GIAPPONE IN CRISI: aumentare l'acolismo!
- Dopo decenni di stagnazione, la banca centrale della nazione industriale più sovraindebitata al mondo, sta disperatamente resistendo a una svolta nella politica monetaria, e ciò nonostante l'aumento dell'inflazione (*terza parte di una serie di articoli sull'attuale scoppio di crisi) -
di Tomasz Konicz [***]
Come in un keynesiano "giorno della marmotta", il pacchetto di stimoli economici che il governo giapponese del primo ministro Fumio Kishida ha approvato lo scorso ottobre, per alleviare le conseguenze sociali del malessere economico e dell'aumento dell'inflazione, è arrivato all'equivalente di 200 miliardi di dollari. Il pacchetto di misure comprende principalmente sussidi energetici volti a ridurre di circa 1,2 punti percentuali il tasso di inflazione, che di recente ha raggiunto il 3,6% (abbastanza moderato rispetto gli standard dell'Europa occidentale) [*1] A Tokyo, nel corso di una conferenza stampa [*2], il capo del governo ha dichiarato che si aspetta che il pacchetto di stimoli economici porterà il prodotto interno lordo del Giappone ad aumentare del 4,6%.
Da questo punto di vista, sembra che sia cambiato ben poco in una nazione industriale orientata all'esportazione, che per decenni, similmente alla Germania, ha avuto un'eccedenza di esportazioni [*3]. Negli anni '80, il Giappone veniva addirittura considerato in Occidente, così come avviene oggi con l'odierna Cina, una nazione economica in ascesa che sarebbe diventata la grande potenza dominante grazie alla sua industria di esportazione e agli investimenti esteri. Ma al boom industriale delle esportazioni degli anni '70 e '80 ha fatto seguito, alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90, una fase di crescita trainata dai mercati finanziari, durante la quale il Giappone ha sviluppato nei mercati immobiliari e azionari delle gigantesche bolle speculative [*4].
Dopo lo scoppio di queste bolle, in Giappone si è verificata una prolungata stagnazione economica con tendenze deflazionistiche [*5]. L'economia non è cresciuta quasi per niente, mentre i prezzi tendevano a diminuire, soffocando la domanda interna a causa del contenimento dei consumi, come accade spesso nelle deflazioni. Allo stesso tempo, il livello dei salari reali in Giappone, per mantenere basso il costo unitario del lavoro nel paese esportatore, ha ristagnato. Si trattava quindi di una tipica spirale deflazionistica, nella quale interagiscono malessere economico, calo dei prezzi e diminuzione della domanda, tutte cose che la politica economica giapponese combatteva da decenni [*6]. E Tokyo lo aveva già fatto attraverso numerosi programmi di stimolo keynesiano volti a rilanciare l'economia. A partire dagli anni '90, i diversi governi giapponesi hanno tutti ripetutamente cercato di rilanciare l'economia per mezzo di massicci programmi di investimento, per quanto le fiammate economiche di breve durata non sono riuscite a porre fine alla tendenza a lungo termine verso la stagnazione e la deflazione [*7]. Lo stato insulare è stato costantemente oggetto di vari progetti infrastrutturali, con autostrade, ponti e altri interventi su larga scala, fatti al fine di rilanciare il periodo di boom dell'economia giapponese [*8]. Di conseguenza, l'efficacia di questi programmi di stimolo ha continuato a scemare, mentre la nazione industriale sprofondava sempre più nel malessere dei "decenni perduti" [*9]: la crescita economica media annua tra il 1991 e il 2010, ha superato a malapena l'uno per cento, mentre i salari, in media, sono scesi del cinque per cento. Questa situazione di sofferenza giapponese, fatta di stagnazione e di deflazione, ha interagito con le tendenze della crisi globale del 2008. La crisi finanziaria ed economica globale del 2008 e del 2009, innescata dallo scoppio delle bolle immobiliari negli Stati Uniti e in Europa, ha provocato in Giappone, in quanto paese esportatore, un'enorme contrazione economica [*10], che ha dovuto essere ammortizzata attraverso un corrispondente programma di stimolo economico del valore di 154 miliardi di dollari [*11].
