Dalla sua fondazione, avvenuta nel 1957, fino alla sua autodissoluzione del 1972, l'Internazionale Situazionista si è imposta come una delle organizzazioni più radicali del 20° secolo. Questo libro riunisce i principali studiosi dell'IS, in modo da poter offrire un'analisi critica complessiva dei concetti chiave e dei contesti del gruppo, a partire dalle prime relazioni avute con le avanguardie artistiche, con il romanticismo, con l'hegelismo, con la storia del movimento operaio e con il maggio '68, per poi arrivare ai concetti e alle pratiche dello «spettacolo», della «costruzione delle situazioni», della «vita quotidiana» e del «détournement». Il libro prende in considerazione anche quelle aree dell'IS storicamente poco esaminate in precedenza, comprese la situazione delle donne nel gruppo e la sua opposizione al colonialismo e al razzismo. Con il contributo di una vasta gamma di pensatori, inclusi Anselm Jappe e Michael Loewy, questo libro propone un punto di vista originale a quella che è stata la complessa opera di un gruppo che è riuscito a ridefinire la politica e la cultura radicale nel secondo dopoguerra.
(dal risvolto di copertina di: "The Situationist International: A Critical Handbook", a cura di Alastair Hemmens & Gabriel Zacarias. Editore Pluto Press.)
Alastair Hemmens e Gabriel Zacarias: «L'Internazionale situazionista è diventata oggetto di ricerca accademica».
- Intervista di Galaad Wilgos - Pubblicata su Marianne del 28/11/2020 -
Alastair Hemmens e Gabriel Zacarias, entrambi ricercatori universitari, hanno appena pubblicato un importante libro sull'Internazionale Situazionista, per il momento solo in lingua inglese.
Gruppuscolo di estrema sinistra per alcuni, ultima avanguardia artistica per gli altri, l'impatto che ha avuto l'Internazionale situazionista (1957-1972) è stato per molto tempo sottovalutato dagli storici. Attivi sia in ambito politico che culturale, intendevano farla finita con la società di classe e con la dittatura della merce. Tuttavia, da qualche tempo, abbiamo visto un sempre più consistente numero di lavori mettere in luce l'importanza di questo collettivo rivoluzionario e la serietà della sua analisi. "The Situationist International: A Critical Handbook", curata da Alastair Hemmens e Gabriel Zacarias, si propone di fare un bilancio su questa ricerca e su quale sia la portata attuale di questa Internazionale situazionista, pubblicando i contributi di tutta una serie di intellettuali di paesi diversi, fra cui Anselm Jappe e Michaël Lowy.
Marianne: Nell'introduzione che apre il libro, voi affermate che dall'inizio di questo secolo c'è stata un'evoluzione sulla ricerca sui situazionisti. Sappiamo che in Francia esiste tuttora una tradizione, minoritaria ma ben viva, di situazionismo rivoluzionario, che comprende numerosi pensatori e collettivi che si richiamano a dei siti e a delle case editrici che li pubblicano: L’échappée, Allia, L’Encyclopédie des Nuisances, o il Comité Invisible, tra gli altri. Ma voi in questo libro pubblicate anche i testi di diversi autori dai quattro angoli del mondo. Qual è lo stato del situazionismo nel resto del mondo (eredità, pubblicazioni, ricezione, ecc.)?
Alastair Hemmens e Gabriel Zacarias: Cominciamo col sottolineare che i situazionisti hanno sempre rifiutato il termine "situazionismo". Non è solo una questione di stile, o un'ostentazione, ma si tratta di un'importante distinzione che - insistiamo - dev'essere mantenuta. L'Internazionale situazionista (IS) non aveva alcuna intenzione di diventare un dogma, né un'ideologia. Non c'è mai stata una posizione prestabilita. I membri del gruppo affrontavano gli stessi problemi, ma lo facevano in modi diversi. Allo stesso tempo, il "situazionismo" è qualcosa di molto reale, ma così come ne parliamo nel libro, definendolo, esso è effettivamente «la storia dei malintesi e dei fraintendimenti, a partire dai quali l'IS si è resa oggetto»; e costituisce la più parte del modo in cui l'IS è stata e viene "recepita".
In effetti, nel nostro libro sottolineiamo come la ricezione dell'IS sia complicata, frammentata e problematica. È perfino impossibile parlare di una ricezione singolare, per non dire, dominante dell'IS. Abbiamo l'IS così come veniva intesa dalla gioventù e dall'estrema sinistra degli anni '60. Poi ci sono le interpretazioni diverse dell'IS da parte delle istituzioni artistiche, e degli artisti, dopo che avviene il suo scioglimento. Poi c'è l'influsso che le idee situazioniste hanno esercitato sul movimento punk degli anni '70. Inoltre, oggi esiste, nonostante gli sforzi dei membri dell'IS e dei loro sostenitori, un "patrimonio" nazionale di "situazionismo"; il cui esempio probante risiede nel destino degli archivi di Guy Debord, classificati dal governo francese nel 2010, come «tesoro nazionale».
