Kafka: letteratura e prostituzione
di Carlos Mayoral
Quando ancora noi altri mortali cercavamo di lucidare le logore sedie romanzesche dell'Ottocento, Kafka aveva già capito che il Novecento si sarebbe ben presto svegliato trasformato in un mostruoso insetto. E ciò avveniva perché l'eco di tutte queste voci, che per anni avevano fatto della prosa la regina di tutti gli intelletti, stava ora già rimbalzando sulle pareti della "Shakespeare & co", portando a un nuovo modello di romanzo che, attraverso Joyce, Proust e Faulkner, mescolava nello stesso cocktail la metafisica tedesca, il monologo intérieur, la durée bergsoniana e chissà ancora quante altre risorse che si trovavano a metà strada tra la distinzione e la pacchianità. Come per magia, i tomi pesanti e irraggiungibili si moltiplicarono. Le avanguardie europee ci tenevano a che venisse sottolineata la qualità di queste creazioni, per quanto fossero ben pochi a preoccuparsi di arrivare fino all'ultimo paragrafo. Nel mentre, l'ego dei protagonisti svettava sui tetti della Parigi dell'epoca, che per ora continuava a essere ancora una festa, prima di venire corrosa dalle grandi guerre. Questi giganteschi ego ci avrebbero lasciato in eredità episodi celebri, come quella cena tra i già citati Joyce e Proust, in cui ognuno si concentrava a parlare di sé senza prestare alcuna attenzione agli sconosciuti argomenti dell'altro. Di fronte a un simile spettacolo, era solo questione di tempo prima che il nostro amato Franz si mettesse in cerca di un qualche antidoto che gli permettesse di uscire da quella stanza claustrofobica. Ma non sarebbe stato facile trovare la formula giusta per un ragazzo con il nome di un imperatore austro-ungarico, una figura gracile con le orecchie a sventola, con un lavoro che lo soffocava e una sorprendente e palpabile mancanza di amore per sé stesso. Tutte queste caratteristiche, ivi compreso il nome imperiale e la sua genetica orecchia, erano state lentamente sminuzzate e cancellate dal cognome Kafka. Suo padre, un ebreo non troppo intelligente, si comportava da patriarca con una mano così talmente pesante che i suoi colpi potevano essere letti in ogni riga scritta dal figlio ubbidiente. Era sta la madre, a prendere le redini della creatività di Franz, stimolata in questo dalle sue origini piuttosto bohémien, e da una mentalità più affabile. Le sorelle avevano invece svolto il ruolo di amiche e confidenti, offrendo sostegno quando Franz sembrava cadere; cosa che, letteralmente, accadeva un po' troppo spesso a causa delle sue frequenti vertigini. Più tardi, il nome della famiglia si sarebbe dissolto ad Auschwitz, dove le sorelle avrebbero scoperto che a volte non c'è mondo più kafkiano di quello che attraversiamo ogni giorno. Ma, come dicevamo, fu allora che arrivò il buon vecchio Franz Kafka. A pezzi e tormentato. Rozzo. Asociale.
A proposito di Antitesi e di Antidoti
Se rileggiamo quanto scritto sopra, nella premessa, si può notare come sia stata posta particolare attenzione nel descrivere, tanto l'ambiente familiare quanto quello letterario che circondava la figura di Kafka. Per uscire da entrambi i contesti, va detto che il geniale scrittore sceglie un anno: il 1912. È in questo anno che egli scopre le due vie di fuga che lo faranno dimenticare. Si tratta, da un lato, di mettere su carta tutta la letteratura che fino a quel momento aveva assaporato soltanto come lettore e, dall'altro, di frequentare più o meno regolarmente i vari bordelli di Praga. Per capire meglio la situazione, dobbiamo necessariamente entrare nel mondo kafkiano che egli stesso aveva deciso di creare. La qualità che meglio definisce Kafka è la sua indefinitezza. Nel leggerlo, si finisce per sentirsi come imprigionati dai sentimenti del protagonista; anche se si tratta di un insetto o di un ragazzo che viene perseguito senza alcun motivo apparente. È da qui che nascono le diverse letture che sono state fatte della sua opera. Ho visto l'insetto della Metamorfosi identificato con il fascismo, con il proletariato, con il fallimento sessuale, con la caduta dell'impero e con l'ascesa del gin tonic. Ciò avviene perché siamo tutti - e allo stesso tempo nessuno di noi lo è - Kafka; e simultaneamente il confine tra chi è il personaggio e chi è il lettore non viene mai chiaramente definito. Così, tutti noi abbiamo preso il posto di Samsa o di Josef K., facendolo da quella che è una posizione defilata, godendo sia della loro sofferenza - che era anche la nostra - sia della breve distanza che ci separa da loro. Ebbene, a me succede la stessa identica cosa anche quando visualizzo la vita di Kafka, poiché l'empatia con il protagonista è tale che non capisce più dove inizia la vita di Kafka e dove finisce quella del biografo di turno. Come non commuoversi insieme al nostro protagonista dalle orecchie a sventola quando, con il cuore stretto nel pugno, scrive queste righe all'eterno amico Max Brod? «Ieri, per pura solitudine, ho portato in un albergo una prostituta. Era troppo vecchia per continuare a rimanere triste. E quel che le dispiaceva, era solamente il fatto che gli uomini non siano così affettuosi con le prostitute così come lo sono con le loro amanti. Non l'ho consolata, visto che nemmeno lei mi ha consolato.»