Avrebbe potuto essere ancora più vasto e consistente? Dopo i giganteschi progetti piramidali keynesiani dell'ultimo decennio del XX secolo, e dopo il keynesismo in crisi del primo decennio del XXI secolo, è stato il governo del primo ministro Shinzo Abe quello che, a partire dal 2013, ha cercato di riportare l'economia giapponese, in fase di deflazione, all'interno di una solida traiettoria di crescita, grazie a un mix di programmi di stimolo e di "riforme strutturali" neoliberali, quale l'aumento dell'imposta sul valore aggiunto. All'epoca, Tokyo investì circa 224 miliardi di dollari per tentare di far uscire il Paese dalla stagnazione, ottenendo un successo effimero e modesto. Nel contempo, la banca centrale giapponese, sotto la guida di Abe, aveva cominciato a espandere in modo massiccio i suoi programmi di acquisto di obbligazioni [*12].
Ma tutte queste misure di stimolo e incentivo, che pretendevano di riuscire a superare l'attuale emorragia della società del lavoro giapponese, ora impallidiscono rispetto al programma lanciato a Tokyo nel 2021 in risposta alla pandemia: circa 490 miliardi di dollari da spendere in misure volte ad ammortizzare l'impatto che ha avuto il "lockdown", dovuto all'interruzione delle catene di approvvigionamento globali sull'economia giapponese, fortemente interconnessa a livello internazionale [*13]. Solo un anno dopo, il primo ministro Fumio Kishida ha lanciato il qui precedentemente citato pacchetto di stimoli da 200 miliardi di dollari, che dimostra e sottolinea lo scarso effetto economico prodotto da dei pacchetti di stimoli di dimensioni crescenti in un'economia tardo-capitalista in crisi. In Giappone, per mantenere in funzione la macchina strozzata della valorizzazione del capitale, è necessario "bruciare" delle somme di denaro sempre più ingenti e a intervalli sempre più brevi.
Ciò che sta emergendo consiste in tutta una serie di fattori che indicano come questa pratica decennale di sostegno all'economia, attraverso pacchetti di stimolo sempre più grandi, difficilmente potrà continuare a essere mantenuta. Quello che comincia a delinearsi, nello scenario giapponese, sembra essere un possibile passaggio a una nuova qualità della crisi. Sembra che in Giappone - come suggerito in particolare dall'aumento dell'inflazione [*14] e dall'indebolimento della valuta giapponese [*15] - si sia infine arrivati al capolinea del keynesismo.
L'inversione di marcia nei tassi di interesse della politica monetaria avviata negli Stati Uniti e nell'Unione Europea circa un anno fa, sta esercitando una pressione crescente sulla forte dipendenza del Giappone dalle importazioni di materie prime, dal momento che il Giappone è l'unica grande economia al centro del sistema mondiale che rifiuta questa svolta nei tassi di interesse, e si aggrappa a una politica monetaria espansiva e allentata.
La scommessa assai rischiosa del Giappone
A causa del rialzo dei tassi d'interesse nell'area del dollaro e nella zona euro, i capitali abbandonano lo yen, provocando così una svalutazione della divisa giapponese, soprattutto nei confronti di quella che la valuta di riferimento mondiale, il dollaro. Ma così facendo, allo stesso tempo, però, il Giappone sta simultaneamente importando inflazione. Le importazioni di materie prime e di fonti energetiche - che vengono pagate in dollari - diventano di conseguenza sempre più costose, e assestano al paese una spinta all'inflazione che nel Giappone "deflazionista" era sconosciuta da decenni. Lo spettacolo della svalutazione della valuta giapponese è allo stesso tempo vertiginoso e drammatico: all'inizio del 2020, il dollaro costava poco più di 100 yen, mentre nell'ottobre del 2022 si avvicinava già a 150 yen. Subito dopo, grazie a un massiccio intervento della banca centrale giapponese, in cui è stata spesa la somma record di 42,8 miliardi di dollari [*16], lo yen si è stabilizzato a circa 135 dollari. In totale, dopo la svolta dei tassi di interesse negli Stati Uniti e nell'Unione europea, la banca centrale giapponese per sostenere lo yen avrebbe utilizzato 62 miliardi di dollari [*17]. Tuttavia, in ogni caso le riserve valutarie di Tokyo, pari a circa 1.200 miliardi di dollari, sono ancora sufficienti per continuare a sostenere lo yen anche nel medio termine [*18].