Tuttavia, e la varietà e la diversità dei contributi lo dimostra, l'IS è un oggetto di interesse «ai quattro angoli del mondo», come dici tu, e non si riuscirà mai a ridurlo ad un patrimonio "francese". Il modo in viene recepita l'IS, può variare da un paese all'altro, già a partire dal fatto che ci sono dei paesi in cui l'IS è stata presente tramite delle "sezioni" (non bisogna dimenticare che la "I" di IS significa "internazionale"), mentre altre l'hanno scoperta solo dopo la sua dissoluzione. Alcuni capitoli del nostro libro evidenziano la dimensione internazionale dell'IS, parlando dei suoi rapporti con la lotta anticoloniale e sottolineando l'importanza che avevano i membri non europei del gruppo. Ciò è parte di uno sforzo volto a chiarire e a mettere in luce dei punti ciechi che continuano ancora ad esserci nella recezione e nella letteratura che tratta l'IS. Ciò riguarda anche il capitolo che affronta la problematica di genere.
Il nostro libro testimonia anche che l'IS è diventata oggetto di ricerca accademica, cosa che solo qualche decennio fa sarebbe stato impensabile. Questo indica una istituzionalizzazione dell'IS che avrebbe deluso e scontentato (e a ragione) molti dei suoi sostenitori. Ma la cosa apre anche la strada ad un rinnovo della comprensione che ci può essere delle idee situazioniste riguardo al presente. Se si condivide il fine situazionista di liberarsi dal capitalismo, oggi non basta riprendere le dichiarazioni del gruppo come se non ci fosse nulla di sbagliato nella loro teoria nella loro pratica. La teoria critica non si è fermata agli anni '60. In Francia, per esempio, ci sono molti lettori dei situazionisti (compresi noi stessi) che sono poi passati a leggere «la critica della dissociazione-valore». Un simile passaggio è stato possibile soprattutto grazie ad Anselm Jappe (uno dei contributori al libro), autore di un libro fondamentale su Guy Debord, diventato in seguito uno dei teorici della critica del valore.
Marianne: Il nome stesso di "Internazionale situazionista" ha come sua radice l'idea di "situazione", un concetto complesso, definito in modo elusivo che trae origine dal teatro, ma che in seguito diverrà poi a tutti gli effetti un concetto specifico di Debord e dei suoi compagni. Questi ultimi ne faranno poi uno degli elementi fondamentali della pratica situazionista, oltre che uno dei pilastri del loro progetto di società. Potete dirci qualcos'altro a riguardo? Che cos'è una situazione nella teoria situazionista e perché volere assolutamente crearne?
Hemmens & Zacarias: I situazionisti hanno un debito con le avanguardie storiche (Dada, Surrealismo), e come quelle volevano servirsi dell'arte per trasformare la vita. Il nome del gruppo trae effettivamente origine dal concetto di «situazione costruita», che i situazionisti hanno definito nel 1° numero della loro rivista come «Momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti». La definizione è tutt'altro che esaustiva, ma propone già alcune idee centrali da tenere a mente: il fatto che la «situazione» ha una limitazione nel tempo; che il suo fine è quello di arricchire la vita quotidiana; e, infine, che noi possiamo agire consapevolmente per poter raggiungere un tale scopo (la vita smette di essere una serie di situazioni fortuite e diventa così una serie di situazioni costruite).
Originariamente formulata da Guy Debord, la questione rimane complessa, ed è stata rideclinata da altri situazionisti. Nel capitolo del nostro libro dedicato a questo argomento, cerchiamo di capire meglio quali siano le implicazioni legate all'idea di situazione, riformulandola in un contesto artistico e intellettuale, e mettendola a confronto da vicino con altre concezioni provenienti dall'arte (come il distanziamento e lo straniamento, in Brecht) e dalla filosofia (come la situazione nella fenomenologia o nella teoria dei momenti, in Henri Lefebvre). Senza mai più perdere di vista il fatto che la situazione, in quanto controllo attivo esercitato sulla vita quotidiana, appare come l'antidoto alla passività spettacolare; così tanto criticata dai situazionisti.
Marianne: Allo stesso modo in cui l'IS è inseparabile dal nome di Debord, lo è anche dal concetto di «spettacolo». Che cos'è lo spettacolo per Debord e i situazionisti?
Hemmens & Zacarias: Parlando di «società dello spettacolo», Debord ha trovato una formula particolarmente efficace per riferirsi ai nostri tempi. Ma al di là della formula pregnante, in Debord c'è una teoria assai complessa della società contemporanea, che affonda le sue radici nella teoria di Marx (e di alcuni lettori di Marx, tra i quali Gyorgy Lukàcs) e che non si limita affatto ad essere solo una critica dei media. Pe poter meglio comprendere Debord, non si deve perdere di vista il fatto che la sua riflessione, ispirata com'è dalla tradizione filosofica hegeliana, si muove sempre tra il particolare e il generale.
