martedì 13 ottobre 2020

Debiti!!

Dopo l'arrivo dell'ultimo ospite non invitato, il Coronavirus , oggi ci troviamo ormai, come si suol dire «sommersi di debiti». E questo inoltre, a quanto pare, succede in un contesto dove il dibattito sembra pendere dalla parte di che ne invoca ancora di più, di debito. Ed ecco che la mail di Giordano, con allegato questo testo che pubblico volentieri, è quanto mai benvenuta perché interviene in una discussione  che - per quanto sopita a causa della preponderanza di cose che appaiono come più urgenti da discutere -  mantiene una sua enorme importanza, al fine di sapere di che cosa oggi stiamo parlando. Mi riferisco qui alla polemica postuma (a causa della precoce morte di Robert Kurz) tra "Denaro senza valore" di Kurz, per l'appunto, e "La grande svalorizzazione" di Ernst Lohoff e Norbert Trenkle, dove per la prima volta fanno capolino - sospinte da Lohoff come se fossero i "topi di Willard" - le cosiddette «merci di second'ordine»; che poi, sempre secondo Lofoff, sarebbero quei titoli, o "merci derivate" che «permettono all’impresa di capitalizzare il valore futuro non ancora realizzato». Insomma, una sorta di teoria monetaria del valore che in qualche modo può essere ancora in grado di «salvare il capitalismo», e simultaneamente «fare giustizia» invece della teoria di Kurz, il quale non avrebbe fatto altro che perpetuare una interpretazione erronea del capitale fittizio. Ed ecco che il credito di Lohoff viene ad assomigliare ad una sorta di gatto di Schoeringer, che, finché non apri la scatola, rimane allo stesso tempo vivo e morto, plusvalore reale e denaro senza valore, il tutto a seconda se quel capitale fittizio sia coperto o scoperto. Roba da ... apprendisti stregoni! Alla quale viene da rispondere citando Kurz: «Certo, fu la crisi economica mondiale a generare il keynesismo ma non fu il "modello di regolazione" politico del keynesismo a superare la crisi e a "politicizzare" il boom del dopoguerra, bensì la crescita, insita nel processo stesso della produzione di merce, che prese l’avvio ancora una volta, su di un livello di sviluppo superiore, in virtù della generalizzazione delle nuove produzioni di massa fordiste ad elevata intensità di lavoro. Allo stesso modo anche un nuovo modello di accumulazione "postfordista" dovrebbe discendere dai potenziali immanenti della produzione di merce, non da confuse determinazioni circa un mero rinnovamento della "regolazione", che presa di per sé sarebbe come un pesce fuor d’acqua.» È il Kurz di "Tutto sotto controllo sulla nave che affonda" scritto nel 1989. Il Kurz di qualche anno prima, anteriore al periodo in cui - come sottolinea Sivini: «Lohoff aveva condiviso le posizioni di Kurz prima di una rottura sul piano personale e di una contrapposizione sul piano teorico, che si prolunga nelle riviste Krisis e rispettivamente Exit!.» Potrebbe sembrare in qualche modo squallido, rimarcare come alla base di una disputa teorica su base economica non ci sia altro alla fine che qualche insopìto rancore personale, ma non è affatto così. È la vita. Ad essere squallida, rimane solo l'Economia ed i tentativi disperati di raffazzonarla in qualsiasi modo, per continuare che cosa, poi? Non credo di saperlo e neanche mi interessa!

f.s.

