«Poiché il mio desiderio di vivere al di fuori delle prescrizioni normative della società binaria etero patriarcale è stato considerato una patologia clinica denominata ‘disforia di genere’, mi è sembrato interessante pensare all’attuale situazione mondiale come una disforia generalizzata.»
Dysphoria Mundi è un diario della transizione planetaria che prende qui la forma di un testo mutante, fatto di saggistica, filosofia, poesia e autofiction. Preciado, malato di Covid e rinchiuso nel suo appartamento, attinge a tutti i generi per raccontare un mondo in cui i diversi orologi si sono sincronizzati al ritmo del virus, ma anche del razzismo, del femminicidio, del riscaldamento globale e descrive le modalità di un presente rivoluzionario: non qualcosa che è accaduto in un passato mitico o che accadrà in un futuro messianico, ma qualcosa che sta avvenendo. Una sorta di taccuino filosofico-somatico di un processo di mutazione planetaria in atto. Ciò che è accaduto durante la crisi covid su scala globale, segna per l’autore l’inizio della fine del realismo capitalista e introduce un nuovo paradigma epistemico. Se la modernità disciplinare raccontata da Preciado era caratterizzata dall’isteria, se il fordismo, erede del dopoguerra e della rivoluzione psicanalitica, era schizofrenico, allora il neoliberismo cibernetico è disforico. Preciado si afferma qui come uno dei più importanti filosofi internazionali del momento, e riesce a consegnare, come ha affermato Judith Butler, un libro “monumentale”, un opera-mondo dove l’autore ripercorre i cambiamenti che si stanno producendo in tutte le sfere sociali, politiche e sessuali. Un libro essenziale per comprendere il presente e ancor di più per entrare nel futuro.
(dal risvolto di copertina di: Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi. Fandango. Traduzione di Roberta Arrigoni, pp.592, €29)
Un corpo che parla
- di Chiara Valerio -
«Prendere coscienza significa assumere che il nostro corpo vivo e desiderante è la sola tecnologia sociale in grado di operare il cambiamento. Siamo le crepe nei ghiacci polari, siamo l'Amazzonia deforestata. Siamo l'incendio che divora le campagne della California e della Galizia. Siamo il deserto del Madagascar che avanza. Siamo il buco nell'ozono».
Dysphoria Mundi, di Paul B. Preciado, è un libro composito, vasto e largo. È diario, pamphlet, saggio, racconto, elenco, invocazione, lettera, biblioteca, pubblicità e annuncio. È grave e leggerissimo, tiene insieme e sovrappone, con esattezza limpida, erotica e politica, parte dal corpo e al corpo torna, sussurra e grida, al fondo, una cosa - l'aria intorno alla quale si dispongono le variazioni, e poi l'aria da capo - e cioè che essere attratti da un altro modo di esistere non è una malattia. Esercitarsi a staccare l'automatismo del pensiero indotto dalle norme sociali, sfuggire alle tecnologie di potere della modernità coloniale che hanno funzionato come tecnologie di morte.
Lo strumento dialettico che smonta l'automatismo e porta a rottura quella che, da Achille Mbembe (teorico politico camerunense) in qua si chiama necropolitica, è il corpo. Per il fatto stesso che lo strumento dialettico sia il corpo, e sia in effetti non un corpo teorico, ma il corpo stesso di Paul B. Preciado, Dysphoria mundi è un oggetto narrativo sensuale, è cioè relativo ai sensi, tutti, al piacere che essi procurano. Elide la distinzione tra corpo e spirito, ragione e sentimento, poesia e scienza, torna, senza citare, ma per prassi, ad Agostino che scrive capii le cose col cervello, dunque col cuore. «Volevo cambiare, solo questo. E il desiderio di cambiare non faceva distinzione tra mente e corpo. Un pazzo forse, ma se lo ero, la mia pazzia non risiedeva che nel rifiuto dell'antinomia tra due poli, quello femminile e quello maschile, che per me avevano né più né meno la consistenza di una combinazione sempre variabile di catene cromosomiche, secrezioni ormonali, invocazioni linguistiche».
Che sia per pratica femminista, intersezionale e queer, che derivi dalla frequentazione del mondo dell'arte, dell'immaginazione architettonica e dalla riflessione e (ancora) dalla prassi farmacologica, che sia perché Paul B. Preciado è il Boswell di sé stesso, Dysphoria mundi è la cronaca di una vita singola che, nel suo svolgersi minuto di passi e pensieri, di traslochi e stasi, di letture e corpi si fa esperienza universale, proprio come la Vita di Samuel Johnson, estensore di dizionari e corpo politico, redatta, appunto, da James Boswell.
