Il vero golpe di Trump
- di Slavoj Žižek -
Quando Vanessa Baraitser, magistrato britannico, ha respinto la richiesta statunitense di estradare Julian Assange, una buona parte della critica di sinistra e progressista ha commentato tale decisione in un modo che ricorda il dramma di T.S. Eliot, "Assassinio nella cattedrale": «L’ultima tentazione è il più grande tradimento: Compiere la retta azione per uno scopo sbagliato». Nel dramma, Thomas Beckett teme che la sua «cosa giusta» (la decisione di opporsi al re e sacrificarsi) si basi su un «motivo sbagliato» (la sua egoistica aspirazione alla gloria della santità). Hegel avrebbe risolto un simile problema, dicendo che ciò che conta, nei nostri atti, è il loro contenuto sociale, pubblico: se io compio un sacrificio eroico, è questo ciò che conta, , anche se eventualmente le motivazioni private possono alla fine essere anche patologiche.
Ma negare l'estradizione di Assange verso gli Stati Uniti è un caso del tutto diverso: ovviamente, si trattava della cosa giusta da fare, ma ciò che era sbagliato atteneva alle ragioni pubblicamente dichiarate come alla base della decisione. Il giudice ha avallato totalmente le affermazioni fatte dalle autorità statunitensi secondo le quali le attività di Assange erano al di fuori del campo del giornalismo, e per giustificare la propria decisone sul negare l'estradizione ha dovuto ricorrere solamente a dei motivi di salute mentale. Ha detto: «l'impressione generale è quella di un uomo depresso, che teme sinceramente per il proprio destino.» Aggiungendo a questo che l'alto livello di intelligenza di Assange fa pensare che con ogni probabilità arriverebbe conseguentemente a togliersi la vita. Fare riferimento alla salute mentale è, quindi, un pretesto per poter fare giustizia; il messaggio pubblico implicito, ma evidente proveniente dal magistrato è: «So bene che l'accusa è sbagliata, ma dal momento che non sono disposta a riconoscere questo, preferisco concentrarmi sulla questione della salute mentale.» (Inoltre, ora che il tribunale ha rifiutato anche la possibilità di concedere ad Assange la libertà provvisoria, egli rimarrà comunque in carcere nello stesso regime di solitudine che ha causato la sua situazione di disperazione suicida...). La vita di Assange è stata (forse) salvata, ma la sua Causa (la libertà di stampa, la lotta per avere il diritto di rendere pubblici i crimini di Stato) rimane un crimine. Ecco un buon esempio di cosa significhi realmente l'umanitarismo dei nostri tribunali.
Ma tutto questo è moneta comune: ciò che invece dovremmo fare, è applicare la frase di Eliot ad altri due recenti avvenimenti politici. La pagliacciata messa in atto a Washington il 6 gennaio 2020 non sarebbe forse la prova definitiva (se ancora ne dovesse servire una) del fatto che Assange non deve essere estradato negli Stati Uniti? Sarebbe come se si estradassero in Cina dei dissidenti fuggiti da Hong Kong.
Primo evento. Quando Trump ha fatto pressione su Mike Pence, il suo vice, perché non certificasse i voti elettorali, ha chiesto anche che Pence facesse la cosa giusta per il motivo sbagliato: sì, il sistema elettorale degli Stati Uniti è fraudolento e corrotto, è una enorme farsa organizzata e controllata dallo «Stato profondo».
Vedete, le implicazioni della richiesta fatta da Trump sono interessanti: egli ha argomentato dicendo che invece di limitarsi a svolgere semplicemente il suo ruolo nella forma prescritta dalla costituzione, Pence avrebbe potuto ritardare od ostacolare la certificazione del Collegio Elettorale prevista dal Congresso. Una volta che i voti sono stati contati, il vicepresidente deve solamente dichiarare qual è il risultato già determinato in precedenza; ma Trump voleva che Pence agisse come se stesse effettivamente prendendo una decisione... Ciò che Trump stava chiedendo, non era una rivoluzione ma solo un tentativo disperato di salvarsi la pelle costringendo Pence ad agire all'interno del contesto dell'ordine istituzionale, prendendo la lettera della legge più seriamente di quanto dovrebbe essere presa.
