1882. Londra è una città grande come il mondo, dove è facile perdersi, soprattutto se l’unico posto che finora hai chiamato casa è un paesino nel delta del Mississippi o un circo itinerante del Midwest. Charlie e Marlowe sono approdati nel Vecchio Mondo, sotto cieli carichi di nebbia e fuliggine, fino al 23 di Nickel Street West, per andare incontro a una nuova vita in un luogo dove sentirsi finalmente al sicuro, dove i loro talenti non saranno solo fonte di diffidenza, equivoci, dolore e solitudine. Ma ad attenderli c’è un terribile morvide, un non-morto, assetato di sangue, pronto a tutto per servire il suo oscuro signore. Per fortuna ci sono anche gli angeli custodi: Mrs Harrogate con la veletta sempre abbassata a coprire una voglia purpurea e la forza austera, Mr Coulton che nasconde la gentilezza sotto una dura buccia, e Alice Quicke, investigatrice privata decisa a cambiar vita. E via di nuovo, in viaggio alla volta della Scozia, verso una scuola unica nel suo genere, per sfuggire a una figura di tenebre e fumo che non si arrenderà fino a quando Charlie e Marlowe non saranno suoi. Tra meraviglie e tradimenti, passato e futuro, slanci di vita e rischi incalcolati, un manipolo di amici cercano di far luce dove tutto è tenebra, per scoprire la verità sui loro doni e sulla natura di ciò che li sta perseguitando, per arrivare a capire che a volte le gioie più grandi ci arrivano per mano dei mostri peggiori.
(dal risvolto di copertina di: J. M. Miro, "Oscuri talenti". Bompiani, pagg. 752, € 22)
L’età vittoriana degli X-Men
- Un nuovo, talentuoso e misterioso autore, J. M. Miro, ci cattura con un’opera che mescola mondi e suggestioni. E che ci ricorda come questo genere sia necessariamente intessuto di oscurità -
di Licia Troisi
Ci siamo passati tutti, soprattutto da adolescenti: ci siamo sentiti diversi, che fosse per il nostro corpo che non ci piaceva, o per i gusti e le passioni differenti da quelli di tutti gli altri. Abbiamo pensato fosse impossibile essere amati, magari ci siamo isolati. Ci siamo sentiti dei mostri. Un soggetto brillantemente incarnato dagli X-Men di Stan Lee e Jack Kirby, a loro volta ispirati alla Doom Patrol della rivale Dc Comics. Ora, questo tema viene declinato in una nuova chiave, efficace e originale, da J. M. Miro, pseudonimo un po’ misterioso di un autore che «vive e scrive nella regione del Pacifico nord-occidentale», come recitano le scarne note biografiche. Oscuri talenti — Ordinary Monsters, come recita il titolo originale, che alla tematica del mostro, quindi, allude ancora più esplicitamente — aggiunge al topos una scrittura preziosa e al tempo stesso chirurgica, un’irresistibile ambientazione vittoriana, che pur spazia tra luoghi lontani — dal Nuovo Mondo, al Giappone, alla brumosa Scozia — e una capacità di sconvolgere continuamente le certezze dei suoi giovani e tormentati protagonisti, e quelle del lettore di conseguenza. Perché se gli X-Men avevano almeno dalla loro la solida saggezza e la cristallina bontà di Charles Xavier, per Charlie, Marlowe e Komako le cose non saranno altrettanto semplici.
Fin dalle prime pagine, facciamo conoscenza coi nostri protagonisti: ognuno di loro ha un potere speciale, ognuno di loro vive il proprio talento come una condanna, ognuno è stato rifiutato dalla società, e ha dovuto arrangiarsi, da solo, o con l’aiuto di radi amici o pietosi protettori. C’è Marlowe, otto anni, che può diventare luminoso, e la cui luce può al tempo stesso curare o ferire. C’è Charlie Ovid, sedici anni, che può guarire da qualsiasi ferita, persino quelle mortali, ed è prigioniero del sud razzista degli Usa. C’è Komako, che fa danzare la polvere. A cercarli, Alice Quicke, ruvida detective privata, e Frank Coulton, entrambi in missione per il misterioso Cairndale Institute, che cerca talenti come i loro per educarli e aiutarli a usare i loro poteri. Ma nulla è come sembra, e tra allievi che hanno scelto la via del male, creature millenarie e ambigui mentori, i ragazzi dovranno imparare a fidarsi solo di se stessi, in un mondo oscuro e sempre pronto a divorarli. C’è una stretta corrispondenza tra l’ambientazione ottocentesca, con le sue brume, certo, ma anche le sue brutture, le sue regole spietate, e il destino dei ragazzi. Non sono soltanto i loro poteri a renderli dei reietti: è la società stessa a non essere a loro misura, poteri sovrannaturali o meno. L’Inghilterra vittoriana non è posto per bambini, con la sua industrializzazione selvaggia, il lavoro minorile e lo sfruttamento dei più piccoli, figurarsi per un trovatello come Marlowe. Così, Charlie, ragazzo di colore, non può trovare posto nel Mississippi della schiavitù. La metafora diventa così limpida: non si nasce mostri, è la società che ci fa diventare tali, quando non riesce ad accettarci, quando tutto quel che fa è cercare di sfruttare noi e i nostri corpi. Una lezione spietata, così come crudamente spietato è tutto il mondo costruito da Miro: come nella miglior tradizione della fiaba, prima che Walt Disney le edulcorasse tutte, il fantastico non può che accompagnarsi a una giusta dose di orrore e mistero.
Così il potere si associa sempre alla sofferenza — Marlowe può involontariamente far del male a chi lo ama, Charlie spesso si ferisce di proposito per salvare sé e i propri amici — e nessuna delle creature — numerosissime — presenti è esente da un giusto grado di ambiguità. E, del resto, anche tutti gli adulti che popolano il libro, e che dovrebbero proteggere i ragazzi, nascondono ciascuno ombre e passati oscuri. Ne emerge un ritratto tridimensionale, in cui ogni cosa appare stratificata; il libro presto appare come un caleidoscopio in cui perdersi, un abisso in cui ogni strato di lettura ne nasconde ulteriori altri, e in cui affondare è piacevolissimo. Perché, in tutto questo, la storia corre come un fuso, cosa non affatto banale, date le più di seicento pagine attraverso le quali si dipana. Ma l’azione è così serrata, l’ambientazione così curata e sfaccettata, i colpi di scena così tanti e così ben misurati, che il racconto corre via come niente. Ne emerge un quadro spietato e affascinante, un mondo oscuro di che il lettore percepisce di aver indagato solo una piccola parte. E infatti il finale, sebbene tiri perfettamente le fila della vicenda narrata, è aperto verso un auspicato sequel. Insomma, Oscuri talenti aggiunge un nuovo e interessante tassello al mondo sempre più variegato della narrativa fantastica, e lo fa con un preziosismo stilistico e una minuziosa costruzione del mondo che non potranno non appassionare tanto i patiti del genere che i neofiti decisi ad avvicinarlo per la prima volta.
- Licia Troisi - Pubblicato su Robinson del 15/10/2022 -
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