L’economia del debito e la Critica del valore
di Giordano Sivini

Marx non ha mai usato il termine di "capitale finanziario". Secondo David Harvey lo si può riferire al capitale produttivo di interesse [*1], ma questo accostamento è fuorviante. Il capitale produttivo di interesse è denaro che, per accrescersi, viene dato a credito al fine di generare interessi. Il capitale finanziario è invece costituito dall’insieme dei titoli che attestano il vincolo alla restituzione del credito aumentato degli interessi. I titoli sono, nel linguaggio di Marx, capitale fittizio, in quanto duplicato dei crediti che li hanno generati. Autonomizzati dal rapporto originario, sono merci che i creditori cedono a terzi per liberarsi dell’immobilizzo del denaro dato a credito per realizzare un guadagno ulteriore rispetto all’interesse. Nelle compravendite il cambiamento di prezzo produce infatti utili o perdite. Nel gergo finanziario gli interessi hanno la forma dei rendimenti e dei dividendi, gli utili e le perdite legati alle variazione di prezzo sono plusvalenze e minusvalenze.
L’autonomizzazione del movimento dei titoli nel circuito finanziario offusca il fatto che il rapporto creditizio ha origine e si conclude nel circuito produttivo. Qui opera il debitore, il quale, se utilizza produttivamente e con successo il credito, fa fronte al rimborso e agli interessi sottraendoli dal profitto che realizza. Altrimenti, se non va in bancarotta, per pagare deve liquidare parte del patrimonio dell’impresa. Questo è il principio intorno al quale - come vedremo - si articola il paradigma del capitalismo che vive di debito da quando la produzione di plusvalore è entrata in crisi.
Alcune importanti indicazioni che contribuiscono a definire questo paradigma si ritrovano in Marx. Non sono però molto presenti nelle elaborazioni che, richiamandosi a Marx, guardano al capitalismo in quanto prodotto dal movimento del capitale produttore di plusvalore. Il capitale fittizio, quando compare, occupa una posizione residuale.
Sono due i Marx [*2] che leggono in questo modo il capitalismo. Uno guarda all’antagonismo tra lavoro e capitale e alla lotta di classe; celebra il lavoro e combatte lo sfruttamento. L’altro fa riferimento ad un metaforico soggetto automatico che riproduce relazioni sociali dominate dal tempo di lavoro: una concezione irrazionale da combattere. Entrambi assumono a fondamento del capitalismo la produzione del plusvalore nell’intreccio con la sua circolazione, però considerata diversamente.
Il Marx che ha egemonizzato il movimento operaio si è mosso sul terreno della circolazione intestandosi da un lato i risultati conseguiti entro il sistema del plusvalore relativo, dall’altro i progressi dei lavoratori nel Socialismo reale. Quando su entrambi i fronti è risultato soccombente, i lavoratori si sono trovati a competere per l’accesso ai mezzi di sussistenza. I suoi apologeti hanno continuato a celebrare l’etica del lavoro perorando dallo Stato un’occupazione purchessia.
Per il Marx del soggetto automatico la circolazione è invece il terreno sul quale i capitali individuali competono per appropriarsi di plusvalore aumentando una produttività che sviluppa la contraddizione tra riduzione del tempo di lavoro e produzione di plusvalore. Questo Marx ha aggregato nella Critica del valore militanti che denunciano che il movimento operaio, seguendo l’altro Marx, «invece di criticare radicalmente, come irrazionale fine tautologico, la trasformazione di energia umana in denaro» [*3], è stato portatore di una concezione ontologica del lavoro come essenza dell’umanità, che «permea tutte le classi sociali e filtra o forma tutto il pensare e l’agire» [*4]. Hanno elaborato, nella teoria e nella prassi, una diversa analisi del capitalismo nella prospettiva della estinzione della riproduzione del plusvalore. Questa analisi però si arresta quando il denaro perde il legame con il valore e il capitale fittizio si estingue con lo scoppio di bolle finanziarie.
E’ opportuno cominciare questo articolo dal capitale fittizio recuperando le posizioni di Marx. Nella seconda parte è presentata sinteticamente l’analisi del capitalismo condivisa dalla Critica del valore. nella elaborazione di Robert Kurz, che ne è stato il principale esponente. La terza parte guarda ai limiti a cui questa analisi approda, e al tentativo maldestro di Ernst Lohoff di superarli considerando il capitale fittizio come capitale. La quarta parte si concentra sul paradigma del capitalismo del debito.

