Per comprendere il linguaggio abbiamo bisogno di una mente. Ma anche la mente è misteriosa: cos’è, infatti, la mente? Mente e cervello sono la stessa cosa o due cose distinte? Come fa uno stato mentale a rappresentare oggetti ed eventi del mondo? E cos’è la coscienza? Non esistono risposte definitive a questi interrogativi, ma la filosofia del linguaggio e la filosofia della mente hanno fatto importanti progressi nel cercare di chiarire queste domande e offrire soluzioni. In questo volume sono presentate in modo introduttivo le risposte che la filosofia ha proposto, dando gli strumenti per poterle soppesare e valutare.
(dal risvolto di copertina di: "Primo libro di filosofia del linguaggio e della mente", A cura di Elisa Paganini. Einaudi, pagg. 272, € 23)
Il significato della combinazione delle parole
- di Carola Barbero -
In un film del 1959 di Vincent Sherman ispirato a un libro di Richard Powell di qualche anno prima, I segreti di Filadelfia, Tony (Paul Newman) chiede: «Allora Johnny, c’è qualche problema?» cui Johnny (Otto Kruger) prontamente ribatte «Io non ho problemi. Non sono un intellettuale».
Gli intellettuali in effetti hanno la fama di farsi problemi spesso inutili. Per non dire poi dei filosofi che della capacità d’interrogare hanno fatto una disciplina, forti dell’idea che l’unico modo per avanzare, nella conoscenza, sia continuare a porre domande – atteggiamento che spesso è stato descritto nei termini della parodia (basti ricordare Woody Allen quando si chiede «Possiamo noi realmente “conoscere” l’universo?» cui risponde «Dio mio, è già abbastanza difficile trovare la strada per uscire da Chinatown»). Al di là delle parodie, i filosofi hanno ragione: è importantissimo fare domande, perché solo così si può sperare di trovare qualche risposta. Lo si capisce leggendo questo Primo libro di filosofia del linguaggio e della mente, una bellissima «Mappa» del catalogo Einaudi a cura di Elisa Paganini. È un lavoro chiaro (addirittura avvincente, tanto è ben scritto) che tratta di due argomenti importanti, il linguaggio e la mente, dal punto di vista della filosofia analitica. Visti gli argomenti e il modo piano e accessibile in cui sono trattati (il libro è rivolto non soltanto a studiosi alle prime armi, ma anche a eventuali curiosi desiderosi di riflettere su questi temi), non ci sono dubbi che possa interessare davvero molte persone. D’altra parte siamo esseri pensanti dotati di linguaggio: usiamo stringhe di parole per descrivere fatti presenti o futuri, per condividere con altri sogni e paure, per fare promesse e ipotesi, per avanzare richieste e declinare inviti. Ragioniamo sulle parole che usiamo, siamo contenti quando ne impariamo di nuove ed elaboriamo enunciati più o meno complessi sui quali spesso ci soffermiamo.
Che differenza c’è, per esempio, tra dire: «gli italiani sono andati a votare il 25 settembre», «Italiener gehen am 25 September zur Wahl» e «Icaliani frigono il 25 Trillio»? In tutti e tre i casi saremmo d’accordo nel dire che emettiamo dei suoni. Ma saremmo anche d’accordo nel dire che in tutti e tre i casi diciamo «qualcosa»? Detto altrimenti, che cosa vuol dire che solo due di quegli enunciati hanno significato? Che cos’è il significato? E poi, se siamo d’accordo che un nome come «Sergio Mattarella» ha come significato la persona che quel nome designa, proprio quell’individuo lì e non un altro, che cosa potremmo dire del nome «Sherlock Holmes» che invece sembra riferirsi a qualcuno che non esiste? E ancora, se un enunciato è vero o falso in base a come stanno le cose («fuori piove» è vero se e solo se fuori piove, falso altrimenti), come è possibile considerare veri enunciati poetici che invece sono letteralmente falsi, come ad esempio il famoso passo di Shakespeare «Juliet is the sun»? E perché il verso di Donne «No man is an island entire of itself», che è banalmente vero, dovrebbe essere interessante? Peraltro si tratta di enunciati che, prima ancora di sapere se siano veri o falsi, riusciamo a comprendere. E li comprendiamo anche se non li abbiamo mai sentiti prima. Come è possibile? Forse perché sappiamo combinare le parole all’interno degli enunciati e da lì ricaviamo il significato. Ma se per la comprensione fosse sufficiente saper manipolare dei simboli, ne dovremmo concludere che anche i programmi informatici possano capire e pensare? E se fosse così, allora la mente e la cognizione potrebbero essere caratterizzati in termini puramente sintattico-computazionali? Ma non è indispensabile anche una dimensione semantica? Poi, chiedersi che cos’è uno stato mentale è come chiedersi che cos’è un occhio? Uno stato mentale è sempre cosciente? E poi come si configura il rapporto mente-corpo? Che differenza c’è tra mente e cervello? Perché sarebbe ragionevole ritenere che ci siano conoscenze linguistiche innate?
Le domande sono tante (e, come diceva Saramago, alcune sono poste «per rendere più esplicita l’assenza di risposta»). Ma ciò che è importante, e che autrici e autori del volume sono riusciti a fare benissimo, è provare innanzitutto a esplicitare i problemi e le questioni che richiedono di essere affrontate. Ecco ciò che rende questo volume indubbiamente un «primo libro» per avvicinarsi a tali temi. Ma è un «primo libro» anche perché per la prima volta in un volume introduttivo sono trattate insieme la filosofia del linguaggio e quella della mente, finalmente vien da dire (perché tra linguaggio e pensiero c’è ben di più di una semplice vicinanza - come hanno dimostrato le ricerche di molti filosofi e come ricorda anche Nanni Moretti-Michele Apicella in Palombella rossa quando si arrabbia con la giornalista perché «chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste»).
- Carola Barbero - Pubblicato su Domenica del 23/10/2022 -
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