Questa svalutazione della moneta si riflette anche sulla bilancia commerciale del Giappone, dal momento che l'ex economia esportatrice - la quale aveva registrato eccedenze nelle sue esportazioni per più di tre decenni a partire dagli anni '80 - sta ora registrando nuovi deficit record. Tra il 1981 e il 2010, l'economia di esportazione del Giappone poteva tranquillamente generare per il paese un surplus commerciale di uno o due punti percentuali; condizione che è venuta meno solo dopo lo scoppio della crisi del 2008/2009 [*19]. Nel 2012, il Giappone, a seguito di un calo delle esportazioni dovuto alla crisi e al disastro nucleare di Fukushima, che ha aumentato il fabbisogno di energia fossile dell'economia giapponese, e che è stato soddisfatto con le importazioni, aveva registrato un deficit record equivalente a 78 miliardi di dollari [*20]. Dopo una breve stabilizzazione della bilancia commerciale, avvenuta a partire dal 2015 e che ha raggiunto più o meno il pareggio nel 2021, ora sembra essere di nuovo su una traiettoria fortemente discendente: è stato stabilito un nuovo record negativo nel novembre 2022, allorché il deficit si è ampliato arrivando a circa 13 miliardi di dollari; il doppio della cifra registrata nello stesso mese dell'anno precedente.
L'aumento dei tassi d'interesse - soprattutto da parte della Fed, seguita dalla BCE - costringe pertanto quasi tutti i Paesi del centro capitalistico ad aderire a questa svolta dei tassi d'interesse, al fine di riuscire a ridurre al minimo le svalutazioni monetarie e la conseguente importazione di inflazione. La banca centrale giapponese legittima la sua adesione alla politica dei tassi d'interesse zero a partire dal misero sviluppo economico del Giappone [*21], visto che nel terzo trimestre del 2022 la produzione economica è diminuita dello 0,8% [*22]. Questa miseria economica è stata alimentata principalmente dalla produzione industriale, la quale a metà dell'anno è scesa in modo particolarmente marcato [*23]. A metà del 2022, Tokyo si aspettava ancora che l'economia giapponese raggiungesse nell'anno fiscale in corso una crescita del 2%, tenendo conto dei giganteschi programmi di stimolo [*24]. Per il prossimo anno fiscale, che inizierà ad aprile, si prevede una crescita del PIL dell'1,5%, mentre la previsione di crescita per l'attuale anno fiscale 2022 è stata ridotta all'1,7% [*25].
Tutto questo rende ancora più evidente l'esaurimento strutturale, in Giappone, della succitata politica di stimolo keynesiano: circa un anno dopo l'adozione di un pacchetto di stimolo da 490 miliardi di dollari, il Giappone rischia nuovamente di scivolare in recessione, il che avrebbe reso necessaria la nuova iniezione di stimolo di 200 miliardi di dollari menzionata all'inizio. Allo stesso tempo, è ovvio che gli effetti positivi delle svalutazioni monetarie, che nell'era della globalizzazione neoliberista erano in grado di creare enormi vantaggi per le economie orientate all'esportazione, come la Germania, sono stati da tempo eclissati dagli effetti negativi dell'aumento dei prezzi delle materie prime e dell'energia. Le gare di svalutazione dell'era neoliberista, in cui gli Stati nazionali cercavano di ottenere vantaggi nelle esportazioni attraverso le svalutazioni monetarie, nella nuova fase di crisi si sono trasformate in gare di rivalutazione [*26] , per mezzo delle quali si intende scaricare l'inflazione sui concorrenti [*27].