1. Marx e il capitale fittizio

L’interesse come sottrazione di plusvalore
Nel lavoro di Marx sul capitale produttivo di interesse è implicito che l’erogazione del credito al capitale produttivo di merce è foriero di una radicale loro divaricazione. Consente la produzione di plusvalore, ma le sottrae una sua parte. Si tratta di ΔD dell’espressione D+ΔD, che corrisponde all’interesse che consente al capitale produttivo di interesse di accrescersi. D+ΔD è ancora capitale se si ricongiunge al capitale produttivo di merce per contribuire all’accumulazione. Altrimenti entra nella disponibilità del capitale produttivo di interesse.
Così Marx, Capitale, Libro Terzo, capitolo 21: «Chi presta dà via il suo denaro come capitale; la somma di valore che egli cede a un altro è capitale e quindi rifluisce a lui. Il semplice riflusso verso di lui non sarebbe però riflusso, sotto forma di capitale, della somma di valore prestata, ma semplice restituzione di una somma di valore prestata. Per rifluire come capitale, la somma di valore anticipata deve non soltanto essersi conservata nel movimento, ma deve aver valorizzato se stessa, accresciuto la sua grandezza di valore, quindi deve ritornare con un plusvalore, come D + ΔD e questo ΔD è qui l’interesse o la parte del profitto medio che non rimane nelle mani del capitalista operante, ma tocca al capitalista monetario.»

Il capitale fittizio
Il capitale fittizio è costituito dai titoli che originano dal credito investito dal capitale produttivo di interesse per conseguire l’obiettivo ΔD. I titoli più rilevanti all’epoca di Marx sono le azioni e i titoli di Stato. Le azioni sono capitale fittizio in quanto rappresentazione del credito erogato ad una impresa, che non viene restituito ma frutta interessi, coperti da una parte del plusvalore realizzato proporzionale alla partecipazione del credito al capitale. I titoli di Stato sono capitale fittizio in quanto il rimborso e gli interessi non dipendono dalla valorizzazione, per la quale il credito generalmente non viene utilizzato. Le banconote senza copertura emesse dalla Banca centrale sono capitale fittizio e nel contempo funzionano come capitale denaro supplementare.
Così Marx, Capitale, Libro Terzo, capitoli 29 e 30: «La maggior parte del capitale del banchiere è quindi meramente fittizia ed è formata da titoli di credito (cambiali), titoli di Stato (che costituiscono capitale consumato), e azioni (buoni su entrate future). E qui si deve tenere presente che il valore monetario del capitale rappresentato da questi titoli che si trovano nelle casseforti dei banchieri, anche se sono buoni su entrate sicure (titoli statali) oppure titoli di proprietà su un capitale reale (azioni), è meramente fittizio e che esso viene determinato a prescindere dal valore del capitale reale che questi titoli, almeno parzialmente, rappresentano.» (29)
«Le azioni (…) rappresentano capitale effettivo, precisamente il capitale investito e operante in queste imprese (…). Ma questo capitale non ha una duplice esistenza, una volta di valore-capitale dei titoli di proprietà, delle azioni, un’altra di capitale effettivamente investito o da investire in queste imprese. Esso esiste unicamente sotto questa ultima forma e l’azione non è altro che un titolo di proprietà, pro rata (in proporzione) sul plusvalore che verrà realizzato da questo capitale.» (29)
«Il pagamento di 5 £ da parte dello Stato è solo un capitale immaginario, fittizio. Non solo la somma concessa in prestito allo Stato non esiste più. Essa non doveva mai essere spesa e investita come capitale, e solo qualora fosse stata investita come capitale avrebbe potuto convertirsi in un valore in grado di mantenersi da solo.» (29)
«Allorché la Banca emette biglietti che non hanno la copertura della riserva metallica che si trova nelle sue casseforti, essa crea segni di valore i quali rappresentano non solo mezzi di circolazione, ma anche capitale supplementare - seppure fittizio - corrispondente all'importo nominale di queste banconote senza copertura. E questo capitale supplementare le procura un profitto supplementare.» (30)

