Percorrendo le pagine di questo sorprendente saggio, scopriamo ciò che i Greci sanno e ricevono dall'India, quello che i Cinesi conoscono di Roma, quanto l'India prende in prestito dall'arte dal pensiero greco, senza trascurare le spedizioni dirette al Nord Europa o verso l'Africa subsahariana; e Indiani dispersi sulle coste danesi, greci trascinati via dai venti a Zanzibar o a Ceylon, mentre un ambasciatore cinese esita ad avventurarsi nel Golfo Persico. A partire da testi, resti archeologici e iscrizioni, Maurice Sartre racconta i primi incontri di tre continenti, svelandoci la nascita di un mondo unico. Fin dove si spinsero i più avventurosi Fenici, Egiziani, Greci e Romani? Si avventurarono già in giro per l’Africa? Cosa sapevano alla fine dell’antichità del resto del mondo abitato? Dove arrivarono gli Indiani e i Cinesi? Queste domande sono essenziali per conoscere la portata e l’intensità dei rapporti tra le grandi civiltà. Fin dall’antichità, Europa, Africa e Asia furono in contatto. Non dobbiamo aspettare Marco Polo o le grandi scoperte del Cinquecento per vedere uomini e donne che si muovono e si scambiano merci e conoscenze a enorme distanza. Dall’Islanda al Vietnam, dalle coste dell’Africa alle steppe della Mongolia, sospinti dal vento monsonico come la barca del ricco capitano di Palmira Honainu in viaggio verso l’India o al ritmo lento delle carovane che attraversavano il bacino del Tarim, marinai, mercanti e ambasciatori viaggiarono e raccontarono di paesi lontani.
«Visitando Palmira, nell’attuale Siria, chi si aspetterebbe mai di trovare in mezzo al deserto, a piú di 200 chilometri dal Mediterraneo e a oltre 1000 dal Golfo Persico, la menzione di un armatore e l’immagine di una nave? In realtà, l’oasi svolgeva un ruolo importante nel commercio fra l’impero romano, la Mesopotamia e l’Oceano Indiano. E i Palmireni, anche se avevano costruito la loro fortuna fornendo le carovane per attraversare il deserto, a volte conducevano loro stessi i mercanti verso il Golfo Persico e l’Oceano Indiano. La nave di Honainu non è un’eccezione; almeno un’altra iscrizione menziona un secondo armatore, Beelaios figlio di Kyros».
(dal risvolto di copertina di: Maurice Sartre, "La nave di Palmira". Einaudi, pp.240, €28)
La dea della fertilità partì da Delhi per essere sepolta sotto la lava del Vesuvio
- di Giorgio Ieranò -
«Il regno di Da Qin si trova a ovest del mare. Ha più di quattrocento città fortificate. Ci sono pini e cipressi, cos' come alberi e piante di ogni tipo. La gente comune è contadina. Tutti si rasano la testa e hanno vesti ricamate». Cos' lo storico cinese Fan Ye raccontava ai suoi lettori, all'inizio del V secolo d.C., com'era fatto il grande impero che si estendeva nel remoto Occidente. Notizie vaghe, in cui realtà e immaginazione si mescolano. Ma che comunque testimoniano l'esistenza di rapporti tra due mondi in apparenza lontanissimi. Da Qin, infatti, è il nome con cui i cinesi designavano l'impero romano. Lo stesso Fan Ye racconta che i rapporti tra Cina e Roma risalivano più indietro nel tempo. Il primo contatto diretto, secondo lo storico, era un imperatore chiamato «Andun»: cioè Marco Aurelio, che allora regnava su Roma e e il cui terzo nome era «Antonino». Maurice Sartre, professore emerito dell'Università di Tours, propone nel suo libro una maniera inedita di guardare al mondo antico. Ci invita a uscire dal recinto del Mediterraneo, il piccolo stagno intorno al quale, diceva Platone, stiamo accalcati come rane. Ci guida oltre il Danubio, l'Eufrate, le isole britanniche e gli altri estremi confini dell'impero romano. Per mostrarci greci