«Qualche tempo dopo, accompagnai Lacan durante una visita a Heidegger a Friburgo in Brisgovia. Aveva saputo che Heidegger aveva avuto un ictus cerebrale e voleva rivederlo prima che morisse, così si espresse. Lo conosceva da tempo, gli aveva fatto visita agli inizi degli anni Cinquanta con Jean Beaufret, che era stato un suo analizzando. Lacan aveva tradotto in francese uno dei suoi testi, intitolato “Logos”, apparso nel ’56 nella rivista La Psychanalyse. Nel ’55, Heidegger era stato invitato da Beaufret e Maurice de Gandillac a un colloquio a Cerisy-la-Salle. Al ritorno, Heidegger e sua moglie si erano fermati a Guitrancourt dove avevano trascorso alcuni giorni. Lacan aveva fatto loro visitare la regione in macchina, a rotta di collo come sempre, senza tener conto delle grida della signora Heidegger. [...]
Gli Heidegger abitavano in una casa di recente costruzione in un quartiere residenziale, che non assomigliava per nulla all’immagine della capanna nella foresta che io associavo al filosofo. Non eravamo nemmeno entrati, che la signora Heidegger ci ingiunse in modo autoritario di usare le pattine che riservava ai visitatori. [...]
Fummo introdotti nella sala dove Heidegger era disteso su una sdraio. Lacan cominciò a intrattenerlo sui suoi ultimi progressi teorici facendo uso dei nodi borromei che stava allora sviluppando nei seminari. Per illustrare il suo discorso, tirò fuori di tasca un foglio di carta piegato in quattro, sul quale disegnò una serie di nodi per mostrarli a Heidegger, il quale per tutto il tempo non pronunciò verbo e tenne gli occhi chiusi. [...]
Durante la cena, Heidegger si mostrò un po’ più loquace, ma la conversazione fu poco animata: Lacan leggeva il tedesco, ma non lo parlava quasi, e i nostri ospiti sapevano poco il francese. Prima di separarci Heidegger mi donò una sua foto ritratto, formato cartolina, sul cui retro scrisse: Zur Erinnerung an den Besuch in Freiburg im Bu. Am 2. April 1975, senza nemmeno menzionare il mio nome. Rimasi stupefatta per questo autografo da fan, che io non avevo sollecitato, ma lo conservai religiosamente. Uno dei miei pazienti, che vide la fotografia su una mensola della mia biblioteca, mi chiese se fosse mio nonno.»
(Catherine Millot, da "Vita con Lacan", Traduzione di Rosella Prezzo - © 2017 Raffaello Cortina Editore)
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