Paul B. Preciado, segue sé stesso, si usa come sonda per capire quali e dove siano i confini tra una cosa e un'altra, un essere umano e un altro, una comunità e un'altra, chiama a raccolta i suoi studi, le sue esperienze, l'esperienza dei suoi studi e lo studio della sua esperienza e, nella trama di Derrida e Foucault, Esposito e Haraway, Butler e Agamben, Bifo e Angela Davis ordisce la rivoluzione in forma di dedica a tutti i viventi umani arrivati in un mondo di decisioni normalizzatrici, razziste e distruttive, assuefatti al consumo sia economico che semiotico (comunicazione), educati a essere accettati da tutti e a tutto accettare per un fraintendimento di forma e postura democratica. Una dedica, molto strutturata, a loro cui abbiamo insegnato a provare vergogna di inadeguatezza e disforia. E Preciado, nella sua logica affettuosa, mobile ed esatta - una struttura tensioattiva - incita a cambiare modo di pensare e pure corpo, spezzare il codice, amare tutto ciò che il mondo prima ha insegnato a odiare, fare della storia dell'oppressione una opportunità. «In questo credo possa riassumersi la mia idea di tempo libero: sesso e lettura amore e scrittura. Niente sport, niente escursionismo, culturismo, ciclismo, turismo, nessun ismo di nessun tipo».
Dysphoria mundi non è un libro semplice, presuppone molte letture e molta vita - sei hai letto Guattari e Derrida, è più immediato, certo, ma pure Woolf e Davis, ce ne sono molti, tuttavia, che io non ho letto - e, come per altre antinomie che, pagina, dopo pagina, rivelano la natura di chiodi per sostenere un sistema di conoscenze assoluto sì ma solo in sé stesso, cade anche la distanza tra lettura e vita. Si legge e si vive. Le avversative lasciano lo spazio alle congiunzioni.
È, Dysphoria mundi, la biografia di una macchina morbida (Preciado cita Bourrughs) che lavora sull'ipotesi che il Covid-2019 abbia segnato la fine del realismo capitalista. Se l'esperienza biologica e biografica di nessuno è replicabile, quella di Paul B. Preciado lo è ancora meno per la mole del tutto sul quale ha appoggiato occhi e arti. Tuttavia, poiché del suo nome prima della transizione, che continua e continua e continua, scrive «nome dantesco che non ho mai sentito né femminile né maschile» chiudiamo con l'universalità di Dante, tra poesia e scienza, sempre nel gioco creativo della gravità. L'amore che move il sole e le altre stelle è il rumore del mondo che cambia.
- Chiara Valerio - Pubblicato su Robinson del 13/5/2023 -
Un'umanità fuori dal binario
- di Vittorio Lingiardi -
Il diavolo di un tarocco apre le ali e vola sulla copertina di Dysphoria Mundi, l’ultimo libro del filosofo Paul B. Preciado. È un diavolo trans che fa la linguaccia, in piedi su un mondo tagliato a metà che bagna col suo sangue. Rapisce gli sguardi di chi entra nelle librerie, desta meraviglia e scandalo. Ricorda una tavola del Rosarium philosophorum, il testo alchemico del XIII secolo attorno a cui Jung costruisce la sua teoria del transfert. Preciado è drastico, ironico, gentile. Vive nel cambiamento, non distingue la mente dal corpo, è oltre l’anatomia-antinomia dell’ovvietà binaria maschile/femminile. Quando la carta e la carne combaciano, come si fa a non lasciare la parola all’autore? Ecco, Preciado si descrive così: «A detta dei miei contemporanei, sono un’anima malata. O un corpo sbagliato dal quale l’anima tenta di fuggire – non si mettono d’accordo. Sono uno squarcio siderale tra il corpo che mi impongono e l’anima che fabbricano, un buco epistemico, una lacerazione politica, un abisso religioso, un giro d’affari psicologico, una stravaganza anatomica, un caso di studio sul quale tutti i nuovi despoti illuminati del Ventunesimo secolo hanno qualcosa da dire, senza peraltro che nessuno di noi glielo abbia mai chiesto». Cosmopolita e transdisciplinare, da poco premiato al Festival del cinema di Berlino per il suo esordio alla regia – Orlando, ma biographie politique – Preciado ha dialogato con Stefano Boeri alla Triennale di Milano. Parlano di transizione planetaria e anche di architettura. Perché quando Paul era Beatriz (la B è rimasta, puntata tra nome e cognome), si è dottorato a Princeton in teoria dell’architettura. Sul palco è fluviale e assertivo, il suo traduttore consecutivo Pietro Cecioni lo sa, sta al gioco e diventa anche lui performance.