Stando così le cose, il concetto di spettacolo può essere usato in puù sensi, a volte facendo riferimento alla manifestazione particolare, altre indicando la totalità sociale. In altre parole, il concetto di spettacolo può essere riferito ai media, ma anche alla società che essi rappresentano. Il parallelo con Marx è sempre istruttivo: il termine capitale serve ad indicare degli specifici oggetti nella sfera della riproduzione economica (il capitale costante, il capitale variabile ecc.); ma il capitale è anche il «soggetto automatico» che domina la totalità della vita sociale. Lo spettacolo è il nuovo nome assunto da questo stesso «soggetto automatico» che ha sottomesso tutte le sfere della vita alla necessità di un'accumulazione ininterrotta i valore astratto. Quindi non si tratta di una critica nei confronti della natura ingannevole delle immagini, svolta in senso platonico. La critica debordiana non viene fatta in nome di una verità metafisica che si trova collocata altrove, ma piuttosto, al contrario, è una critica immanente delle contraddizioni prodotte dalla modernità capitalistica. Debord è sempre stato un critico della separazione. Quando afferma che «tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione», non sta denunciando la rappresentazione in sé, ma la distanza crescente tra ciò che viene effettivamente vissuto e ciò che viene rappresentato. Da un lato la vita quotidiana, sottomessa ad un lavoro specializzato, si impoverisce; dall'altro, la produzione delle rappresentazioni si arricchisce, il consumo di immagini colma il vuoto dell'esperienza.
Ciò significa che la critica dello spettacolo è anche la critica di una società che continua a lavorare nonostante lo sviluppo produttivo che, per Debord, aveva già reso superfluo il lavoro. In definitiva, Debord considera l'inversione della realtà nello spettacolo, come il prodotto del fatto che il capitalismo prolunga la propria esistenza e la sua ragion d'essere per mezzo del consumismo e attraverso la mercificazione di ogni aspetto della vita. La base del potere della borghesia è il profitto che viene estratto dal lavoro, ma grazie alla tecnologia la necessità "naturale" di lavorare è stata pressoché bandita, e quindi dev'essere preservata artificialmente. Il bisogno di bere diventa il "bisogno" di bere Coca-Cola. Per Debord, la realtà celata della superfluità del lavoro in quanto centro della vita umana è la principale menzogna del capitalismo contemporaneo.
Marianne: Come si può rimanere coerenti con l'opera e la vita dei situazionisti senza ricadere nella rielaborazione, nell'imitazione, nella "pastiche", se non addirittura nel recupero?
Hemmens & Zacarias: Nel suo contributo, nel capitolo sul «recupero», Marcolini suggerisce che è accaduto proprio quando i situazionisti hanno condiviso il cammino con i loro nemici che essi hanno finito per ritrovarsi «recuperati». All'epoca, sono stati gli stessi situazionisti a notare, per esempio, che una campagna pubblicitaria del Club Med, negli anni '60, stesse utilizzando un linguaggio assai simile a quello dell'IS. I situazionisti appartenevano al loro tempo. Celebravano le possibilità date dalla tecnologia liberata dal capitalismo, ed adottavano una concezione del soggetto liberato dalle restrizioni e dai tabù che, alcuni decenni più tardi, è diventata perfettamente adatta ad alcuni aspetti della cultura neoliberista. Allo stesso tempo - e si tratta di un argomento che abbiamo sviluppato altrove [Alastair Hemmens, "The Critique of Work in Modern French Thought: From Charles Fourier to Guy Debord (Studies in Revolution and Literature)" Palgrave Macmillan] - per il capitalismo non è possibile "recuperare" quella che è una critica implacabile delle sue forme di base.
La critica situazionista categoriale dello Stato, della politica, dello spettacolo, della forma merce e del lavoro non è recuperabile. Se si vuole rimanere fedeli all'opera e alla vita dei situazionisti, si deve evitare di ricadere in un «situazionismo» dogmatico, che consiste nel ripetere i medesimi gesti e le medesime idee dell'IS degli anni '60. Ecco perché bisogna avere un'idea chiara di che cosa sia stata l'Internazionale situazionista, la sua storia, le sue idee, le sue pratiche, i suoi punti di forza e i suoi limiti. È questo ciò che abbiamo cercato di fare in questo libro, riunendo i migliori ricercatori in questo campo di ricerca. E allo stesso tempo, bisogna che la critica radicale del capitalismo rimanga necessariamente ai margini e, idealmente, all'esterno rispetto alla ricerca accademica. La "via" situazionista prosegue a partire da dove l'Internazionale situazionista stessa è stata un proseguimento di una lotta storica: nel dibattito tra compagni, nei movimenti sociali anticapitalisti, nello scontro con lo Stato, nei giornali radicali, ecc.
- Intervista di Galaad Wilgos - Pubblicata su Marianne del 28/11/2020 -
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