I titoli come duplicati e come merce
I titoli di debito sono duplicati del capitale effettivo. Attestano il diritto all’interesse e, tranne le azioni, al rimborso del debito alla scadenza. Non consentono però il ritiro del credito. Il capitale produttivo di interesse che nel circuito produttivo lo ha concesso si trova quindi immobilizzato, ma può superare questo vincolo vendendo i titoli che detiene. Infatti i titoli sono attestati di proprietà che possono passare da una mano ad un’altra, e in questo senso sono merci, il cui prezzo nella compravendita differisce dal valore nominale legato alle modalità di erogazione del credito. Così Marx, Capitale, Libro Terzo, capitoli 29 e 30: «I titoli diventano un duplicato cartaceo del capitale effettivo (...). Essi si trasformano in rappresentanti nominali di capitali inesistenti (…). Essi diventano forme di capitale produttivo d’interesse.»(30)
«Il  movimento autonomo del valore di questi titoli di proprietà, non soltanto dei valori di Stato, ma anche delle azioni, consolida l’apparenza che essi costituiscano un capitale reale accanto al capitale o al diritto sul capitale di cui essi sono eventualmente titolo giuridico. Essi si trasformano difatti in merci, il cui prezzo ha un movimento e un modo di fissarsi suoi propri. Il loro valore di mercato differisce dal loro valore nominale, indipendentemente dal cambiamento di valore del capitale effettivo (sebbene in legame col cambiamento della sua valorizzazione).» (29)

L’accumulazione monetaria e quella reale. L’inversione
L’accumulazione monetaria può svilupparsi in una "direzione molto diversa" dall’accumulazione reale, con un travaso da questa a quella. Se quella reale si interrompe il profitto nella forma di capitale monetario va ad alimentare l’offerta di credito del capitale produttivo di interesse. La "direzione molto diversa" si proietta fino all’inversione tra capitale produttivo di interesse e capitale produttivo di merce quando il saggio di interesse supera il saggio di profitto: una situazione che «si può prolungare per un certo tempo».
Così Marx, Capitale, Libro Terzo, capitoli 30 e 32: «Si potrebbe - e di ciò facciamo qui solo un rapido cenno - intendere per accumulazione del capitale monetario anche l’accumulazione della ricchezza in mano dei banchieri (…). Questi tali possiedono il capitale e i redditi sempre in forma di denaro o in forma di crediti su denaro. L’accumulazione del patrimonio di questa classe può svilupparsi di per se stessa in una direzione molto diversa da quella dell’accumulazione reale, dimostrando però in ogni caso che questa classe intasca una buona parte dell’accumulazione reale.» (30)
«Se l’industriale non può estendere immediatamente il suo processo di riproduzione, una parte del suo capitale monetario viene eliminato dalla circolazione come eccedente e si trasforma in capitale monetario da prestito.
» (32)
«Un saggio d’interesse elevato può essere pagato con un saggio di profitto elevato, ma con guadagno d’imprenditore decrescente. Esso può essere pagato — e ciò si verifica in parte in periodi di speculazione — non dal profitto, ma dallo stesso capitale altrui preso in prestito, situazione questa che si può prolungare per un certo tempo.» (32)

Il radicamento strutturale del capitale fittizio
Le citazioni da Marx servono a mettere le basi per una interpretazione del capitale fittizio diversa da quella prevalente nel marxismo. Il capitale è fittizio in quanto costituito da titoli privi di valore, che nel circuito finanziario sono merci ed hanno un prezzo. Essi hanno, tuttavia, un legame strutturale con il circuito produttivo, dove operano sia gli erogatori del credito che mirano ad accrescerlo con gli interessi, sia i debitori che lo utilizzano per realizzare plusvalore, con parte del quale restituiscono l’anticipazione e pagano gli interessi. Questi interessi sono valore sottratto al plusvalore.

