Il saggio di Benjamin su Proust ("L'immagine di Proust", del 1929) si chiude con una sovrapposizione di immagini: Benjamin affianca alla visione di Proust disteso sul letto della sua stanza, mentre scrive freneticamente, la visione di Michelangelo sdraiato sull'impalcatura mentre dipinge il soffitto della Cappella Sistina. Quasi abbia voluto lasciare, strategicamente, per il finale dell'Immagine di Proust, un'immagine dialettica, nella misura in cui ci spinge a pensare associazioni diverse (il tempo del lavoro, la solitudine, la grandiosità) e ci indirizza simultaneamente verso più direzioni (la sovrapposizione delle due immagini è il corollario della formula espressa poco prima da Benjamin, «vedere e volere imitare, erano la stessa cosa»). Michelangelo sta a Proust così come la Ricerca sta alla Cappella Sistina. Si tratta della dottrina delle somiglianze, delle corrispondenze che nell'immediato non appaiono, che non si offrono pacificamente, in maniera tranquilla, ma che devono essere forzate, manualmente. È quello stesso lavoro che Proust compie a partire da Baudelaire, e non solo; scrive Benjamin: è Proust che rende visibile il 19° secolo; lo rende visibile, possibile, proprio nel momento in cui esso smette di esistere, soprattutto perché non esiste più. Ed è solo a partire da Proust - e dalla riconfigurazione dello spazio-tempo che egli realizza - che il 19° secolo può venire "condiviso" (e da qui la possibilità che Parigi possa essere la «capitale del 19° secolo»). Benjamin scrive che Proust trasforma il 19° secolo in un "campo di forza": esso non è più una semplice epoca. Una simile idea, partorita da Benjamin e che riecheggia anche in un saggio di Hayden White del 1987, dal titolo "The Nineteeth-Century as Chronotope” [in The Fiction of Narrative, Baltimore, The Johns Hopkins UP, 2010, pp. 237-246], nel quale viene tentato il medesimo gesto: pensare il passaggio - che fa l'Ottocento - da "semplice epoca" a "campo di forza" ( e nel farlo, utilizza la categoria di Bachtin [ rapporto tra le coordinate temporali e spaziali che danno forma a un testo letterario ] ). Ciò che Benjamin fa in modo a volte intuitivo - e mettendo a fuoco un unico autore - White prova a farlo in maniera più allargata e in forma strutturale (sfruttando il lavoro già fatto da Frederic Jameson ne "L'inconscio politico", che egli cita, soprattutto quando Jameson parla del Cronotopio di Bachtin come di una condensazione delle dimensioni spaziali, temporali e socio-culturali), e nel farlo maneggia sia la persistenza dell'Antico (egemonico) che la risorgenza dei contenuti politici latenti (sotterranei e sepolti).
fonte: Um túnel no fim da luz
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