La brutale realtà lavorativa dei magazzini di Amazon, fatta di ritmi insostenibili, tattiche antisindacali aggressive e sorveglianza digitale, non è più un mistero, come testimoniato da numerose inchieste giornalistiche. Queste, per quanto necessarie, non restituiscono però la portata storica di quello che sta succedendo nei centri logistici del colosso di Seattle sparsi in mezzo mondo. Oggi sono loro, infatti, gli avamposti del capitalismo, come negli anni Sessanta e Settanta del Novecento lo furono le fabbriche del Nord Italia che alimentarono il boom economico. Ed è proprio tra le mura dei magazzini di Amazon che si sta ridefinendo il nuovo rapporto, conflittuale, tra capitale e lavoro. Alessandro Delfanti li ha visitati, questi magazzini, e ha intervistato decine di dipendenti ed ex dipendenti. Il racconto che emerge dalle pagine del suo libro diventa l’innesco per una riflessione che arriva al cuore del capitalismo digitale contemporaneo e ne mette a nudo la contraddizione più importante: la tecnologia e l’automazione non mirano a sostituire il lavoro umano, bensì a misurarlo e sottometterlo. Qualcosa però sta cambiando, come hanno dimostrato gli scioperi degli ultimi anni. E una resistenza è possibile.
«Per quanto il magazzino possa ricordare una fabbrica, si tratta comunque di una fabbrica digitale, frutto dell’innesto di una logica contemporanea sul tronco del capitalismo industriale. In questa tensione tra il vecchio e il nuovo, Amazon aggiunge tecnologie futuristiche al suo arsenale di strumenti per l’organizzazione del lavoro, e al tempo stesso ripropone vecchi metodi di controllo della manodopera. In un certo senso, si tratta della versione digitale del tumultuoso apice del primo capitalismo industriale.» Alessandro Delfanti
(dal risvolto di copertina di: Alessandro Delfanti, "Il Magazzino". Codice Edizioni, pp.256, €22)
L'incubo del lavoratore è il magazzino di Amazon con robot e algoritmi più spietati dei sorveglianti
- Ritmi insostenibili, tattiche antisindacali aggressive e controllo tecnologico: l'autore ha visitato i centri di smistamento del colosso dell'e-commerce in Italia e intervistato dipendenti ed ex-dipendenti, perché i metodi «di cui la multinazionale di Seattle è stata pioniera» si stanno diffondendo in altri settori -
di Simona Regini
«Questo è un libro di parte, che sta con le lotte per migliorare le condizioni di lavoro nel magazzino». Il magazzino a cui si riferisce Alessandro Delfanti è quello del gigante dell'e-commerce, anche se «Amazon è ben più che una semplice azienda di e-commerce con circa 1,5 milioni di dipendenti e una delle più grandi società private del mondo». Di suoi magazzini ce ne sono migliaia in Europa, Nord America e Asia. La casa madre di Seattle è infatti il fulcro di una gigantesca rete globale di uffici, campus, data center e appunto magazzini. In Italia, il primo e più grande magazzino Amazon si trova a Castel San Giovanni, a un quarto d'ora da Piacenza, città dove Delfanti è cresciuto e dove dal 2011 l'azienda di Bezos è una presenza constante: «lo è nei territori che circondano i suoi magazzini, dalle affissioni con le offerte di lavoro alle indicazioni stradali per gli autotrasportatori, fino agli articoli sui quotidiani locali che parlano di sindaci che brindano alla creazione di nuovi posti di lavoro mentre i gruppi ambientalisti denunciano gli effetti sull'inquinamento dovuti all'inevitabile aumento del traffico». A Piacenza si alternano più di tremila dipendenti organizzati in turni, ventiquattr'ore al giorno e sette giorni la settimana, per poter consegnare «il mondo a domicilio». Delfanti, che nella sua attività di ricerca indaga il rapporto tra lavoro e nuove tecnologie, in questo saggio denuncia come Amazon utilizza algoritmi e sistemi informatici di sorveglianza per gestire la forza lavoro e riflette su come la diffusa robotizzazione dei magazzini, e la schiera di algoritmi che monitorano passo passo i dipendenti, stiano influenzando il modo di lavorare. Non solo nella logistica. Corriamo il rischio - dice - di una sorta di «amazonificazione» anche di altri ambiti dell'economia, perché già altre aziende, in vari settori industriali, hanno iniziato a imitare sempre di più «le tecniche di cui la multinazionale di Seattle è stata pioniera». Amazon non solo sta diventando sinonimo di mercato, ma «nel reinventare logiche che risalgono al primo capitalismo industriale, rafforzandole con la tecnologia digitale e nuove strategie gestionali, sta creando una nuova forma di sfruttamento e spianando la strada a un progressivo degrado del lavoro».
La precarietà, ovviamente, non è stata creata da Amazon, ma il «capitalismo di Amazon» è un sistema fondato su una forza lavoro «usa e getta»: chi non regge i ritmi «punitivi» del magazzino, viene sostituito. «Come nelle fabbriche del primo capitalismo, i lavoratori e le lavoratrici sono visti come elementi sacrificabili e facilmente interscambiabili ma, come se non bastasse, ne viene pianificata l'obsolescenza, assegnando loro una data di scadenza, perché soltanto corpi in forma possono sostenere i ritmi di lavoro richiesti». E in effetti, tutte le testimonianze raccolte dall'autore evidenziano come lavorare in magazzino significhi dover sostenere ritmi fisicamente estenuanti, dettati dagli algoritmi aziendali che organizzano il lavoro, e sottostare a un sistema di sorveglianza invasivo che monitora costantemente la produttività. L'automazione - denuncia l'autore - sta disumanizzando sempre più il lavoro, non tanto perché soppianta lavoratori e lavoratrici, ma perché li sottomette affinché nulla possa fermare la circolazione delle merci. «Ogni cosa dentro il magazzino è pensata in funzione di quella velocità e di quella efficienza che l'azienda promette ai consumatori». Amazon - spiega Delfanti in questa analisi lucida che mette in luce la realtà che si cela dietro il logo sorridente - è l'avanguardia del capitalismo digitale: eccelle nell'utilizzo della tecnologia per massimizzare l'accumulazione privata di potere e capitale e per sincronizzare i ritmi dei lavoratori a quelli del magazzino e dei nuovi schemi di consumo. E ora che l'e-commerce sta diventando la forma di consumo predominante, da un lato il magazzino soppianta il centro commerciale, dall'altro rappresenta la nuova fabbrica, dove l'orologio è rimpiazzato dall'algoritmo e, in maniera ancora più spregiudicata, la manodopera deve adattarsi ai ritmi di lavoro imposti dalle macchine. «Quando é il capitale a guidarla, l'evoluzione tecnologica è spinta dal desiderio di aumentare la produttività e soggiogare la forza lavoro», puntualizza l'autore. "Il magazzino" è un libro che parla della nostra epoca: della rincorsa a comprare sempre più cose, sempre più comodamente, spendendo sempre meno, a discapito della dignità di lavoratori e lavoratrici.
Ma resistere è possibile e Delfanti - che ha varcato i cancelli di quei capannoni nelle aree suburbane dove si sta ridefinendo il rapporto tra capitale e lavoro, ha incontrato gli «amazoniani» e dà loro voce - racconta le lotte attraverso cui si denunciano le condizioni di lavoro e i ritmi produttivi massacranti imposti dal colosso che punta a diventare ancora più grande. «Una bestia, per citare l'Inferno di Dante, che "mai non empie la bramosa voglia, e dopo il pasto ha più fame che pria"».
- Simona Regini - Pubblicato su Tutto Libri del 6/5/2023 -
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