Non c'è niente che sia NOSTRO: critica del feticismo del valore d'uso.
Il carattere distruttivo e la follia della produzione capitalistica, appaiono già del tutto evidenti perfino nel cosiddetto Valore d'uso, e nella sua produzione. Questo perché, comunque sia, il contenuto materiale di ogni e qualsiasi merce corrisponde sempre agli imperativi della valorizzazione; e non viceversa. Una critica teorica che dovesse limitarsi alla mera redistribuzione dei valori d'uso (ovvero dei beni/asset) e all'acquisizione dell'apparato produttivo esistente (e dell'apparato statale), non coglierebbe affatto quello che è il nocciolo della questione. E pertanto, la prassi risultante ne uscirebbe tronca, o assurda. Alla fine, difendere un'ontologia del lavoro ha come conseguenza, in ultima analisi, quella di non tenere assolutamente conto della negatività e della vera e propria potenza distruttiva insita nel lavoro astratto, permettendo così che le conseguenze distruttive del modo di produzione capitalistico, possano rimanere insufficientemente esposte (o arrivare addirittura a nasconderle).
«Sotto il dettame di questa produzione e realizzazione di ricchezza astratta, si rinuncia ogni giorno, per mancanza di redditività e di solvibilità, a delle produzioni rispondenti anche a dei bisogni elementari, dal momento che la produzione di beni distruttivi, prodotti per necessità distruttive (e non si parla solo di quelli dell'industria degli armamenti), viene ulteriormente intensificata. Ma non è solo in tal senso che l'astrazione dai bisogni materiali interviene massicciamente nel processo di produzione; e questo dal momento che anche i contenuti della produzione in sé apparentemente non distruttivi, seguendo lo spirito del lavoro astratto, vengono anch'essi modellati al prezzo della loro distruzione. Se dei pomodori vengono coltivati, per poi venire imballati in maniera conforme a quelle che sono le norme in vigore per la distribuzione, se delle mele vengono trattate con la radioattività per assicurare loro una durata più lunga, o se gli alimenti in generale vengono snaturati all'esclusivo fine della valorizzazione, e se per delle ragioni di semplificazione gestionale, tutta la ricchezza accumulata nel corso della storia nei termini di una vasta molteplicità di piante e di animali viene perduta, e si riduce ogni giorno a favore di una "Bio–Povertà", oppure, ancora, se nella costruzione delle case, sotto il dettame della riduzione dei costi imposto dall'economia imprenditoriale, vengono utilizzati materiali nocivi per la salute e se tutto questo si traduce in una disposizione disfunzionale dello spazio che è un insulto all'estetica: e in ogni caso è il contenuto materiale a a doversi adeguare all'imperativo della valorizzazione, e non il contrario; e nella misura in cui il capitalismo si sviluppa storicamente, tutto ciò avviene secondo delle proporzioni sempre più crescenti.».
(Robert Kurz, da "La substance du Capital". L’Echappée, 2019 )
fonte: Palim Psao
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