Durante una sosta nel porto di Anversa, il marinaio americano Gerard Gale perde la sua nave e rimane sprovvisto di tutto, compresi i documenti, ritrovandosi incastrato negli ingranaggi infernali della burocrazia. Da un giorno all’altro diviene un vagabondo, un clandestino metafisico espulso da una frontiera all’altra. Per sua grande sfortuna, riesce a salire a bordo di una nave da carico… che si rivelerà essere una NAVE FANTASMA…
ROMANZO CULT di B. Traven dal tono kafkiano da commedia dell’assurdo, La Nave Morta, pubblicato per la prima volta nel 1926, è una denuncia politica del Capitalismo nei suoi oppressivi dispositivi, che la NAVE FANTASMA, come una grande metafora, rappresenta.
(dal risvolto di copertina di: B.Traven, La nave morta. WoM. Traduzione di Matteo Pinna, pp. 250 €20,90)
Una nave carica di segreti
- di Piero Melati -
Di sicuro, c'è solo che è morto, presumibilmente nel 1969 in Messico. E che ha scritto dodici romanzi, diversi racconti, un volume di reportage. Dal libro del 1927, Il tesoro della Sierra Madre, John Huston ha tratto nel 1948 il film con Humphrey Bogart che valse tre Oscar. Non un autore di secondo piano, dunque. Ma quanto a chi si celasse dietro lo pseudonimo di Bruno Traven, il buio è completo. Una lotta irriducibile, al fine di mantenere l'anonimato, gli è valsa di volta in volta l'identità di un anarchico tesesco (Ret Marut), di un sindacalista polacco (Otto Fiegel), del suo agente letterario (Hal Croves), della sua traduttrice (Esperanza Lòpez Mateos), del di lei fratello e futuro presidente del Messico (Adolfo Lòpez Mateos), di un politico comunista (Linn Gale), di un fotografo (Berick Traven Torsvan), fino alle ipotesi di essere il figlio illegittimo dell'imperatore tedesco Guglielmo II, un collettivo editoriale oppure gli scrittori Ambrose Bierce e Jack London. Ora la casa editrice WoM - specializzata in "letteratura dimenticata, fuori catalogo e inedita" - ripropone il suo primo (o secondo) romanzo, La nave morta. E qui Traven svela, se non l'identità, almeno il mistero di sé stesso.
Pubblicato in lingua tedesca nel 1926, rielaborato in inglese nel '34, ora tradotto da Matteo Pinna con l'intento di restituire al testo l'hemingwayano "stile orale", La nave morta conferma anzitutto i punti cardinali stabiliti nel risvolto di copertina: una "commedia infernale" (che però a Céline preferisce Rabelais), virata in chiave "burlesque" (canzoni, balletti, caricature, spogliarelli), intinta nell'animo disincantato di un "apolide metafisico" (definizione prestata da Emil Cioran). Quest'ultimo passaggio è cruciale: il libro inizia con un melvilliano Ismaele che si imbarca nella "Tuscalosa" per portare un carico di cotone da New Orleans ad Anversa. Ma già al secondo capitolo si perde la nave. Nessuna avventura alla Moby Dick, all'alba dell'Antropocene, è più possibile. «Persino... il più grande autore di storie di mare di tutti i tempi sapeva scrivere bene solo di capitani coraggiosi», nota Traven, con una frecciata a Kipling e al "misticismo" letterario dell'avventura.
E invece, cosa accade? Che Kafka viene buttato giù dall'empireo simbolistico in cui ha ambientato il totalitarismo burocratico ne Il processo e Il castello, per riportarne intatta la carica devastante nella vita di ogni giorno. Con minuzia certosina, da Anversa a Rotterdam, da Parigi a Tolosa, da Siviglia a Barcellona, altrettante tappe di una quotidiana Odissea, viene descritto cosa capita a un essere umano che ha smarrito ogni documento e, e con esso, ogni verificabile identità. «Perché lei è qui?» lo interrogano le autorità. «La parola Perché, con quel punto interrogativo, è la causa - ne sono certo - di tutta la cultura, la civiltà, tutto il progresso e la scienza. Questa parola Perché? ha cambiato e tornerà a cambiare ogni sistema con cui l'umanità vive e prospera: porrà fine alla guerra e riporterà guerra; porterà al comunismo e distruggerà il comunismo; creerà dittatori e despoti e li detronizzerà; dara vita a nuove religioni e le riporterà allo stadio di superstizioni; farà di una nebulosa il centro vero e spirituale dell'universo e riporterà quella medesima nebulosa ad un granello insignificante nel superuniverso». A furia di essere riportato alle frontiere, finire in galera e rischiare di essere impiccato (tutti elementi autobiografici) lo scrittore farà alla fine una scelta radicale: «La mia vita è affar mio e la voglio tenere per me» scriverà al suo editore tedesco che gli chiedeva un curriculum.
Ma poi si torna in mare. E qui decolla una seconda Odissea, a bordo della "Yorrike" e della sua "stiva degli orrori", dove si viene condannati per motivi economici e - come nella burocrazia - da un potere divenuto impersonale. Presto quel naviglio si trasformerà in un nuovo simbolo di balena bianca: «Il suo capitano non lo sospettava, ma era più intelligente di lui...». La "Yorrike" diventerà l'ambigua e infine amata metafora di ogni bastimento: «Quando un vecchio marinaio inizia un racconto... la nave si quieta per non perderne una sillaba. Ho visto navi da ridacchiare pomeriggi interi, quando i marinai raccontavano storie da bucanieri... e le ho viste piangere quando si raccontavano storie da marinai coraggiosi annegati... e una volta l'ho sentita singhiozzare amaramente alla notizia che sarebbe stata affondata. Quella nave che singhiozzava in maniera tanto straziante non fece più ritorno... Supponiamo che l'equipaggio si ammutini: la nave si unisce immediatamente a loro e il capitano non può farci nulla. Quello è un dato di fatto; strano, forse, ma è così». Mai, in nessuna storia di mare, nave fu più viva di questa "nave morta" di B.Traven.
- Piero Melati - Pubblicato su Robinson del 13/5/2023 -
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