2. La fine della società del plusvalore

La critica del valore
Denaro – Tempo di Lavoro – Valore – Merce - Più Denaro: è il processo che sottende all’accumulazione di capitale e forgia la società del plusvalore. Il capitale, in quanto sintesi di questo processo, è un “soggetto automatico”. Lo dice Marx in un breve passaggio del capitolo terzo del primo libro del Capitale: «Il valore passa continuamente da una forma all'altra, senza perdersi in questo movimento, e si trasforma così in un soggetto automatico.» [*5]. Contrapposto al capitale inteso dal marxismo tradizionale come antagonismo tra lavoro e capitale, «il soggetto automatico è una metafora paradossale per un rapporto sociale paradossale. Non è affatto un’esistenza separata che si trova al di fuori, da qualche parte, ma è la sfera d’influenza sociale che obbliga gli uomini a subordinare il proprio agire all’automatismo del denaro capitalizzato» [*6].
La storicità del soggetto automatico è definita da Marx nel Frammento sulle macchine: «Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro ad un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte di ricchezza» [*7]. L’esposizione di questa contraddizione tra riduzione del tempo di lavoro e la sua proprietà di produrre valore «è il lato più radicale ed innovatore del pensiero di Marx» [*8]. Prefigura l’estinzione del capitale come conseguenza della sostituzione del lavoro vivo con capitale costante per l’aumento incessante della produttività, determinato dalla concorrenza tra i capitali individuali.
La storicità del capitale emerge con chiarezza dalla terza rivoluzione industriale della microelettronica e dell’informatica, quando, con la diffusione di tecnologie che innovano i processi molto più che i prodotti, il capitale costante riduce irreversibilmente il contributo del lavoro vivo, e la saturazione del mercato impedisce l’espansione ulteriore del plusvalore.

