uscito nel 1675, costituisce un vero e proprio «manifesto della società mercantile francese del Seicento». Ebbene, il Parfait négociant riprende l'associazione negativa, di lunga data, tra ebrei e credito e la variante introdotta da Cleirac: la figura dell'ebreo prestatore su pegno lasciava ora il passo a quella dell'ebreo mercante internazionale con tentacoli dappertutto e capacità superiori. Di primo acchito i due archetipi sembrano l'uno opposto all'altro, in quanto il primo è legato a un'economia di scarsità e al credito al consumo, mentre il secondo all'abbondanza e al credito commerciale. In realtà, sia nella cultura alta che nell'immaginario comune, il concetto di «usura» era connaturato a entrambi gli stereotipi.
Lungo un'indagine estremamente interessante che spazia sempre con grande acribia dalla filologia dei testi all'analisi dei dati, Trivellato conduce il lettore lungo la storia di questi due stereotipi, spiegandone per un verso l'eziologia. per l'altro le deleterie conseguenze sul piano sociale, culturale, materiale. In sostanza, non sono stati gli ebrei a inventare né l'usura né il credito, né tanto meno il capitalismo. Ma all'Europa ha fatto sempre molto comodo additare il «colpevole», tanto nefasto quanto necessario alle complesse dinamiche della storia.
Ne risulta un saggio storico interessante per molti versi. In primo luogo perché sfata un pregiudizio. Poi perché lo fa con un'analisi tanto ampia quanto minuziosa: il lettore può a tratti avere l'impressione che questa disamina si concentri essenzialmente su un periodo storico molto preciso (la metà del Seicento) e un particolare contesto geografico e politico (Francia), ma in realtà non è affatto così perché gli orizzonti entro cui spazia l'indagine sono ben più ampi, nel tempo e nello spazio. E al di là di una doverosa «revisione» della storia europea in questo contesto, l'invito di Trivellato è anche quello di ripensare la vicenda ebraica per come è stata scritta e percepita dalla seconda metà del Novecento in poi. Tutto va insomma connesso con la disponibilità a rimettere in discussione i punti fermi, che per definizione stessa fanno molto in fretta a diventare luoghi comuni. Magari perniciosi.
- Elena Loewenthal - Pubblicato su Tuttolibri il 02 Ottobre 2021 -
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