mercoledì 11 gennaio 2023

La guerra civile molecolare e l’undicesima tesi su Feuerbach…

«Ricostruzione o barbarie?»
- di Thiago Canettieri  -

«Pensare che dopo questa guerra, la civiltà possa essere "ricostruita" - come se la ricostruzione della civiltà non fosse di per sé la negazione di tale guerra - è un'idiozia». (Theodor Adorno)

Domenica 8 gennaio. Esattamente una settimana dopo la "festa del futuro", che si riprometteva la riunificazione nazionale e la ricostruzione della democrazia, ecco che esattamente nello stesso luogo, osserviamo gli effetti violenti del bolsonarismo. Con una massiccia azione politica, gruppi di bolsonaristi hanno invaso le sedi dei tre poteri a Brasilia. Facendo affidamento sul "corpo molle" delle forze di polizia, l'orda giallo-verde, marciando, ha penetrato e ha depredato il Congresso Nazionale, la Corte Suprema e il Palazzo del Planalto. Si è trattato di una prova di forza. Se il governo democraticamente eletto aveva contato sulla pacificazione nazionale, con la prospettiva di una riedizione del patto lulista, questi ultimi accadimenti hanno infranto un simile sogno, come se fosse un castello di carte in una tempesta. Prontamente, il "neo-governismo di sinistra" ha subito assunto una posizione austera. Come mostrano i recenti meme, il governo appare implacabile contro i "terroristi". Le persone coinvolte negli atti di domenica scorsa devono essere punite in modo esemplare. La legge, dicono, deve essere rigorosamente rispettata. Nell'ampio spettro di sentimenti ed emozioni che sono stati mobilitati - dal legalismo al revanscismo - al centro troviamo l'aspettativa della ricostruzione. Quello che è avvenuto - a sintetizzarlo, è la foto dove si vede il manifestante terrorista con la Costituzione federale in mano e, alle sue spalle, la statua della Giustizia graffitata con la scritta "hai perso, Mané" - è la conferma del fatto che le istituzioni non funzionano più, o quanto meno non vengono più prese sul serio e, pertanto, sono diventate prive di efficacia. Di conseguenza, la postura assunta dal "nuovo lulismo", non è più quella del "Lula peace and love", quanto piuttosto del "vigila e punisci", ma vigilare non sarà sufficiente per "ricostruire" un Paese.

Comprendere e agire in questo scenario - a mio avviso - significa spingere fino alle sue estreme conseguenze il collasso istituzionale della Nuova Repubblica, la quale appariva già disidratata fin dal 2015. E sebbene il suo certificato di morte sia stato redatto in più momenti (il voto sull'impeachment di Rousseff; l'approvazione della riforma del lavoro; l'incarcerazione di Lula; l'elezione di Bolsonaro), la Nuova Repubblica rimane comunque l'entità che continua a guidare la prassi di gran parte della politica brasiliana contemporanea. E chi sembra prendere sul serio questo sgretolamento della politica della Nuova Repubblica, è proprio il bolsonarismo. Per quanto vengano trattati come se fossero "pirati", a essere crollato sembra essere proprio sia stata il repubblicanesimo democratico. Ci si riempie la bocca per parlare dello Stato di diritto democratico, ma il suo corpo è oramai già putrefatto. Proprio per questo motivo, per quanto appaia circondato da una certa aura mistica, parlare di ricostruzione democratica suona invece così tanto  estemporaneo. Il bolsonarismo è più coerente con lo "spirito della nostra epoca nazionale": prende sul serio l'erosione dei vecchi vincoli sociali (Stato-Repubblica-Lavoro). Lo si deve al bolsonarismo se la politica come conflitto è tornata all'ordine del giorno. Giornalmente, si premurano di proclamare che "sono in guerra". Questo sentimento profondo alla base dell'invasione della Piazza dei tre poteri e dei continui atti distruttivi, può emergere solo nel momento in cui l'individuo capisce di essere in guerra. Certo, ci sono anche i finanziamenti, e l'indulgenza delle forze repressive, ma questo non può offuscare la percezione più fondamentale secondo cui c'è molta volontarietà. La rivolta è nelle mani dell'estrema destra. Una simile postura insurrezionale è assai diversa da quella che poi è diventata la politica della risorta nuova Repubblica, e che vediamo confusa insieme alla gestione della sicurezza e dell'amministrazione del collasso. In un tale contesto, sembra quasi puerile aver fede nella ricostruzione. Non esiste alcuna ricostruzione possibile, anche perché, a rigore, non c'è nulla che valga la pena di essere ricostruito: ricostruire non significa forse ripristinare le condizioni di questa catastrofe e, pertanto, riprodurre necessariamente proprio l'autodistruzione?

