All’inizio del 2020, l’intera umanità si è trovata d’improvviso immersa in uno dei più sinistri romanzi distopici che siano mai stati concepiti. Solo che non era un romanzo. E mentre la pandemia dilagava in successive ondate, non meno contagiose erano le ondate di retorica che si sono abbattute su tutti noi, in molteplici varianti. Contro questo secondo flagello, un farmaco efficace e senza effetti collaterali è Arresti domiciliari, dove Alan Bennett – e chi, altrimenti? – riesce a guardare alle ripercussioni della catastrofe con sovrano understatement, sfiorandole con quel tocco leggero che è solo suo, in un diario che, giorno dopo giorno, intreccia riflessioni e ricordi del passato ad aneddoti e osservazioni sull’inopinata congiuntura del presente.
(dal risvolto di copertina di: ALAN BENNETT, "Arresti domiciliari.Diari dalla pandemia". Traduzione di Mariagrazia Gini. ADELPHI, Pagine 64, €5)
Tre minuti di applausi spezzano il lockdown
- di Livia Manera -
Come ha vissuto la pandemia un ottuagenario scrittore londinese, nella sua bella casa di Primirose Hill, con un partner molto più giovane e devoto, ma altrimenti, come tutti noi, isolato? In "Arresti domiciliari", smilza raccolta dei suoi appunti quotidiani che fin dagli anni Ottanta vengono pubblicati quasi in tempo reale dalla «London Review of Books» e poi in libro, Alan Bennett si sofferma sui temi che da sempre lo contraddistinguono quale intellettuale dal tocco lieve, l’intelligenza pruriginosa, l’ironia, l’orecchio intonato alle piccole e grandi assurdità della vita, la passione civile e l’indignazione verso le ingiustizie. Confinato, scherza che il normale trantran di chi scrive «adesso ha l’endorsement del governo». Di nuovo c’è solo il fatto che il suo partner Rupert Thomas, costretto a dirigere la rivista «The World of Interiors» da casa, ora gli porta il tè a intervalli regolari e gli cucina un pranzo caldo tutti i giorni. Ridotte all’osso dalla pandemia, le poche interazioni sociali alternano fitte di tristezza — la morte di un amico e l’impossibilità di raccogliersi al suo funerale — a deliziosi momenti di assurdità. Come quando Bennett riceve un messaggio da un tale che si è tatuato il ritratto dello scrittore sul braccio: «Il tatuaggio piace molto, anche se una persona stranamente ci ha visto Henry Kissinger. È anche un divertente argomento di conversazione durante i rapporti sessuali».
Pur limitato dalle circostanze e dall’artrite, Bennett — uomo dalla vita fortunata che lo ha portato, figlio di un macellaio, a insegnare Storia medievale a Oxford e poi a scrivere pièce amatissime come La pazzia di re Giorgio — è un autore a cui bastano pochi tratti per dar voce alla coscienza o strappare un umanissimo sorriso. Che se la prenda con Boris Johnson, i cui discorsi alla nazione sull’emergenza virus sono drammaticamente vuoti, o che osservi come basta una bella giornata di sole a «disintegrare» il lockdown nei parchi di Londra, Bennett riesce trasformare la banalità del quotidiano in una serie di momenti rivelatori. La scena in cui lui e Rupert, durante i tre minuti di passeggiata serale intorno all’isolato, vengono sorpresi dalla gente che alla finestra applaude per ringraziare i lavoratori del servizio sanitario nazionale, è un pezzo di teatro dell’assurdo. Impossibilitato dal bastone che lo sorregge ad applaudire lui stesso, camminando per strada «do l’impressione — scrive — di prendermi l’applauso e addirittura di cercarlo. Tento di ripudiare tutto ciò sorridendo lievemente e scuotendo la testa, ma sembra che stia facendo il modesto…». Fortuna che la fama si rivela anche utile. Quando la Bbc gli propone un revival dei monologhi del 1988 Talking Heads, perché si può registrare con gli attori su Zoom, viene deciso che il cast e la troupe riceveranno un compenso fisso, mentre i profitti saranno devoluti agli ospedali. «Un po’ mi spiazza scoprire che si tratta di una cifra intorno al milione di sterline».
Ma i momenti più ispirati di queste pagine (ben tradotte da Mariagrazia Gini) sono quelli in cui Bennett dà voce ai suoi ricordi. Quando il virus mortale era la tubercolosi che uccise il bambino della casa accanto. Quando tutta la famiglia prendeva il treno di domenica per andare a pescare, assurdamente vestita con gli abiti migliori, e poi sbagliava riva del fiume e non pescava niente. Quando il padre nei momenti liberi costruiva giocattoli di legno e con le erbe faceva una birra «esplosiva». Finita l’emergenza, nell’autunno del 2021 Bennett e Thomas torneranno nella casa dello Yorkshire dove negli anni Sessanta si erano trasferiti i genitori dello scrittore. Che chiude il cerchio con un delizioso tocco di nostalgia. «Pazienza se è famoso, lei», gli dice il carbonaio, che ha conservato viva la memoria dei suoi genitori. «Non varrà mai come il suo papà».
- Livia Manera - Pubblicato su La Lettura del 7/5/2023 -
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