A resistere oggi alla tendenza globale, contrastando la svolta dei tassi di interesse, è rimasta solo la banca centrale giapponese. In un articolo di fondo, il Financial Times (FT) ha descritto il gioco ad alto rischio della politica di crisi giapponese e il modo in cui cerca di far superare al Paese stagnante l'attuale fase di crisi [*28]. Si tratta di una sorta di speculazione economica, un gioco ad alto rischio in cui le élite funzionali del Giappone speculano su un andamento molto specifico della crisi cercando di evitare grandi sconvolgimenti socio-economici. Gli acquisti di titoli di Stato da parte della Banca del Giappone - che nel frattempo ha accumulato debito pubblico per un valore nominale equivalente a 3,6 trilioni di dollari -, i programmi di stimolo economico di Tokyo, le misure di sostegno allo yen da parte della banca centrale che stanno causando la riduzione delle riserve valutarie del Giappone: in realtà, secondo il FT, tutte queste misure di crisi equivalgono a una «lotta contro le forze del mercato globale». La Banca del Giappone avrebbe puntato tutto su una strategia nella quale una «scala reale di sviluppi interni e internazionali» dovrebbe consentire al Giappone di mantenere la sua politica monetaria stimolante ed espansiva, evitando così la fase di una politica di alti tassi di interesse. In questo contesto - tra le altre cose che vengono citate dal Financial Times - ci sarebbe un aumento dei livelli salariali in Giappone, una stabilizzazione dello yen vacillante, una recessione «soave» e a breve termine negli Stati Uniti, oltre all'imminente fine della stretta monetaria statunitense, che attualmente si aggiunge alle pressioni per una rivalutazione monetaria a livello globale. In altre parole, Tokyo starebbe speculando su una prossima fine dell'attuale crisi.
Le montagne di debito del Giappone
Se questa speculazione non dovesse funzionare, un ordinato cambio di rotta verso una politica monetaria restrittiva, da realizzare senza gravi shock economici, sembra essere difficilmente realizzabile. La determinazione con cui la Banca del Giappone si è impegnata in questa sua strategia di politica monetaria espansiva, è stata resa evidente dai commenti degli analisti del Financial Times, secondo i quali, per i titoli di Stato giapponesi non c'è quasi alcun mercato normale. Secondo loro, la banca centrale giapponese è in procinto di «appropriarsi totalmente» del mercato, che «è già danneggiato» e che a causa del suo sforzo di mantenere bassi i tassi di interesse sui titoli di Stato giapponesi, «cesserà di esistere». In parole povere, la Banca del Giappone sta acquistando enormi quantità di debito pubblico giapponese, in modo da riuscire così a mantenere l'onere degli interessi sul bilancio dello Stato giapponese. Nel frattempo, lo Stato giapponese, attraverso la sua banca centrale, detiene già circa il 45% del debito pubblico del Giappone [*29]. C'è anche un altro fattore, che impedisce ai responsabili della politica monetaria giapponese di adottare una politica di alti tassi di interesse: le torri del debito giapponese, le quali hanno raggiunto dimensioni assurde.
E il mantenimento di queste montagne di debito deve essere il più "economico" possibile, se non si vuole che il tradizionale deficit di bilancio di Tokyo deragli completamente [*30]. L'interminabile successione di programmi di stimolo economico che dagli anni '90 i politici giapponesi hanno avviato per rilanciare l'economia, ha fatto sì che il debito pubblico del Giappone continuasse a crescere. Nel frattempo, il debito nazionale del Giappone ammonta a più del 230% del prodotto economico di questa nazione economica, che è stata al centro del sistema mondiale per decenni [*31]. In confronto, l'Italia - il potenziale candidato alla crisi da sovra-indebitamento dell'Eurozona - ha un carico di debito nazionale di circa il 150% del PIL. Persino la Grecia, salvata dalla rovina dall'ex ministro delle Finanze tedesco Schäuble durante la crisi dell'euro, nel 2021, aveva un rapporto debito/PIL inferiore, pari al 199%.