e romani in dialogo con popoli e civiltà remote. Una rete di scambi commerciali, di incontri culturali, di esplorazioni avventurose che vanno dal Mar Rosso fino all'Islanda, all'India, a Ceylon e, appunto alla Cina. Sono vicende in massima parte note agli studiosi ma meno familiari per il lettore comune. Non tutti, per esempio, conoscono la meravigliosa civiltà greco-indiana del Gandhara, nato dopo le conquiste di Alessandro Magno a cavallo tra gli odierni Afghanistan e Pakistan. In quella zona, nel 165 a.C., un greco di origini umili, Menandro, si fece signore di un regno dove la cultura ellenistica si mescolava con quella indigena. Con il nome di Milinda, il sovrano è diventato una figura chiave del buddhismo, in quanto protagonista di un fondamentale dialogo filosofico-religioso noto con il nome di Milindapañha (Le domande del re Milinda). Gli indiani imparano anche a raffigurare il Buddha in forma umana imitando le statue di Apollo realizzate dagli scultori greci. E mentre il dio Shiva si confonde con Dioniso, nel 110 a.C., un uomo dal nome chiaramente greco, Eliodoro, originario di Taxila, nel Punjab, consacra una colonna in onore di Visnù nella valle dell'Indo. Peraltro, se vi capitasse oggi di trovarvi a Xucand, città del Tagikistan, sappiate che non siete molto lontani dal sito in cui Alessandro Magno, nel 329 a.C., fondò la più remota tra le città che porta il suo nome, un'Alessandria chiamata appunto «l'estrema» (eschate).
Sartre ci fa viaggiare sulle orme di soldati ed esploratori, o più spesso, di mercanti, che fanno capo a centri commerciali come Palmira, in Siria, terminale delle comunicazioni tra Est e Ovest. Naturalmente queste relazioni tra mondi lontani non sono sempre facili da decifrare: le narrazioni letterarie sono talvolta fantasiose mentre le testimonianze archeologiche sono spesso isolate. A Pompei, per esempio, troverete una statuetta femminile in avorio che proviene dall'India, oggi al Museo archeologico di Napoli. L'immagine è riprodotta nel libro di Sartre. Ma chissà come quella statuetta è arrivata dalla rive dell'Indo fino alle pendici del Vesuvio per finire poi sepolta sotto la lava del vulcano.
Nelle zone di frontiera, comunque, i contatti erano fitti. Come scrive Sartre, «nessuno di questi mondi è isolato, e tutti sconfinano nei territori vicini, creando così zone che tendiamo a chiamare margini, ma che sono più simili a cerniere, aree di contatto, fortemente cosmopolite». È quella sorta di proto-globalizzazione che Seneca racconta in un coro della sua Medea: «Non ci sono più confini, niente è rimasto al posto di prima, tutto il mondo è una strada. L'indiano si disseta nell'Arasse (un fiume dell'Armenia), i persiani bevono l'acqua del Reno».
Un po' per la cautela dello studioso e un po' per esigenza di sintesi, Sartre sorvola su alcune vicende. Per esempio, avremmo voluto ci dicesse di più sul personaggio di Zhang Qian, al quale si attribuisce un ruolo di pioniere nell'aprire quella che poi verrà chiamata «Via della Seta». Alto funzionario di corte, partito dalla Cina nel 138 a.C., viaggiò per oltre tredici anni spingendosi fino alla Mesopotamia allora governata dalla dinastia greco-macedone dei Seleucidi e tornò in patria scampando per miracolo agli assalti dei briganti e alle insidie dei deserti. Zhang Qian, insomma, era una specie di Marco Polo alla rovescia. Soltanto che è vissuto quasi un millennio e mezzo prima del viaggiatore veneziano, in un mondo che era già più interconnesso di quanto immaginiamo.
- Giorgio Ieranò - Pubblicato su TuttoLibri del 15/10/2022 -
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