lunedì 25 gennaio 2021

A volte dimentico di scordare …

Della sua morte, avvenuta il 15 dicembre del 2006, lo seppi solo qualche tempo dopo. Spero solo che quel giorno non sia stato troppo freddo nella sua Ragusa. Che strano, quando è morto aveva poco meno di 86 anni, ma non mi riesce pensarlo ... "vecchio"! E non perché ora siano passati così tanti anni da quando lo vidi per l'ultima volta. No, non per questo, non per non averlo visto ... "invecchiare".Gli è che già da subito, da quando lo conobbi all'inizio degli anni '70 - ed allora, ad esempio, rispetto a mio padre era più giovane solo di un anno - lo percepii immediatamente come se fosse, per usare un'immagine stantìa, un ... fratello maggiore. Quella sensazione era destinata a rafforzarsi, non troppo tempo dopo nel 1974, quando passammo una buona "mesata" a Vallo della Lucania, stando praticamente insieme giorno e notte per tutta la durata del processo a Giovanni Marini. O certo, allora lui «ne sapeva qualcuna» più di me, come quando mi rimbrottò perché stavo lasciandomi scappar detto al commissario Juliano venuto a portarci in camera di sicurezza, che la porta dell'immobile che avevamo forzato - nella piazza centrale di Vallo della Lucania, per stendere uno striscione che poi sarebbe stato visto da tutto il paese -  l'avevamo, per l'appunto, forzata. Ne aveva di esperienza di poliziotti e magistrati!
Fummo gli unici, io e lui, allora a "farcelo" tutto, il processo. Arrivammo - io da Firenze, lui non so da dove -  qualche giorno prima che cominciasse, venuti lì per preparare un po' il terreno per le decine di compagni che poi via via si sarebbero succeduti in quel posto che, senza offesa, poteva essere definito come uno dei buchi di culo del mondo. L'impatto fu dei peggiori, all'inizio. Il segretario della locale federazione comunista ci venne ad esprimere tutta la solidarietà e tutto il dispiacere per non aver potuto  mettere a disposizione la sede, nonostante il fatto che i militanti di base del paese avessero cercato di spingere in tal senso. Ordini dall'alto! E ciò, nonostante il fatto che Terracini fosse nel collegio di difesa (gli alti papaveri anarchici avevano ritenuto che «poteva servire alla causa»!!). Ma allora già Terracini non ci stava troppo con la testa. E, ad onor del vero, anche quando ci stava aveva da tempo accettato di far da gagliardetto ad un partito comunista che aveva non troppo a che fare con quello da lui fondato insieme a Bordiga e ad altri. Ma tant'è, anzi tanto fu.
Ho passato fra le più belle giornate, e nottate, della mia vita, a Vallo della Lucania, nel 1974, insieme a Franco Leggio. A fare, a organizzare, a chiacchierare. Ricordo sempre le lacrime del gestore della trattoria dove mangiavamo tutti i giorni, quando lo salutammo dicendogli, la mattina dopo la notte della sentenza, che andavamo via. Un omone enorme che piangeva come un bambino, mentre abbracciava e baciava Franco, cercando di strappargli la promessa di un ritorno. E ne ricordo, di Franco, la modestia e le battute. Lo spirito siciliano che traboccava da quei suoi occhi dallo strano taglio quasi orientale. Ne ricordo la tranquillità, persino quella volta che - lui (che non aveva, e non avrebbe mai preso la patente) seduto dietro nella macchina dalle gomme lisce che ci aveva prestato Libero Fantazzini per andare a fare un bagno nel mare di Velia - persi il controllo della vettura, facendola sbandare paurosamente, per poi riuscire a fermarmi solo dopo un chilometro di paura e un paio di testa-coda. La sua bocca, impreziosita da quei baffi spioventi che lo avevano fatto scambiare per un fascista, alla Occhipinti, la prima volta che lo vide, allora non fece una piega!