Quella che leggiamo, è la cronaca di un'anima a pezzi. Una mente sofferente, nella quale non è difficile entrare. Ma a questo punto va evidenziato come, con il passare degli anni, Kafka fosse diventato sempre più avverso a ogni cosa. Aveva manifestato interesse per il socialismo e per l'anarchismo, a partire da una sua presunta capacità di solidarietà che poi, più tardi, avrebbe avrebbe allontanato da sé. In contrasto con la sua famiglia, era diventato vegetariano. Come non far tornare alla mente la scena in cui Kafka, guardando un acquario insieme alla fidanzata, si rivolge ai pesci dicendo: «Tranquilli, io non vi mangerò più». Questo suo eccessivo naturismo avrà delle conseguenze fatali poiché - secondo tutti gli esperti - la tubercolosi che lo uccise potrebbe essere stata contratta bevendo latte non pastorizzato. La sua evoluzione religiosa, vissuta nel corso della gioventù, lo aveva spinto a un vago ateismo («il Messia arriverà quando ormai non sarà più necessario»); secondo una tendenza che si pone in contraddizione con la tradizione della famiglia Kafka. Quello che vediamo, pertanto, appare come uno spirito teso a trovare la strada opposta a quella tracciata per lui.
Detto ciò, se torniamo al 1912, registriamo il fatto che durante i suoi occasionali viaggi in Europa Kafka ha già visitato alcuni bordelli. La sua cultura letteraria si era formata a partire dalla lettura di Flaubert e di Cervantes. Che cosa succede, a partire da quest'anno in poi, che possa far sì che Kafka scriva quella che con ogni probabilità è la migliore letteratura del XX secolo, e che allo stesso tempo diventi ossessionato dalla vasta offerta delle prostitute di Praga? Si direbbe che Kafka, semplicemente, smetta in un sol colpo sia di credere nella propria abilità letteraria che nella sua capacità di amare.
Kafka, l'amore e la prostituzione
Nel 1912, Kafka scrive la sua prima opera di rilievo, e contemporaneamente dà inizio alla sua prima seria relazione sentimentale. Finalmente, gli si aprono queste due strade. Evitando di soffermarci troppo su quello che è stato il suo fallimento letterario, dato che è già noto; egli pubblicò solo una manciata di racconti, e a partire da questo la scarsa stima che egli stesso nutriva per il proprio lavoro lo portò a formulare un ultimo desiderio prima di morire: i suoi scritti avrebbero dovuto essere bruciati, fino all'ultima pagina. Questo fallimento chiude quella che era la sua prima via di fuga. Gli rimaneva tuttavia ancora un'ultima pallottola in canna. Incontra Felice Bauer, con la quale per cinque anni intreccerà una relazione. La corrispondenza tra i due amanti - pubblicata e vivamente consigliata - parla da sé sola. Cinque anni di una relazione turbolenta e instabile. Quasi sempre a distanza. Felice va piano piano perdendo la sua "prospettiva kafkiana" e gradualmente la relazione si spegne. «La mia barca è molto fragile», riassumerà lui. Questo è il suo primo fallimento, ma non certo l'unico. Anche Milena Jesenská e Dora Diamant soffriranno a causa della sua mancanza di tatto con le donne. Ma perché questa incapacità di amare?
Il primo argomento in proposito, fa riferimento a quella medesima indefinitezza che è evidente nei suoi testi. Kafka, nei suoi lavori non si accontenta di assumere un unico ruolo. Allo stesso modo, nelle lettere che si scambia con la Bauer, possiamo vedere il modo in cui Franz muta, sfuggendo alla realtà che Felice gli mette davanti. Lei non capisce questa sua metamorfosi che lo accompagna, questo suo modo di sfuggire per mezzo di argomenti che mescolano - come fa nella sua opera - realtà e nonsense, nel modo più naturale. Felice confesserà a Brod: «Non so perché, ma il problema sembra essere che Franz mi scrive spesso, ma le sue lettere non sembrano avere senso. Non capisco cosa stia succedendo». Il secondo argomento invece riguarda quello che è il suo rifiuto di tutto ciò che è consolidato, di tutto quello che gli riporta alla mente la sua propria famiglia. Ragion per cui, niente carne, niente sinagoghe, niente nucleo familiare. Kafka è riuscito a ottenere ciò che voleva: diventare un essere che rappresenti l'opposto di ciò che rappresentava suo padre.