L’esaurimento del plusvalore
Il soggetto automatico è stretto nella contraddizione tra la crescita della produttività e la contrazione della produzione di plusvalore causata dalla sostituzione di lavoro vivo con capitale costante. E’ la competizione tra i capitali individuali a stimolare questo processo. Nella produzione di una merce ciascuno concorre a determinare il plusvalore complessivo con un apporto di tempo di lavoro inverso rispetto alla produttività. Così anche se diminuisce il valore per unità di prodotto, aumenta la quantità, e nella circolazione può appropriarsi di una parte del plusvalore tanto maggiore quanto più alto è lo scostamento della sua produttività da quella media.
«Se lo sviluppo delle forze produttive, forzato dalla concorrenza, rende superfluo il lavoro ed attacca in questo modo la sostanza del capitale, allora è chiaro che il livello incessantemente sempre più elevato delle forze produttive porta la crisi a dimensioni sempre più considerevoli» [*9]. Tuttavia, questa tendenziale diminuzione di lavoro vivo può essere bilanciata da un aumento della scala della produzione, e questo è effettivamente avvenuto nel fordismo. Con la terza rivoluzione industriale della microelettronica la compensazione non è più possibile perché sono le tecnologie di processo e non di prodotto a determinare la produzione. Questo rende irreversibile la diminuzione del lavoro vivo, nonostante l’allargamento del mercato oltre le barriere nazionali.
La produzione di plusvalore trova limiti anche in due processi esterni al capitale ma da esso determinati: l’espansione del capitale produttivo di interesse e, rispettivamente, del lavoro improduttivo.
Il capitale produttivo di interesse offre credito al capitale produttivo di merce per acquistare mezzi di produzione e forza lavoro. Il suo intervento è essenziale quando il profitto non è sufficiente per aumentare la composizione organica del capitale, per ampliare la scala della produzione, per superare una crisi contingente. Con il plusvalore realizzato si rimborsa il debito e si pagano gli interessi. A differenza di questo credito alla produzione, il credito al consumo conta, per gli interessi e per il rimborso, sul valore derivante da un reddito futuro. Quando il ricorso al capitale produttivo di interesse diventa sistematico «il reale movimento di accumulazione viene a dipendere indirettamente dai risparmi concentrati della società (…) e accelera il processo di scollamento del denaro dalla base produttiva di capitale» [*10].
Il lavoro improduttivo si sviluppa invece per sostenere l’espansione del capitale con infrastrutture fisiche e sociali; come conseguenza dell’espulsione dai processi produttivi delle attività che non producono plusvalore e che vanno a allargare il settore dei servizi; come mancata realizzazione del plusvalore. Con le merci che consuma, il lavoro improduttivo contribuisce alla realizzazione del plusvalore, ma non alla sua riproduzione, in quanto queste merci non concorrono alla ricostituzione di una forza lavoro e di mezzi di produzione creatori di nuovo plusvalore. Perciò i costi delle attività basate sul lavoro improduttivo devono essere coperti da plusvalore che non producono, o, in mancanza, da capitale fittizio a cui provvede lo Stato con titoli del Tesoro. La loro emissione «si è fatta tanto massiccia da soffocare la creazione di valore, provocando un paradossale rovesciamento del rapporto tra Stato e società» [*11].
Con la contrazione della valorizzazione la riproduzione sociale dipende sempre più dal capitale produttivo di interesse che anticipa credito alle imprese, alle famiglie e agli Stati. Ma sempre più il debito non viene rimborsato, perché l’impresa realizza un profitto inferiore al debito da rimborsare; il lavoratore salariato si ritrova disoccupato; lo Stato si indebita al di là delle risorse fiscali. Il debito deve essere coperto da nuovo debito, scrive Kurz. Così che «il sistema finanziario spinge davanti a sé una montagna in crescita incessante di denaro creditizio "privo di sostanza", che viene trattato "come se" passasse per un reale processo di valorizzazione (…). La catena fittizia di prolungamenti alla fine non può che spezzarsi» [*12].
«Una economia interconnessa alla bolla finanziaria» [*13] è il terreno in cui l’agonia del soggetto automatico si esprime in forme prive di valore. «Le categorie che le hanno plasmate persistono nella coscienza generale che ha interiorizzato le condizioni di esistenza capitalistiche e che non può (né vuole) immaginarsi altro che vivere entro queste norme» [*14].
Il neoliberismo ha cercato di alimentare una crescita basata sull’espansione illimitata del credito e dell’indebitamento, ma nel momento dello scoppio delle bolle finanziarie ha dovuto riabilitare lo Stato per salvare il sistema finanziario, spostando la crisi dai mercati finanziari alle finanze pubbliche. Lo Stato tuttavia ha una capacità limitata sia nell’aumentare le imposte sia nel concorrere con imprese e famiglie per ottenere credito. Gli resta la possibilità di muoversi sull’orizzonte della creazione di denaro senza valore chiedendo alle banche centrali di emetterlo dal nulla, alimentando quella che secondo Kurz sarà la più grande bolla finanziaria di tutti i tempi.

