martedì 12 gennaio 2021

Critica del Cemento

Anselm Jappe: «Il cemento impoverisce il mondo rendendolo uniforme e monotono»
- Intervista di Youness Bousenna per Marianne -

Nel suo ultimo saggio, Anselm Jappe sviluppa una critica filosofica del cemento. In questa intervista, spiega in che modo questo materiale che è alla base della moderna architettura distrugga la bellezza del mondo. Secondo l'ultimo libro del filosofo Anselm Jappe, il cemento è «l'arma di costruzione di massa del capitalismo». Questo teorico della critica del valore, ed esperto di Guy Debord, non si concentra solamente sui misfatti sanitari ed ecologici del cemento, ma affronta, in profondità, il modo in cui il cemento disumanizza il mondo.

Marianne: Perché il crollo del ponte Morandi, avvenuto a Genova nel 2018, l'ha convinta ad impegnarsi in una critica del capitalismo svolta a partire dal cemento?

Anselm Jappe: Sono rimasto colpito da questo evento poiché ero in Italia al momento del disastro, ed avrei dovuto attraversare il ponte Morandi il giorno dopo il suo crollo. Mi ha colpito il modo in cui le discussioni si sono incentrate sui difetti di costruzione o di manutenzione, tralasciando la causa principale: il fatto che il cemento armato, in quanto tale, è un materiale di scarsa qualità e che, dopo qualche decennio, se non viene rinnovato si deteriora. Questa intuizione si è poi collegata ad una mia antica preoccupazione che risale alla mia adolescenza, ed è un rifiuto epidermico per il cemento e per una buona parte dell'architettura moderna. A questo punto, mi è parso pertinente articolare una critica del capitalismo a partire dal cemento, dal momento che questo tipico materiale della modernità è l'espressione della sua logica profonda: lo si ritiene eterno, ma sua sua obsolescenza è rapida - e per di più questo avviene subito dopo che si è finito di pagare il mutuo per pagare la casa  - ed è un esempio del ciclo accelerato di produzione, consumo e scambio che costituisce il nostro sistema economico. Esiste quindi una sorta di isomorfismo tra il cemento e la cultura industriale e capitalista.

Marianne: Più che il cemento, è il cemento armato quello su cui si concentra la sua critica. Qual è la sua traiettoria storica?

Jappe: Bisogna distinguere il calcestruzzo storico, che è un miscuglio di calcare, acqua e pietre che esiste fin dall'antichità - ad esempio, i romani costruirono in questo modo il Pantheon - dal cemento moderno. Abbandonato per circa quindici secoli, il calcestruzzo riappare in Inghilterra nel 18° secolo, dopo che l'ingegnere inglese John Smeaton scopre che usare l'argilla permetteva di fare a meno del granulato vulcanico che veniva usato dai romani: tale scoperta consentiva di creare del calcestruzzo a prescindere da quale fosse la composizione geologica del luogo in cui esso veniva prodotto. Sembra sia stata la villa Lebrun, eretta nel 1828 a Marssac-sur-Tarn, la prima costruzione dopo l'Antichità costruita interamente in calcestruzzo. Poi, verso la metà del 19° secolo, il francese Joseph-Louis Lambot inventa ciò che diventerà il cemento armato, dotando il calcestruzzo di un'armatura in ferro.
Diventa così chiaro, alla fine di quel secolo, che il cemento armato avrebbe potuto permettere di costruire  del strutture assai grandi. Sarà la seconda guerra mondiale ad essere decisiva, poiché permetterà un salto di qualità nelle costruzioni in cemento armato, in particolare dopo che dai nazisti verrà eretto il Muro Atlantico. Il periodò successivo al 1945 segnerà il trionfo del cemento. Questo materiale di costruzione diverrà popolare a partire dal diffondersi di correnti architettoniche come il Brutalismo,o  a partire da Le Corbusier (1887-1965). L'Unione sovietica lo utilizza in maniera massiccia negli anni '50 per costruire un enorme numero di alloggi a basso costo. E anche se la fine del 20° secolo ha segnato il tramonto della moda del cemento, esso rimane tuttavia assai utilizzato, soprattutto per le infrastrutture. La Cina, ad esempio, ogni due anni fa uso della stessa quantità di cemento corrispondente a quella che è stata utilizzata negli Stati Uniti in tutto il 20° secolo.

Marianne: Lei come spiega il fatto che tutte le correnti di avanguardia dell'inizio del 20° secolo - così come tutti i totalitarismi, abbiano sostenuto l'utilizzo del cemento?

Jappe: Il cemento permette di soddisfare una megalomania ed un certo brutalismo - visto, questi, nel suo senso originario di "forza bruta" - che poi in seguito si combinerà con il culto del vetro e dell'acciaio. A questo si aggiunge la volontà - da parte di tutte queste correnti, dal futurismo italiano al suprematismo russo, passando per la Bahaus tedesca - di rimettere il mondo a posto per ricostruirlo. Per loro, il cemento è un modo di rinunciare agli ornamenti, e quindi alla cultura borghese che prediligeva ciò che è inutile; facendo così riferimento anche alla corrente funzionalista e allo "Stile internazionale" promosso da Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969). Il cemento viene apprezzato da tutti loro in quanto ignora le peculiarità locali, le diversità del mondo che vengono giudicate inutili, e pertanto diventa così il materiale ideale di un universalismo modernista. Seguendo questa moda, Le Corbusier occupa un posto particolare, in ragione della sua notorietà, ma anche a partire da ciò che in lui esplicita la natura distruttriva del capitalismo, mediante la sua volontà di fare tabula rasa del mondo esistente. La sua architettura riflette una visione del mondo assai gerarchica, con l'idea che bisogna fare delle splendide case per i ricchi e solo degli alloggi funzionali per i poveri. Dà prova, inoltre, di un'ossessione del controllo e dell'ordine che si esprime nella sua volontà di sopprimere le strade (vale a dire la socialità), eliminandole e cedere così alle automobili lo spazio pubblico . Nel suo lavoro, c'è come una sorta di fascismo del cemento.