Già, Vallo della Lucania. Come ricordare tutto e tutti? I compagni che arrivavano da tutte le parti d'Italia. Quelli che andavano via poco dopo e quelli che si fermavano un po' più a lungo. Gli slogan, che la sera andavamo a urlare sotto il carcere per farci sentire bene da chi stava dietro quelle mura, e quella volta che si cominciarono a sentire i secondini sparare,  e Luca Villoresi che il giorno prima si era fatto una brutta storta alla caviglia, ed era alto [credo lo sia ancora, e gli auguro di aver continuato ad esserlo] più di un metro e novanta e si appoggiava a me e a Franco mentre cercavamo in maniera improponibile di scappare stando chinati. E la gente del luogo che nell'unica osteria del paese si ubriacava e ci raccontava la propria vita, storie di resistenza umana e politica. E Dario Fo che arriva e fa lo spettacolo in paese, e noi gli si monta e poi gli si smonta il palco. E Franco che mi guarda e sorride ammiccando, come a dire che è meglio essere tra quelli che lo montano e poi lo smontano il palco, piuttosto che fra quelli che si limitano a salirci sopra per poi tornare in albergo senza nemmeno fermarsi a parlare, non dico a ringraziare.
Ma forse ci si nasce, come Franco Leggio. Minatore in una miniera di zolfo, probabilmente fu lì che tutto incominciò. Poi in Marina, per sfuggire alla sorveglianza che a Ragusa si faceva sempre più stretta. Nel 1944 contrae la tubercolosi e viene ricoverato in un sanatorio, a Ragusa, da cui scappa nel gennaio del 1945 per mettersi a capo della rivolta contro la coscrizione. Il movimento "Non Si Parte" si scontra, armato, con la polizia sotto il controllo degli alleati e viene represso con centinaia di arresti. Gli costa un anno e mezzo di prigione, a Franco! Torna a lavorare in miniera nel 1949 e partecipa al grande sciopero di due mesi, e all'occupazione delle miniere, durante il quale i minatori e le loro famiglie si battono contro la polizia. Come spesso è avvenuto, soprattutto in Sicilia, la lotta è svenduta dai sindacati ed alcuni, fra cui Franco, sono costretti a lasciare Ragusa. Fra il 1949 ed il 1969 lavora a Napoli, a Bari, a Genova e a Milano, e infine in Francia. In questo periodo si lascia coinvolgere nel lavoro clandestino che gli spagnoli hanno messo in piedi contro il franchismo. E' uno degli italiani della "banda" di Jose Luis Facerias e riesce a sfuggire all'agguato della polizia spagnola in cui lo stesso Facerias perde la vita, nel 1957. Nel 1960 fonda la casa editrice "La Fiaccola" e i costi di "produzione" per stampare libri e opuscoli sono alti e comportano perquisizioni e arresti. Continuerà a pagarli per anni, questi costi, senza mai cedere di un passo. Anche quando, nel 1986, i magistrati chiederanno una perizia psichiatrica, dichiarerà pubblicamente che, se lo vogliono, dovranno venire a prelevarlo a casa! Sarà un vasto movimento di opinione internazionale a scongiurare l'ennesima brutalità ai suoi danni. E ora è morto, in quello stesso ospedale da cui era evaso nel 1945!
E io, insieme al ricordo dei suoi occhi brillanti e del suo sorriso - come lo si può vedere in questa foto, scattata fuori dal tribunale della mia Siracusa risalente a quegli anni in cui l'ho conosciuto -  mi tengo quello del suo tranquillo coraggio che non ho mai avuto e non avrò mai. Nato il 2 marzo 1921, oggi come allora continua ad essere un mio coetaneo, un fratello maggiore, di poco, e lo è ancora. Come in quest’altra foto dove siamo insieme. E fratello maggiore e insieme lo sarà sempre!

- già pubblicato sul blog il 26/7/2007 -

Nessun commento: