In "Tutti i nomi", il suo romanzo pubblicato nel 1997 (un anno prima che ricevesse il Nobel per la letteratura), Saramago racconta di un uomo che si perde in un «archivio dei morti». Si tratta di un «ricercatore di temi araldici» «che riuscimmo a ritrovare solo una settimana dopo, quasi alla fine, quando ormai avevamo perduto tutte le speranze di ritrovarlo vivo». A partire da quel caso, venne emanato un «ordine di servizio», «in cui si decretava l’uso obbligatorio del filo di Arianna, designazione classica e, se mi consentite, ironica, della corda che conservo nel cassetto»; da allora, non è stato più registrato nessun altro caso di scomparsa. Subito dopo esser stato narrato questo caso - e la riflessione sull'efficacia del filo di Arianna - Saramago, nella sua storia, dimostra una comprensione che lo avvicina, ad esempio, a quello che era il progetto di Sebald in Austerlitz: senza l'esistenza di certi fatti, come questo, «senza i quali non sarei mai arrivato a capire l’assurdità del separare i morti dai vivi».
«In primo luogo, è un’assurdità dal punto di vista archivistico, considerando che la maniera più facile di trovare i morti sarebbe quella di poterli ricercare dove si trovassero i vivi, posto che questi ultimi, in quanto vivi, li abbiamo perennemente davanti agli occhi, ma, in secondo luogo, è un’assurdità anche dal punto di vista mnemonico, perché se i morti non rimangono in mezzo ai vivi finiscono prima o poi per essere dimenticati, e poi, perdonate la volgarità dell’espressione, è una faticaccia dell’accidente riuscire a scoprirli quando ne abbiamo bisogno, come del resto prima o poi finisce sempre per succedere.»
fonte: Um túnel no fim da luz
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