3. I limiti di Kurz e un tentativo di rivitalizzare il capitale fittizio

Kurz e il capitale fittizio
Kurz esplicita i limiti storici del capitale, soggetto automatico agito contraddittoriamente dall’aumento della produttività del lavoro e stretto nella morsa della crescita del lavoro improduttivo e del capitale produttivo di interesse. Quando viene colpito irreversibilmente dalla terza rivoluzione industriale la morsa agisce sul vuoto del capitale fittizio.
Per Kurz il capitale fittizio non è costituito da titoli di debito. Viene a formarsi con lo scollamento del capitale produttivo di interesse dal capitale produttivo di merce, quando non c’è plusvalore per rimborsare e remunerare il credito, ed è necessario far fronte al debito con nuovo debito. «L’apparente movimento diretto D – D’ diventa "fittizio" in senso stretto solo quando il fallimento del processo sostanziale di valorizzazione viene compensato pagando i crediti diventati inesigibili con nuovi crediti. Questo caso si dà oggi su grande scala, non solo per i crediti al Terzo mondo, ma anche per una massa globale di crediti alle imprese e al consumo» [*15].
Kurz generalizza ciò che avviene con il debito degli Stati, estendendolo a imprese e famiglie. Gli Stati rinnovano alla scadenza i debiti rimborsando i titoli del Tesoro ed emettendone altri per far fronte al debito aumentato dagli interessi. Lo possono fare perché manovrano un capitale fittizio, privo di ancoramento diretto alla produzione di plusvalore. Non avviene lo stesso con i crediti alle imprese e alle famiglie. Il credito all’impresa è finalizzato a produrre e realizzare plusvalore, che in parte serve per rimborsare il credito e a pagare gli interessi. Se il plusvalore non viene realizzato, la scadenza del credito può essere spostata in avanti negoziando l’emissione di nuovi titoli, ma, alla fin fine, se non va in bancarotta, l’impresa deve far fronte al debito, alienando il patrimonio, così da trasformare in denaro il valore già in esso incorporato. Anche le famiglie, quando viene meno la produzione di reddito, per coprire il debito devono intaccare il proprio patrimonio.
In conclusione, quando il capitale produttivo di merce esaurisce la produzione di plusvalore, il capitale produttivo di interesse consegue l’obiettivo della sua crescita appropriandosi di ricchezza sociale già esistente. Questo è il nocciolo del paradigma del debito. Sarà meglio compreso allargando l’analisi dal circuito produttivo, terreno esclusivo dell’analisi di Kurz, al circuito finanziario dove il capitale fittizio, come scrive Marx, è costituito da titoli che rappresentano la duplicazione del denaro dato a credito.
Sulla duplicazione si basa Ernst Lohoff per sostenere che il capitale si riproduce per mezzo dei titoli nel capitalismo del debito, segnato dall’inversione tra capitale produttivo di merce e capitale produttivo di interesse, e dalla supremazia di quest’ultimo [*16]. Lohoff aveva condiviso le posizioni di Kurz prima di una rottura sul piano personale e di una contrapposizione sul piano teorico, che si prolunga nelle riviste Krisis e rispettivamente Exit!.

Il tentativo di rivitalizzare il capitale fittizio
Lohoff spiega di essere stato indotto a riprendere la tematica del soggetto automatico dalla convinzione che la sopravvivenza del capitalismo alla crisi della valorizzazione dovesse essere attribuita alla capacità della sfera finanziaria «di produrre, in qualche modo, una forma peculiare di moltiplicazione del capitale che permette di sostituire, transitoriamente, l’accumulazione di plusvalore» [*17]. Rileggendo a suo modo il terzo libro del Capitale, ha costruito una tesi fondata sulla categoria della duplicazione del denaro, trascurata da Kurz.
Marx afferma che in una relazione di credito «la stessa somma di denaro esiste doppiamente come capitale per due persone». Per ottenere un credito il debitore sottoscrive un titolo con l’implicita promessa di realizzare un guadagno con una parte del quale rimborsare il credito e pagare gli interessi. Lohoff considera i titoli "merci derivate" o "merci di ordine 2" «che permettono all’impresa di capitalizzare il valore futuro non ancora realizzato» [*18]. In questo modo, sostiene, «il capitale iniziale ora esiste non solo raddoppiato, ma raddoppiato all’interno dell‘economia capitalista» [*19]. Ne segue che «la reale accumulazione di valore nella produzione di beni non è l'unica fonte concepibile che può alimentare l'accumulazione sociale totale del capitale» [*20]. Anzi - è la conclusione - quando la crescita del capitale è diventata una variabile subordinata alla crescita del capitale fittizio, «l’accumulazione capitalistica globale supera l’accumulazione coperta da una precedente valorizzazione» [*21]. Questo caratterizza la fase del "capitalismo invertito".
Avendo contraddetto l'assunto teorico che il capitale non può essere altro che sostanza di valore, Lohoff è soggetto ad aspre critiche, in particolare di Thomas Meyer che si richiama a Kurz [*22]. La controversia riguarda i fondamenti teorici della critica del valore, paradossalmente senza che sia verificata la consistenza teorica ed empirica della tesi di Lohoff [*23], che attribuisce al capitale fittizio virtù che non troverebbero posto neppure tra le credenze estreme del neoliberismo.
Marx afferma che la duplicazione «consolida l’apparenza che essi (i titoli) costituiscono un capitale reale accanto al capitale o al diritto sul capitale di cui essi sono eventualmente titolo giuridico», ma di apparenza si tratta. Le merci di ordine 2 nel loro movimento trasferiscono da una mano all’altra il diritto al rimborso del credito aumentato dell’interesse. Sono e restano capitale fittizio che nel passaggio di mano trasferiscono capitale fittizio come plusvalenze o minusvalenze. La duplicazione non somma il dare con l’avere, come sostiene Lohoff, ma riflette la separazione del credito dal debito, del dare dall’avere. «Il profitto - ancora Marx - non viene raddoppiato per la doppia esistenza della medesima somma di denaro, come capitale per due persone. Esso può operare come capitale per ambedue soltanto mediante la ripartizione del profitto. La parte che tocca al prestatore si chiama interesse».