Marianne: Perché definisce lo sforzo costruttivo in cemento durante i "Trent'anni Gloriosi" come "modernizzazione delle baraccopoli"?

Jappe: Alla critica del cemento non va opposta una sorta di Eden perduto: nel 19° secolo, le classi popolari spesso vivevano in degli alloggi insalubri, e il cemento permise loro di uscirne grazie ad un nuovo tipo di benessere. Ma quella miseria venne sostituita da un'altra miseria, nello stesso modo in cui la fame venne sostituita dall'abbondanza di quello che è "cibo spazzatura". Questa fascinazione esercitata dalla modernità del cemento, e dal suo modo di vita, poi si è spenta, fino al punto che, come è avvenuto nelle periferie dei sobborghi, i contestatori cominciano spesso a distruggere il loro ambiente di vita divenuto per essi insopportabile.

Marianne: Lei individua nel cemento, esattamente quattro grandi problemi: l'estrazione massiccia di sabbia e ghiaia; il consumo di energia, insieme alle emissioni di CO2 che tale consumo comporta; la nocività per la salute umana; e la sterilizzazione del suolo.

Jappe: Descrivo rapidamente questi problemi sanitari ed ecologici, dal momento che essi sono già noti, ma anche perché non ritengo che ci portino lontano in termini di critica. Limitarsi a questi temi, lascerebbe aperta la strada ad innovazioni, come ad esempio il riciclaggio delle materie prime. Ora, la mia intenzione è quella di andare oltre, e sottolineare a come il cemento abbia contribuito a distruggere la ricchezza millenaria delle architetture tradizionali e ad impoverire il mondo, rendendolo uniforme e monotono. Questi effetti estetici e antropologici del cemento, come quelli della costruzione moderna in generale, alterano il nostro modo di stare al mondo. Ma il tour de force del capitalismo è consistito nell'are reso il cemento il materiale di default, rendendo così l'ancestrale pietra tagliata, un materiale di lusso.

Marianne: La sua critica del cemento si ispira soprattutto a Karl Marx. In che modo la sua critica del valore è rilevante per poter analizzare un tale soggetto?

Jappe: Marx ritiene che esista una doppia natura del lavoro: esso è allo stesso tempo sia concreto (fabbricare un tavolo, per un falegname, o preparare un pasto, per un cuoco) che astratto. Questo carattere astratto deriva dal fatto che una volta che vengono prodotti, tutti i beni e i servizi verranno valutati a partire dalla cosa che hanno in comune, vale a dire, il tempo di produzione e di energia umana che si è resa necessaria, e che costituirà la base del valore che noi gli attribuiremo. Secondo Marx, dare priorità al fatto che noi definiamo le cose a partire da una tale concezione astratta, è una caratteristica propria del capitalismo: al lavoro non viene assegnato valore per la sua utilità sociale o per la sua bellezza, ma per il tempo di cui esso necessita. Pertanto, che si tratti di bombe o di giocattoli, il valore del prodotto dipenderà unicamente da un tempo di produzione che possa uniformare tutto.
In inglese, la parola per dire "cemento" è "concrete". Facendo uso di questo gioco di parole, propongo un'analogia tra questa concezione di Marx e la natura del cemento, che è come se fosse una sorta di traduzione pura e perfetta di quello che è il lavoro astratto: il cemento, essendo dappertutto, in tutto il mondo, sempre lo stesso, è una metafora tanto del capitalismo quanto del suo materiale di costruzione preferito. Si potrebbe applicare lo stesso ragionamento anche alla plastica che, come il cemento, porta alla standardizzazione del mondo, nel momento in cui sostituisce i diversi oggetti con una quantità di materiale sempre identica.

Marianne: A che cosa potrebbe assomigliare una "architettura felice" - alla quale lei fa riferimento quando in un  capitolo evoca lo scrittore e artista britannico William Morris (1834-1896)?

Jappe: Le sue idee sull'architettura, basate su una critica del capitalismo e su una predilezione per una competenza artigianale, sono fondamentali in quanto fanno rivivere il gesto tradizionale del costruire, che crea più lentamente, ma per molto più tempo e durata. Credo in un costruire che faccia uso delle tecniche e dei materiali locali, visto che le architetture più belle sono quelle che sembrano prolungare la geologia stessa, arrivando a fare dell'habitat una escrescenza della Terra. Queste armoniose architetture sono quelle che io ritrovo in giro per il Mediterraneo, in Italia, in Spagna o nelle Cicladi. Riguardo questo settore, l'immaginazione umana è stata inarrestabile e sterminata, ma sono bastati alcuni decenni di capitalismo per ridurre tutta questa diversità ad un folklore locale, in modo da poter rimpiazzare tutto questo - in nome dell'efficienza e del progresso - con un habitat standardizzato.

- Intervista di Youness Bousenna - Pubblicata su Marianne il 2 gennaio 2021 -

* Anselm Jappe, Béton. Arme de construction massive du capitalisme, L’Echappée, 200 p., 14 €

1 commento:

Unknown ha detto...

Articolo molto istruttivo. Grazie Silvana Grippi