Secondo evento. Quando il 6 gennaio i manifestanti pro-Trump hanno invaso il Campidoglio, hanno fatto la cosa giusta per il motivo sbagliato. Facevano bene a protestare contro il sistema elettorale statunitense con i suoi complessi meccanismi elaborati con l'obiettivo di rendere impossibile l'espressione diretta dell'insoddisfazione popolare (e questo è qualcosa che è stato espressamente ammesso dagli stessi Padri Fondatori). Ma questo assalto non è stato un golpe fascista. Prima di prendere il potere, i fascisti fanno degli accordi con i grandi imprenditori. Ora, invece, i leader aziendali ci dicono che «per preservare la democrazia, Trump va rimosso dal suo incarico». Ora questo vuol dire che Trump ha incitato i manifestanti contro i grandi imprenditori? Non proprio. Ricordiamoci che egli ha apertamente sostenuto l'aumento delle tasse al 40% per i ricchi, argomentandolo dicendo che salvare le banche con denaro pubblico è «socialismo per i ricchi». Trump che difende gli interessi delle persone comuni, ci ricorda l'atteggiamento di Kane nel film di Orson Welles. Quando un banchiere ricco lo accusa di parlare per la moltitudine dei poveri, Kane risponde che è così, che di fatto il suo giornale parla per le persone comuni povere, ma lo fa proprio per poter evitare il vero pericolo: che i poveri comuni comincio a parlare per sé stessi.
Come ha dimostrato Yuval Kremnitzer, Trump è un populista che rimane dentro il sistema. E come fa qualsiasi populismo, oggi anche questo populista non si fida della rappresentanza politica e finge di parlare direttamente in nome del popolo, Il populismo di oggi si lamenta del fatto che le sue mani sono tenute legate dallo «Stato profondo» e dall'establishment finanziario. Il suo messaggio è che «se solo non avessimo le mani legate, potremmo farla finita con i nostri nemici una volta per tutti». Tuttavia, contrariamente al vecchio populismo autoritario (come il fascismo), che è disposto ad abolire la democrazia formale rappresentativa e a prendere realmente il potere per imporre un nuovo ordine, il populismo di oggi non ha una visione complessiva di alcun nuovo ordine. Il contenuto positivo della sua ideologia e della sua politica è fatto di un bricolage incoerente di misure per finanziare «i nostri» poveri, per ridurre le tasse ai ricchi, per concentrare l'odio su figure come quelle degli immigrati, delle minoranze e della nostra «élite corrotta che sta mandando fuori dal paese i nostri posti di lavoro», e così via... È per questo che i populisti di oggi non vogliono davvero liberarsi della democrazia rappresentativa consolidata ed assumere totalmente il potere: liberarsi dalle «manette» dell'ordine liberale contro cui finge di lottare, per la nuova destra vorrebbe dire fare davvero qualcosa di reale, e questo metterebbe in evidenza il vuoto del suo programma. I populisti di oggi possono funzionare solamente a partire dal rinvio indefinito dei loro obiettivi, poiché essi possono funzionare solo come opposizione allo «Stato profondo» dell'establishment liberale: «La nuova destra non cerca, almeno in questo momento, di instaurare un valore supremo - per esempio, la nazione o il leader - che esprimerebbe pienamente la volontà del popolo, e permetterebbe quindi perfino di arrivare ad esigere l'abolizione dei meccanismi di rappresentanza.»
Tutto questo significa che le vere vittime di Trump sono i suoi stessi sostenitori comuni che prendono sul serio le sue chiacchiere contro le élite corporative liberale e le grandi banche. È lui il traditore della sua stessa causa populista. I suoi critici liberali lo accusano di fingere di contenere i suoi sostenitori più radicali, i quali sarebbero disposti a lottare violentemente in suo nome, mentre in realtà egli sarebbe al loro fianco, incitandoli alla violenza. Ma la verità è che in realtà egli non sta dalla loro parte. La mattina del 6 gennaio, davanti alla Casa Bianca, Trump si è rivolto al raduno di Elipse: «Marciamo sul Campidoglio. Andiamo ad applaudire i nostri coraggiosi senatori, senatrici e congressisti. E probabilmente per alcuni di loro non ci resteremo così tanto, poiché il nostro paese non rinasce con la debolezza. Dove mostrare forza, si deve essere forti». Tuttavia, quando la folla lo ha fatto e si è avvicinata al Campidoglio, Trump si è ritirato dentro la Casa Bianca per assistere alla violenza in televisione.
Trump voleva davvero mettere in scena un colpo di Stato? La risposta è sicuramente e definitivamente no. Quando la folla ha invaso il Campidoglio, egli ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Conosco i vostri problemi. So che siete arrabbiati. Ci hanno rubato le elezioni. Abbiamo vinto, e abbiamo vinto con un margine schiacciante. Questo lo sa tutto il mondo, soprattutto i nostri avversari. Ma ora dovete tornare a casa. Abbiamo bisogno di pace. Abbiamo bisogno legge e di ordine.» Trump ha accusato i suo avversari della violenza di oggi ed ha elogiato i suoi sostenitori dicendo: «Non possiamo giocare il loro gioco. Abbiamo bisogno della pace. Perciò andate a casa. Vi amo; siete speciali.» Quando la folla ha cominciato a disperdersi, Trump ha fatto un Tweet a difesa delle azioni dei suoi sostenitori che avevano invaso e vandalizzato il Campidoglio: «Ecco cosa succede quanto una sacrosanta e schiacciante vittoria elettorale viene rapinata in maniera così brutale e senza tante cerimonie.» E conclude il suo Tweet, commentandolo: «Ricordatevi per sempre di questo giorno!» Essì, dovremmo davvero ricordarlo; perché ha svelato tanto la farsa della democrazia statunitense quanto la farsa della protesta populista contro di essa. Negli Stati Uniti, solo poche elezioni hanno avuto davvero importanza: come l'elezione per il governatore della California nel 1934. Il candidato democratico Upton Sinclair perse perché l'intero establishment aveva organizzato un campagna di menzogne e calunnie senza precedenti (per esempio, Hollywood arrivò a dire perfino che se Sinclair avesse vinto avrebbero trasferito gli Studios in Florida!)
Una folla furiosa e incazzata che attacca il Congresso in nome di un presidente popolare che è stato privato del proprio potere per mezzo di manipolazioni parlamentari... vi dice qualcosa? Sì: è questo che sarebbe dovuto avvenire in Brasile, nel 2016, o in Bolivia, nel 2019: lì il popolo avrebbe avuto tutto il diritto di invadere il parlamento e reinstallare i suoi presidenti eletti. Negli Stati Uniti, ad essere in gioco era qualcosa di completamente diverso. Ragion per cui, speriamo che ciò che è successo il 6 gennaio a Washington ponga almeno fine all'oscenità di dover vedere gli Stati Uniti che inviano osservatori alle elezioni di altri paesi per giudicarne la correttezza. Ora sono le elezioni americane stesse ad aver bisogno di osservatori stranieri. Gli Stati Uniti sono uno «Stato canaglia», come sono soliti dire loro a proposito di altri paesi; e questo non solo dopo che Trump ha assunto la presidenza: la (quasi) guerra civile in atto rivela una spaccatura che c'è sempre stata.
- Slavoj Žižek - Pubblicato il 14/1/2021 su BlogDaBoitempo -
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