Gli Stenogrammi filosofici di Günther Anders sono aforismi inediti, pubblicati per la prima volta nel 1965. In queste brevi riflessioni-lampo è raccolta la summa del pensiero di uno dei filosofi più provocatori del Novecento, quello più restio a imbrigliature e categorizzazioni.
I grandi temi andersiani – il rapporto fra uomo e tecnica, l’alienazione causata dal capitale e la catastrofe imminente – risuonano nell’attualità in modo inquietante. Ancora più dirompente, oggi, è la forza degli aforismi dedicati al pericolo delle armi atomiche e alle persistenti minacce di guerre nucleari. Con il «ritmo rapsodico di una sessione jazzistica», come sottolinea il curatore Sergio Fabian, questi Stenogrammi fanno emergere le ombre di un passato così poco passato che paiono addirittura «segnali dal futuro» imminente, nell’interpretazione della germanista Rosalba Maletta che ne ha scritto la postfazione. Una riflessione intensa che aiuta a guardare con occhio critico, pur senza debordare in disfattismo, la stagnante incertezza in cui pare affossata la società contemporanea.
(dal risvolto di copertina di: Günther Anders, "Stenogrammi filosofici". Bollati Boringhieri, pagg. 160, €16,50)
Maledetto Prometeo
- Nei suoi aforismi, attualissimi, il grande pensatore novecentesco Günther Anders svela la nostra cecità di fronte all’atomica -
di Roberto Esposito
Il veleno della falsità non richiede grandi discorsi. Si insinua come un virus nei singoli vocaboli. Per esempio, parlare di «armi atomiche» è un falso perché immette quegli ordigni catastrofici nella categoria delle armi. L’osservazione è contenuta negli Stenogrammi filosofici di Günther Anders, editi da Bollati Boringhieri con una prefazione di Sergio Fabian e una postfazione di Rosalba Maletta. Composti a Vienna nel 1965, mai come oggi, quando si torna a considerare l’apocalisse nucleare una possibilità fra le altre, risultano attualissimi. Per la prima volta – scrive Anders in piena guerra fredda – c’è il rischio di una vendetta postuma, compiuta da popolazioni già colpite dalla bomba: come un grande fuoco d’artificio che esplode senza pubblico e senza attori.
Ma intanto chi è Anders? Il suo vero nome, di ebreo tedesco, è Stern, trasformato in Anders – letteralmente “altro” – su suggerimento dell’editore berlinese. In esilio a Parigi e poi negli Stati Uniti al montare del nazismo e sposato in prime nozze con Hannah Arendt, assiste, alla fine del disastro bellico, alla nuova apocalisse di Hiroshima e al riarmo atomico. Di fronte alla cecità del genere umano rispetto alla concreta possibilità della propria scomparsa, Anders avvia un doppio impegno, politico e filosofico. Quanto al primo fonda, insieme a Robert Jungk, un movimento antinucleare nel 1954, avviando una corrispondenza con Claude Eatherly, capo della spedizione che ha sganciato la bomba in Giappone. Farà poi il giurato nel Tribunale Russell sui crimini di guerra in Vietnam. Quanto all’attività saggistica, scrive una serie di testi di straordinaria intensità tragica, che culminano ne L’uomo è antiquato.
Rispetto a esso gli Stenogrammi costituiscono un necessario complemento, redatto in forma aforistica – schegge di pensiero con il ritmo rapsodico di una sessione jazzistica (Fabian), che fanno emergere ombre di un passato così poco passato da sembrare segnali che vengono dal futuro (Maletta). Un incontro ibrido tra giornalismo e metafisica, li definisce lo stesso autore, che scava una breccia nelle filosofie ottimistiche di un progresso rivoltato contro la stessa umanità che l’ha innescato. Di fronte a uno strapotere della tecnica che rende inutili le stesse mani degli uomini, dal momento che gli strumenti non si lasciano più maneggiare, l’uomo appare palesemente inadeguato al mondo che lo circonda. Da qui la sua «vergogna prometeica» di fronte al dislivello che sperimenta rispetto ai suoi stessi prodotti, ormai autonomi da lui e destinati non solo a sovrastarlo, ma a minacciarne l’esistenza.
Rispetto a tale deriva Anders è lontano tanto dal “principio speranza” di Bloch quanto dal “principio responsabilità” di Jonas, entrambi ancora venati di ottimismo. Semmai appare più vicino ad Adorno, con cui condivide l’interesse per la musica, in particolare ai suoi Minima moralia, in qualche modo paragonabili, per forza drammatica e asciuttezza paratattica, a questi Stenogrammi. Abbandonata ogni garanzia metafisica, la diagnosi di Anders penetra come un coltello nella tradizione umanistica, rovesciandola in un’antropologia negativa senza redenzione. Quando ancora «si sente sferragliare i treni di Eichmann» diretti ad Auschwitz, già si profila «il mostro apocalittico del rischio atomico». L’uomo non smette di violare, massacrare, torturare il suo simile. Torturare – recita uno degli aforismi più disperati – è il tentativo di provocare un exitus interruptus, un assassinio sospeso e replicato potenzialmente all’infinito. La scrittura di Anders prende alla gola e blocca il respiro.
All’uomo senza mondo, di cui parlava Arendt, subentra adesso la possibilità di un mondo senza l’uomo. Il genere umano, sopraffatto dalla sua creatura tecnica, appare un resto, una eccedenza risibile, in un panorama spettrale che minaccia di espellerlo dal proprio territorio devastato. Rispetto a tale evenienza, che non ha perso nulla della sua attualità, Anders assume consapevolmente i panni del “creatore di panico”, ma senza per questo chiudere ogni porta al futuro. Anzi, proprio nell’ora del pericolo, si apre un estremo spazio per la scelta etica. Non fondata su nessuna certezza e dunque più libera. Nell’indifferenza generale che ci chiude gli occhi di fronte all’impronunciabile, l’impegno etico sta nel tenere viva l’attenzione, nel tenere fermo lo sguardo sul “mostro”. Rispetto a quanto è accaduto, e a quanto può ancora accedere, l’esagerazione non è fuga dalla realtà, ma al contrario estrema risorsa politica davanti a quanto incombe su di noi.
- Roberto Esposito - Pubblicato su Robinson del 12/11/2022 -
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