Come si è già detto, Kafka era entrato in contatto con il mondo della prostituzione durante la sua giovinezza. All'età di sedici anni, suo padre lo aveva esortato ad avvalersi dei servizi di una prostituta, in modo da poter così acquisire quell'educazione sessuale che non era stato in grado di impartirgli. All'iniziale repulsione era seguita l'inquietudine che ogni giovane prova nei confronti di ciò che vive come moralmente sbagliato. Insieme all'amico Brod, visitò i bordelli dei Paesi in cui viaggiavano. Ma è solo nel 1912 che la sua inquietudine si trasforma in passione. E non sto parlando di una passione lasciva come potrebbe sembrare («Passo da un bordello all'altro, così come uno si presenta alla sua amata», arrivò a dire). Kafka ritrova nella figura della prostituta quella spontaneità che cerca nella sua letteratura. La novità e la discesa nel tenebroso lo attraggono. Durante i cinque anni in cui rimane legato a Felice, gli alti e bassi della relazione faranno sì che Franz visiti i bordelli ogni qual volta che il fidanzamento si rompe. La sua casa natale, all'angolo della Maisselgasse, curiosamente, si trova accanto a uno di essi. È destino. Cammina per le strade e le osserva. Osserva i loro visi. Le loro incantevoli gambe. Sappiamo da alcune testimonianze, che egli si chiede se sia volgare desiderare i loro corpi. Più tardi, dichiarerà che lo fa solo innocentemente, per quanto, con la sua solita mancanza di definizione, confesserà che è la cosa migliore che abbia mai conosciuto. Come nota Daniel Desmarquest nel suo libro "Kafka et les jeunes filles", esiste un frammento soppresso del Diario, in cui Brod chiarisce che: «l'unica adatta a lui è la donna sporca, più vecchia, completamente sconosciuta, con le cosce consumate».
Si tratta del suo vecchio vizio, quello da cui riuscirà a liberarsi solo quando sarà la tubercolosi a farsi sentire. Ma la chiave è lì: il miglior scrittore del XX secolo vede in queste donne come una porta che si apre su quel mondo tenebroso e sconosciuto che ha cercato anche per mezzo della sua letteratura. Le sue pagine sono piene di personaggi femminili disposte a usare il proprio corpo. Personaggi rudi, bruschi, smaccati. Non bisogna dimenticare che Kafka è un bell'uomo. Alto un metro e ottanta, quasi venti centimetri sopra la media praghese dell'epoca. Le donne gli andavano dietro, come dimostrato dalle numerose avventure avute con la cameriera del bar di fronte, o con la proprietaria della merceria all'angolo, o altre ancora. Gli piace rigirarsi nel pantano delle occasioni perdute, amare la persona che è stata dimenticata. Questo perché se c'è qualcosa di cui la sua opera parla, è proprio della solitudine. O, piuttosto, parla di trasformare l'atroce sentimento che accompagna la solitudine in qualcosa di naturale, riconoscibile e persino amabile. E che cos'è la prostituzione se non proprio questo?: solitudine. Pertanto, nel rapporto tra una prostituta e il suo cliente possiamo vedere riflesse tutte le relazioni possibili tra i personaggi di Kafka e Kafka stesso. Cosa sono Samsa e K. se non personaggi prostituiti dal proprio destino?
Ed è proprio questo il punto di incontro tra i due percorsi di cui abbiamo parlato all'inizio: era necessario fuggire dal XX secolo, da quel mostruoso insetto. Avevo cercato un antidoto e, senza rendermene conto, l'avevo trovato.
Letteratura e prostituzione. Prostituzione e letteratura. Ma lasciamo a Kafka stesso il compito di concludere questi paragrafi con un frammento del suo mondo, questa volta tratto da "Il castello" (1926):
«Si abbracciarono l'un l'altro, il piccolo corpo bruciava nelle mani di K.; in un deliquio a cui K. cercava incessantemente, ma invano, di strapparsi, si rotolarono e caddero pochi passi più in là, urtarono la porta di Klamm con un colpo sordo e rimasero distesi tra le piccole pozzanghere di birra e le immondizie che coprivano il pavimento. E lì passarono delle ore, ore di comune respiro, di palpito comune, ore in cui K. ebbe sempre la sensazione di perdersi o di essersi così addentrato in un paese straniero come nessuno aveva osato prima, in una terra sconosciuta dove l'aria stessa non aveva alcun elemento comune con quella del paese natio, dove sembrava di soffocare, tanto si era estranei, e tuttavia non si poteva far altro, in mezzo a seduzioni così folli, che inoltrarsi ancora e continuare a smarrirsi. E per lui, almeno all'inizio, non fu uno spavento, ma un'alba consolante, quando qualcuno chiamò Frieda dalla stanza di Klamm con una voce profonda, a metà tra l'indifferente e l'autorevole.»
- Carlos Mayoral - Pubblicato su Jot Down il 20 giugno 2021 -
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