In Giappone, l'idea keynesiana di "uscire" dalla crisi sistemica del capitalismo [*32] grazie a dei programmi di stimolo, storicamente ha fatto una figura assai penosa, se si considera che l'onere del debito accumulato attraverso la «spesa in deficit» è cresciuto più velocemente di quanto abbia fatto il PIL. Nel 1995, all'inizio del grande periodo di stagnazione, il debito pubblico in Giappone rappresentava solo il 55% della produzione economica. Nel 2013, all'inizio del periodo della "Abenomics" - quando il Primo Ministro Shinzo Abe ha sposato la politica monetaria espansiva a dei programmi di stimolo economico alle riforme e aumentare così la competitività del Giappone - il debito pubblico giapponese era già pari al 196% del PIL; quattro anni dopo, quando si sperava che il Giappone potesse almeno stabilizzare il suo livello di indebitamento, ha raggiunto il 213% [*33]. In realtà, negli anni successivi l'onere del debito si è leggermente ridotto: nel 2018 era pari al 191% del PIL. Poi c'è stata la pandemia, che ha nuovamente causato un massiccio aumento del debito pubblico. Questo solleva la questione di come sia stato possibile accumulare una simile gigantesca montagna di debito pubblico, senza precedenti nell'intero sistema tardo-capitalistico mondiale. In primo luogo, il debito giapponese è essenzialmente giapponese: la quota di investitori stranieri è tradizionalmente molto bassa, attualmente pari ad appena il 15% [*34]. Ciò stabilizza quella che è la torre del debito giapponese, dal momento che, in tempi di crisi, non vi è la minaccia di massicci deflussi di capitale dal mercato obbligazionario estero. Inoltre, il Giappone - come detto - ha avuto per decenni un'eccedenza commerciale, che ha permesso di finanziare questo deficit nel bilancio nazionale. Ma, come spiegato, questo è esattamente ciò che non può più avvenire, visto che dopo la fase di crisi del 2008/09 il Giappone non è mai stato più in grado di conseguire un periodo prolungato di avanzi commerciali elevati; e quest'anno c'è persino la minaccia di un deficit commerciale particolarmente elevato [*35]. È da tempo che negli ambienti governativi giapponesi, si studiano le turbolenze del mercato obbligazionario britannico, al fine di evitare un'escalation simile, come riporta il FT. In effetti, al centro del sistema capitalistico mondiale, il Giappone e il Regno Unito [*36] sembrano distinguersi come i due Paesi più vulnerabili a un'ulteriore escalation della crisi, che potrebbe innescare una crisi finanziaria nel settore finanziario mondiale, simile alle onde d'urto che hanno fatto seguito al fallimento di Lehman Brothers. Se anche la banca centrale giapponese dovesse intervenire sul mercato obbligazionario intensificando gli acquisti di obbligazioni, come ha fatto la Banca d'Inghilterra lo scorso ottobre [*37], ecco che allora «la portata dell'intervento sarebbe molto, molto più grande; e con un rischio assai maggiore di contagio globale», ha avvertito il FT [*38].
Il vicolo cieco della crisi del keynesismo in concreto: orsù bevete!
In un sistema mondiale tardo-capitalista, che a causa della concorrenza cieca sta soffocando nella sua produttività sempre più elevata - produttività che non può più essere compressa e pressata dentro la forma merce - sta avvenendo che la mancanza di nuove aree di valorizzazione non può essere eternamente sostituita dal debito [*39]. A un dato momento, queste torri del debito collasseranno. E questa cosa, ora sembra abbastanza possibile anche nei paesi centrali del sistema mondiale: Giappone o Gran Bretagna. Di conseguenza, il vicolo cieco della politica di crisi del tardo capitalismo, che in entrambe le sue varianti - neoliberale e keynesiana - si trova intrappolata nella trappola della crisi di quella che è ormai una vera e propria costrizione al debito [*40], si palesa in modo apertamente esemplare in quelli che sono i due classici Paesi modello delle rispettive ideologie economiche: tanto nella Gran Bretagna, patria del neoliberismo, quanto nel Giappone, con i suoi innumerevoli programmi di stimolo economico e i progetti piramidali keynesiani. Gli eterni sforzi per riuscire ad attuare una politica di crisi «guidata dalla domanda», nel Paese del Sol Levante ora assumono caratteristiche tragicomiche, soprattutto dopo il tramonto.