Bisogna fermare l'escalation del nuovo radicalismo di destra in Brasile. Ma tuttavia, il modo in cui ciò è stato fatto ignora quale sia la questione sociale e politica di fondo. Fare ricorso al trattamento penale sarà inefficace, dal momento che definire ciò che è un crimine o meno avviene sempre a partire dalla legittimità istituzionale, la quale però è stata intaccata ed erosa. Al contrario, gli effetti sociali autodistruttivi potrebbero continuare a inasprirsi. Non si tratta di amnistiare i golpisti, quanto piuttosto di comprendere che cosa sta succedendo nel Brasile di oggi. Se si segue la strada della ricostruzione impossibile, finiremo per esserne tutti divorati. In ogni caso, l'egemonia della sinistra istituzionale - quella stessa sinistra che appare interessata a perseguire la ricostruzione - impedisce di comprendere la portata dei fenomeni più recenti. Da un lato, vengono minimizzate le azioni dell'estrema destra, sia patologizzandole ("sono deliranti, squilibrati, pazzi, ecc.") sia considerandole innocue, di modo che così appaiono ridimensionate. È da un simile postulato che proviene la posizione di credere nell'indebolimento spontaneo della folla. Dall'altro lato, per contro, c'è l'incessante atteggiamento di cercare di comprendere le conquiste dell'estrema destra come esse se fossero il prodotto diretto di determinati interessi e obiettivi di alcune frazioni della classe borghese. Oltre a ignorare la dimensione libidica e inconscia del fenomeno, questo sembra attribuirgli una certa razionalità proprio laddove invece ormai non esiste più. In entrambi i casi, quel che si perde di vista è il punto essenziale: nello scenario della guerra civile molecolare non importa se i soggetti sono patologici, con piccoli contingenti, o chi li finanzia. Potenzialmente, la violenza raggiunge tutti. È la forma stessa di organizzazione del bolsonarismo, a essere coerente con la molecolarizzazione della guerra, frutto di una dinamica di "desocializzazione catastrofica": un autoritarismo decentralizzato.

Quello che rimane, ai repubblicani democratici schierati su un fronte assai ampio, è solo un ossimoro: come si può credere nelle istituzioni, quando sono proprio esse quelle che devono essere ricostruite? E a questo non esiste risposta; e anno dopo anno, per quanto si insista sulla diagnosi della dissoluzione e della delegittimazione delle istituzioni, quel che rimane è questa la risposta unidimensionale. A questa catastrofe, dal punto di vista sociale, non c'è soluzione se non quella che non passa attraverso il superamento della forma sociale del valore, la quale, sebbene defunta, continua a perpetuarsi come criterio superiore di socializzazione. In tale contesto, la massa di persone maltrattate, spogliate e depredate continuerà ad aumentare. Questa dinamica continuerà a erodere le basi delle istituzioni, sviluppate dalla e per la modernità, dando così luogo a una dinamica di circolazione della violenza. In altre parole, è assai probabile che, indipendentemente dal governo eletto e dalle sue misure di ricostruzione, il processo sociale che chiamiamo bolsonarismo continui a inasprirsi. Gli effetti della crisi continueranno ad accumularsi, all'orizzonte, in un cumulo di macerie. La dinamica cieca del capitale continuerà il suo corso autodistruttivo, la dissoluzione del lavoro non potrà essere semplicemente invertita per mezzo di atti di benevolenza compiuti da parte di chiunque indossi la fascia presidenziale nell'attuale turno.

La crisi economica e la crisi politica non sono la causa, ma il risultato di quell'erosione delle forme sociali storicamente determinate che logora l'intero tessuto sociale. Stando così le cose, credo sia fondamentale tener conto di quegli elementi più generali che possono contribuire a spiegare l'attuale capitolo della catastrofe brasiliana, vale a dire, il quadro di dissoluzione del capitale in atto a causa delle proprie incoerenze e contraddizioni interne, che impongono limiti assoluti al suo auto-movimento, de-sostanzializzando così le forme sociali. Per smobilitare il bolsonarismo, la sconfitta elettorale di Bolsonaro non è sufficiente. Il primo è molto più ampio e ha radici assai più profonde del primo. Perciò ci verremo a trovare di fronte a un "bolsonarismo senza Bolsonaro". La fuga mal riuscita e disordinata dell'ex presidente non servirà a disperdere l'energia autodistruttiva che circola nel Paese. Dal risultato elettorale all'insediamento, il nuovo radicalismo di destra del Brasile si è rafforzato. La possibilità che la violenza esploda, coincide con l'atto di (ri)accendere la fiamma della speranza nella vecchia democrazia. Lo scenario che avremo di fronte per i prossimi quattro anni sarà quello dell'esplosione di questa "forma di terrorismo" che sintetizza il modo in cui si manifesta la guerra civile molecolare. La mobilitazione permanente dell'estrema destra tende a radicalizzarsi; e il risultato elettorale andrebbe letto solo come una soluzione di continuità in questa storia. Nel frattempo, la ragione dominante continuerà ad attendere la ricostruzione. Questa "attesa catastrofica" produce effetti deleteri: determina un'incapacità e uno stato di impotenza cognitiva, che limita l'interpretazione del mondo, e un'impotenza politica, che impedisce la trasformazione del mondo. Per dirla in breve, la famosa "undicesima tesi" ha fatto acqua da tutte le parti.

- Thiago Canettieri -  - Pubblicato il 10/1/2023

fonte: Blog da Consequência

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