C'è un libro, fra i tanti che ho, disperatamente sottolineato (a matita, ai tempi non c'erano gli evidenziatori), letto e riletto. Le pagine sono oramai ingiallite, però hanno tenuto e la rilegatura non si è disfatta. Il libro è un libro per così dire "sfortunato". Rifiutato dalle due case editrici di riferimento di Danilo Montaldi, che con Einaudi e Feltrinelli aveva pubblicato quelli che vengono invece considerati due classici della cosiddetta "inchiesta militante": "Le Autobiografie della leggera" e "Milano Corea", rispettivamente. Questo invece, alla fine - parlo del "Saggio sulla politica comunista in Italia (1919 - 1970)" - venne edito per i tipi di "Quaderni Piacentini". Ricordo che al tempo non mi erano simpatici "quelli" di "Quaderni Piacentini". E questo perché, da subito, nell'autunno del 1970, appena sbarcato alla Casa dello Studente di Piazza Indipendenza, avevo conosciuto tra gli inquilini della "Casa" stessa uno che con quella rivista ci collaborava. Bruno Accarino. Anche oggi, se non sbaglio, collabora a varie riviste e giornali, fra cui "Il Manifesto" ed ha, o forse aveva, una cattedra di filosofia da qualche parte. Ma non importa. Fatto sta che ero convinto (e non ritengo di avere mai avuto dei motivi per dover cambiare opinione in proposito) fosse questo, già da allora, il suo unico scopo, ed è proprio per questo che non mi risultò simpatico fin dal primo acchito. Ad ogni modo, a rischio di scivolare nell'aneddotica, ricordo che era amico di un altro napoletano, un pazzo scatenato che si definiva "il barone situazionista" e che di notte, dall'ultimo piano della "Casa", si divertiva a lasciar cadere nella tromba delle scale cose tipo il contenuto di un pacco di pasta, uno per uno. Ricordo anche che a quel tempo dovetti faticare non poco per far rimuovere l'Accarino dalle liste nere dei compagni di mezza Italia che lo avevano classificato come "fascista fiorentino". Come fu come non fu, era successo che, durante l'assalto alla casa dello studente da parte dei “simpatici ragazzi” che frequentavano la prospiciente sede del "Movimento Sociale" (c'era stata una loro riunione regionale, e si erano sentiti disturbati dalle note delle canzoni che provenivano dall'ultimo piano della palazzina universitaria). Fatto sta che, insieme ai più esuberanti dei ragazzi in camicia nera, anche l'Accarino era finito al commissariato per aver chiesto ad un maresciallo di salutargli ... la signora! Comunque - a prescindere dalla digressione – dicevo che il libro di Montaldi andò in stampa e finì per essere ignorato pressoché da tutti. Pubblicato nel 1976, quando il PCI si trovava al massimo della sua fortuna, Danilo Montaldi aveva commesso lo "sbaglio" di enunciare la previsione, agghiacciante per la puntualità con cui poi si è verificata, secondo cui il partito egemone della sinistra, una volta abbandonato del tutto il presunto "sogno rivoluzionario", si sarebbe avviato mestamente verso il nulla. Verso i Fassino, i Veltroni, i Mussi... Inoltre, non andò a genio a molti - per non dire a punti - la tesi che approcciava da un altro punto di vista la cosiddetta "autonomia del politico" trontiana, per dichiarare che «la storia della classe operaia italiana è totalmente autonoma dalla struttura istituzionale del movimento operaio». E questa autonomia della classe, dentro il libro, emerge da sotto ogni parola, e in questo mi aiuta la sua (che poi è la mia, anche se spesso non la condivido più in quanto tale) sottolineatura che di tanto in tanto mi vado a rileggere, quasi a mo' di conforto da breviario! Quasi sperando che venga un altro Montaldi che sappia trovare il punto di sutura fra i superstiti, i sopravvissuti di oggi e un nuovo ciclo di lotte.
(già pubblicato sul blog il 10/7/2007)
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