«Sake Viva», è il nome di un programma pubblicitario promosso dal governo giapponese per incoraggiare il consumo di alcolici - il sake. Qual è il problema? Nel 2011, la tassa sugli alcolici rappresentava ancora il 3% del gettito fiscale totale del Giappone, ma nel 2020 essa è scesa al 2%. Se si tiene conto dell'elevato deficit di bilancio annuale di Tokyo, ci si accorge che allora si tratta di un vero e proprio duro colpo per le casse dello Stato. Facendo un esempio, il consumo medio annuo di alcol è sceso da 100 litri nel 1995 a soli 75 litri nel 2020, laddove l'invecchiamento della società giapponese ha causato un calo delle vendite di bevande alcoliche. Per cui si scopre che i giovani non sono più così inclini alle bevande alcoliche come lo era la vecchia generazione. I giovani giapponesi bevono meno, e «sempre più spesso non bevono affatto», ci ha informato il Financial Times [*41]. Pertanto, nel nome della preoccupazione per l'economia e per il bilancio nazionale, la campagna del governo sull'alcol - Sake Viva - ha soprattutto lo scopo di rendere popolare il consumo di questa sostanza, soprattutto tra la generazione di giovani che ora hanno tra i 20 e i 39 anni.
- Tomasz Konicz - Pubblicato il 30/12/2022 su Tomasz Konicz. Nachrichten und Analysen: Wertkritik, Krise, Antifa
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NOTE:
2 https://www.ft.com/content/eed2bb55-e769-4a0f-b2f1-0141698ae3f3
3 https://www.macrotrends.net/countries/JPN/japan/trade-balance-deficit
4 https://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_asset_price_bubble
5 https://www.macrotrends.net/countries/JPN/japan/gdp-growth-rate
6 https://de.wikipedia.org/wiki/Deflationsspirale
8 https://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_economic_miracle
9 https://en.wikipedia.org/wiki/Lost_Decades
10 https://www.jcer.or.jp/english/why-was-japan-struck-so-hard-by-the-2008-crisis
11 https://www.nytimes.com/2009/04/09/business/global/09yen.html
13 https://www.nytimes.com/2021/11/19/world/asia/japan-stimulus.html
17 https://www.ft.com/content/f9aca1c2-50c6-4040-8322-6ddfacda6cd6
18 https://www.ft.com/content/d1f06836-4c0b-45c7-bee4-be29c882b95a
19 https://www.macrotrends.net/countries/JPN/japan/trade-balance-deficit
24 https://www.japantimes.co.jp/news/2022/07/26/business/economic-growth-slowing-overseas-demand/
26 https://www.konicz.info/2022/05/24/eine-neue-krisenqualitaet/
27 https://www.konicz.info/2022/07/22/schuldenberge-in-bewegung/
28 https://www.ft.com/content/f9aca1c2-50c6-4040-8322-6ddfacda6cd6
29 https://www.ft.com/content/f9aca1c2-50c6-4040-8322-6ddfacda6cd6
30 https://tradingeconomics.com/japan/government-budget
31 https://www.ceicdata.com/en/indicator/japan/government-debt–of-nominal-gdp
32 https://www.exploring-economics.org/en/study/books/kapitalkollaps/
34 https://www.ft.com/content/f9aca1c2-50c6-4040-8322-6ddfacda6cd6
36 https://www.konicz.info/2022/12/16/grossbritannien-the-first-to-fall/
37 https://www.konicz.info/2022/12/16/grossbritannien-the-first-to-fall/
38 https://www.ft.com/content/f9aca1c2-50c6-4040-8322-6ddfacda6cd6
39 https://oxiblog.de/die-mythen-der-krise/
40 https://www.konicz.info/2011/08/15/politik-in-der-krisenfalle/
41 https://www.ft.com/content/d660b8f9-7ef9-4b94-9cb4-fa20f7a9f725#comments-anchor
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