venerdì 13 gennaio 2023

Guida alla Non-Sopravvivenza !!

Nessun pianeta per nessuno. La lunga agonia del Club di Roma
- di Frank Grohmann -

Adesso, nel momento in cui quelli che si sono autoproclamati eredi del 1972 stanno cercando di far rivivere lo spirito dei «limiti alla crescita» [*1], quando invece in realtà stanno seppellendo un bambino nato morto e vecchio di cinquant’anni proprio ora mentre ne stanno scavando la sotto il dito minaccioso dei figli dei loro figli, adesso che è arrivato il momento di firmare i biglietti di condoglianze.
Viene così nuovamente invocata la vecchia formula [*2] secondo la quale basterebbe tirare le giuste leve  nella giusta direzione per fare sì che, come si diceva allora, «un piccolo cambiamento in un settore porti a grandi cambiamenti in tutti i settori». Oggi, come ieri, si vorrebbe controllare un gioco insostenibile come il Monopoli, a partire dal fatto che (ad esempio) vengono sostituiti i cattivi giocatori, e/o (qualche volta) sostituiamo le pessime regole del gioco, oppure (addirittura) cambiamo radicalmente il gioco economico; facendolo ovviamente nei punti giusti, cioè dove la cosa non faccia male a nessuno. Però, oggi come in passato, non si pensa nemmeno per un attimo di abbandonare il tavolo da gioco, anche se questo significa scavarsi la fossa, e che nessuno avrà più un mondo. O certo, naturalmente, all'epoca era già stato identificato ciò che gli autori del rapporto avevano chiamato «il Santo Graal dell'economia moderna» - vale a dire la crescita - e di essa si diceva che doveva essere domata. Ma cosa succederebbe se il mondo intero  non smettesse di cercare questo Santo Graal, mentre allo stesso tempo continua a sacrificare al suo feticcio? Ecco, è così che l'«economia moderna» ha potuto continuare a correre incontrollata per mezzo secolo, non toccata dallo spirito dei «limiti». Cosa rimane da fare oggi agli eredi di questo spirito, se non riconoscerlo come nato morto e annunciare al mondo che in fondo a essere decisivo, è stabilire cosa deve crescere, cosicché alla fine si possa proclamare: «La crescita è morta, viva la crescita!». Anche se questo significa ancora una volta: niente mondo per nessuno, e scavarsi la propria fossa.
No, noi no, per quel che ci riguarda, non stiamo continuando affatto ad assecondare ancora l'ultimo gemito di quell'epoca passata che credeva ancora nella salvezza: se l'aumento attuale della popolazione mondiale, l'industrializzazione, l'inquinamento, la produzione di cibo e lo sfruttamento delle risorse naturali dovessero continuare invariate - si diceva - i limiti assoluti della crescita sulla Terra verrebbero raggiunti entro i prossimi cento anni! Ma non ci uniremo però nemmeno alla minestra riscaldata delle attuali parole che, fin dalle prime battute, suonano come il canto funebre dello stesso spirito che ora invoca che: «la crescita economica assume un nuovo carattere e tutt'altro fine»!

Ma chi ha detto che saremmo andati alla veglia funebre! Dove c'è da aspettarsi che, come al solito, le orazioni funebri che sono state annunciate, misureranno solo il cammino compiuto in direzione della tomba, dicendo che è stato fatto in termini di «ricchezza ampiamente condivisa e reciprocamente vantaggiosa, vista come prosperità per tutti i cittadini»! Tanto la nostra assenza non verrà notata, dal momento che a piangere ci saranno molte persone. Dopotutto, a essere sepolto non sarà solo quello vecchio, ma anche il nuovo bilancio, che ha cinquant'anni in meno rispetto a quello vecchio, e in quella tomba rimane ancora spazio sufficiente a tutto il Club, cui in ultima analisi erano destinati entrambe le relazioni. Fino ad allora, l'intenzione sarà stata quella di dotare gli esseri umani di un manuale di istruzioni per la sopravvivenza del pianeta. Di tutti questi vani tentativi rimarrà solo la testimonianza di un ipocrita gesto critico: in passato, si pensava che quelle che erano delle mostruose relazioni sociali, potessero essere aggiustate e sistemate sottolineando la finitezza del tavolo da gioco su cui vengono giocate; al giorno d'oggi, ci si propone di separare la crescita buona da quella cattiva, sempre sullo stesso tavolo da gioco, il quale però genera solo distruzione. Pertanto, i necrologi potranno essere meglio caratterizzati per mezzo dall'ambivalenza dei concetti che servono a giustificare e a perpetuare l'indice del segnale di allarme. Per esempio, usando il termine «fallimento del sistema», visto nel senso di un'«iper-finanziarizzazione iniziata negli anni '80, la quale è parassitaria dal momento che preleva dai beni comuni più di quanto poi possa essere rigenerato». Oppure, tutto ciò che ha a che fare con la proposta di un principio di organizzazione economica supposto come assai diverso - vale a dire, orientato verso questi stessi «beni comuni» - il quale dovrebbe aprire la strada a una possibile «economia del benessere».

In uno dei due casi, viene pensato separatamente ciò che sembra invece essere unito solo nel concetto. In questo modo, il sistema può essere salvato proprio solo a partire dall'ipotesi di un fallimento, allo stesso modo in cui una buona crescita si ottiene a partire da una cattiva crescita: sistemiamo ciò che non ha funzionato, in modo che il sistema possa funzionare di nuovo (e anche meglio!).
Nel secondo caso, il concetto ci deve permettere di pensare insieme ciò che invece in realtà può essere solo separato. In tal modo, un'economia la cui logica interna esclude proprio una simile promessa, può comunque essere orientata al benessere, allo stesso modo in cui una buona crescita non deve fare altro che sbarazzarsi della cattiva crescita: manteniamo la promessa del benessere, e l'economia tornerà a prosperare (e lo farà anche meglio)!
Così, in entrambi i casi, le narrazioni raffazzonate e malamente messe insieme, devono consentire che sia mantenuta la propria fede nella favola della «trasformazione di quello che è il senso e lo scopo della nostra economia»:
Prima, «valorizzavano il nostro futuro»! Adesso, «ne attestano il suo totale abbandono»! Insomma, ha funzionato una volta! Proprio per questo può funzionare di nuovo!
Contrariamente a quanto viene sbandierato, questa auto-proclamata «accurata e dettagliata visione delle relazioni economiche, e della natura dell'economia» va quindi letta come se fosse una guida alla non-sopravvivenza.
E come non potremmo esserci accorti che tra le righe si può leggere l'annuncio dell'avvenuto decesso della Critica dell'economia politica? Hanno creduto che fossimo proprio degli sciocchi fino in fondo, non è vero?
Anche l'ultima formula, quella di un'«economia del benessere» trasformista, spuntata dal nulla proprio lungo il percorso del suo corteo funebre, non riesce più ingannarci sul fatto che domani non ci sarà più terra da coltivare per nessuno.

Frank Grohmann, 6 gennaio 2023 - Pubblicato su GRUNDRISSE. Psychanalyse et capitalisme

NOTE:

[*1] - Dennis Meadows e altri, "Halte à la croissance", Paris, Fayard, 1972.

[*2] - Club of Rome (a cura del), "Earth for All. Ein Survivalguide für unseren Planeten", 2022.

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