Preciado è un’esplosione di futuro nel contemporaneo e il suo pubblico di oggi sembra leggerlo come noi abbiamo letto Deleuze e Guattari o Baldwin o Butler. Per entrare in una rivoluzione che decostruisce il mondo fin qui attraversato. Il resto è ultravisione. Non va letto per dire «sono d’accordo» - io per lo meno - ma per lasciarsi toccare dalla sua parola oracolare e vedere cosa ci succede dentro. Poi ciascuno si regola come vuole e come può. Il teatro era pieno, dunque le persone curiose o affamate delle sue parole sono molte. Preciado ama il j’accuse, ma anche il pensiero. Mentre demolisce la nostra tradizione e fa a fette il sapere diagnostico della psichiatria e quello clinico della psicoanalisi (e a me viene voglia di replicare che non solo lui è in movimento, anche le discipline che attacca lo sono, mentre lui le distrugge senza badare alla tensione del loro transitare), dal palco dice una cosa bellissima: «i maestri sono pieni di difetti e di problemi, ma se non li avessero non li sceglieremmo come tali». Allievo di Derrida e Heller, studioso di Foucault, Preciado, l’ho detto, ha sempre un indice puntato. Eppure non è arrabbiato, sa ridere. Quell’indice lo ha puntato a Parigi nel 2019, all’École de la Cause Freudienne, proclamando Sono un mostro che vi parla a più di tremila psicoanalisti, per molti dei quali, in effetti, era un soggetto malato, una gender-chimera (come ogni altro suo testo, anche questo è pubblicato in Italia da Fandango).
Il diavolo sulla copertina di Dysphoria Mundi è un paziente con la sua scheda anamnestica. Preciado la inserisce nel volume per farci partecipi della rappresentazione di sé che ha dovuto accettare per ricevere la sua terapia ormonale. «Mi sono dovuto dichiarare pazzo. Affetto da una forma ben precisa di pazzia che chiamano disforia. Ho dovuto dichiarare che la mia mente era in guerra con il mio corpo, che la mia mente era maschile e il mio corpo femminile. Io, a dire il vero, non sentivo alcuna distanza tra quella che loro chiamavano mente e quello che identificavano come corpo. Volevo cambiare, solo questo». Esordisce così, presentando la nozione di «disforia di genere» per poi dislocarla e risignificarla. Scompone il termine per rivelarne l’ibridazione etimologica. Dys-, che separa, nega, denota difficoltà, e phe´rein, che porta, sostiene, trasferisce. Insieme fanno dysphoria: un trasporto andato male, un difetto di tenuta che nella lingua degli psichiatri indica una sofferenza dell’umore. La formula che per endocrinologi, psichiatri e psicologi indica il peso di un disagio che va riconosciuto e nominato perché possa essere risolto nella costruzione creativa del proprio sentimento di genere, per Preciado è invece solo un dispositivo etero-cispatriarcale che serve a patologizzare le forme di vita esorbitanti rispetto al regime normativo della differenza sessuale e di genere. La mia prospettiva è quella dell’intersoggettività in una relazione d’ascolto non imposta, la sua è quella di una soggettività visio(rivoluzio)naria.
Ma a ben guardare, continua Preciado, la disforia è nel mondo, in tutti i corpi esiliati, non solo quelli delle persone trans: i corpi delle donne, delle minoranze etniche e sessuali, delle persone migranti, in tutti i corpi non conformi e nelle loro infinite declinazioni. Preciado sa che i corpi non esistono fuori dal paesaggio e dunque eccoli vivere e morire nella pandemia annunciata, nella devastazione ecologica e climatica, nella minaccia di una guerra mondiale. È questo lo scenario di Dysphoria Mundi. Il rumore del mondo che crolla. La disforia non è più malattia dell’individuo, ma del mondo, lo scarto tra due modelli epistemologici: il vecchio ordine petro-sesso-razziale (petro- sta per petrolio) e il nuovo ordine «ancora balbettante» che si forma attraverso atti di critica e disobbedienza politica.
Dysphoria Mundi è il ritratto del presente-futuro, il racconto «di come il mondo moderno che aveva tracciato il confine tra la sua ragione e la nostra follia abbia cominciato a sgretolarsi». Preciado preconizza questa nuova era dalla sua nuova casa a Parigi, malato di Covid. Nell’agitazione febbricitante scrive di cambiamenti e tumulti sotterranei che tradiscono la pandemica immobilità della superficie. Il suo libro non può che essere disforico, instabile. E attraversare ogni genere letterario: saggio filosofico e poesia, epistolario, diario e autofiction. La rivoluzione è già iniziata, dice Preciado, e chiama tutti all’appello. Perché «non siamo semplici testimoni di quello che accade. Siamo il corpo nel quale il cambiamento si fa strada e getta radici». La disforia generalizzata come condizione epistemico-politica della nostra contemporanea anima mundi.
- Vittorio Lingiardi - Pubblicato su Domenica del 18/6/2023 -
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