Il piccolo libro di Romain Colomb - nell'originale "Notice sur la vie et les ouvrages de H. Beyle", ma nell'edizione italiana semplicemente "Stendhal, mio cugino" - è pieno di aneddoti e di rivelazioni su Stendhal: la sua ferita al piede in un duello; come amava tenere le unghie sempre molto lunghe e molto pulite; come durante la sua infanzia la madre di Stendhal leggesse in casa - ad alta voce - Dante e Tasso (una parentela italiana, questa, assolutamente atipica nella Francia di fine Settecento); come invece lo scrittore non amasse la calvizie che lo minacciava sempre più, anno dopo anno, e come perciò si pettinasse i capelli in avanti al fine di nascondere la stempiatura, chiaramente distinguibile nei ritratti.
Ovviamente, a spiccare è la figura di Napoleone; allo stesso modo in cui la cosa avveniva in "Vertigini" di Sebald, il quale dedicava la prima parte del suo primo romanzo proprio alla figura di Stendhal: e a colpire, è anche la differenza di spessore e di stile tra Colomb e Sebald, il modo in cui Sebald riesce a condensare, fin dal paragrafo iniziale, sensazioni, paure, prospettive, timori e fatti biografici, con padronanza e con serietà. Colomb, di contro, è "Paratattico" - «parlava e rideva», contrapposto al «parlava ridendo», che invece e proprio dell'Ipotattico! - e passa così da una cosa all'altra, senza alcuna coesione, né preoccupazione, sparpagliando aneddoti senza mai cucirli insieme. Colomb enfatizza il modo in cui la sconfitta/ritirata (in Russia) abbia influito sulla salute di Stendhal, danneggiandogli polmoni e cuore, causandogli una debolezza che poi lo avrebbe portato a una morte prematura il 23 marzo 1842, all'età di 59 anni.
Inoltre, Colomb racconta tutta una serie di sue impressioni su Stendhal, relative alla lingua, in particolare sul suo accento (cosa che fa venire in mente quanto scritto da Derrida su René Char e il suo fastidio per «l'accento del poeta»): racconta di come egli fosse arrivato a Parigi da giovane e abbia fatto ogni sforzo per riuscire a liberarsi del suo accento originario; pur mantenendo «un tono deciso e appassionato» che rivelava «immediatamente la forza dei sentimenti» (cosa che Stendhal sosteneva essere proprio tipica del "Midi", vale a dire, del sud della Francia mediterranea e atlantica).
E tutto intorno a questo, vediamo il rapporto di Stendhal con le lingue, il suo apprendimento dell'inglese, del tedesco, e soprattutto dell'italiano: fino al punto di arrivare a dare agli eredi delle istruzioni sulla sua lapide, la quale avrebbe dovuto riportare il nome di Arrigo Beyle (e infatti è lì, nel cimitero di Montmartre), seguito dalla frase: «milanese, scrisse, amò, visse.»
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