4. Il paradigma dell’economia del debito

La metamorfosi dell’interesse
La problematica relativa al capitale fittizio va affrontata, diversamente dagli approcci finora esaminati, concentrandosi sull’interesse che il capitale produttivo di interesse consegue anticipando credito al capitale produttivo di merce.
Due soggetti, il capitale produttivo di interesse e il capitale produttivo di merce, si riproducono incontrandosi. Il primo si accresce offrendo credito in cambio del rimborso e dell’interesse, il secondo si serve del credito per acquistare i mezzi che gli consentono di accrescersi attraverso la produzione e la vendita della merce, e di rimborsare il debito pagando gli interessi. I loro orizzonti sono espressi dalle relazioni D-D’ e rispettivamente D-M-D’, che evidenziano il diverso modo in cui il denaro si accresce, e la dipendenza dell’incremento D-D’ dall’incremento D-M-D’. Marx scrive che «ΔD è qui l’interesse o la parte del profitto medio che non rimane nelle mani del capitalista operante, ma tocca al capitalista monetario».
Il valore ΔD sottratto al plusvalore subisce una metamorfosi, passando dalla sfera DM-D’, che produce ricchezza privata socialmente fruibile, a quella D-D’, della ricchezza monetaria privata senza valore sociale.
Il bisogno di credito si accresce con lo sviluppo competitivo della produttività che richiede sempre più capitale costante, e con l’espansione della scala della produzione, che - secondo la tesi di Kurz – sviluppa il lavoro improduttivo i cui costi sono sostenuti dallo Stato. Quando l’accumulazione rallenta e il credito pubblico si risolve in inflazione, il profitto fluisce dal circuito produttivo verso il capitale produttivo di interesse per erogare crediti e fare utili in settori e luoghi diversi da quelli in crisi.

L’interesse come espropriazione
L’inversione della relazione tra capitale produttivo di merce e capitale produttivo di interesse segna il passaggio all’economia del debito. Il credito condiziona definitivamente la valorizzazione. Nel calcolo del saggio di profitto i costi del credito diventati strutturali vanno rapportati al plusvalore assieme a quelli del capitale costante e del capitale variabile. Il saggio si abbassa, e i capitali individuali devono aumentare la produttività e, con essa, il credito. Sempre più spesso aumentano gli utili con plusvalenze su titoli altrui, partecipando a quello che Minsky definisce money manager capitalism.
La sopravvivenza competitiva è riservata a quei capitali che realizzano utili che superano la soglia necessaria a far fronte agli interessi sul debito. Gli altri, tuttavia, possono restare in piedi finché dispongono di risorse patrimoniali per rimborsarli. In questa situazione il credito e il titolo che lo rappresenta non riflette più le aspettative di plusvalore futuro.
Metà delle grandi imprese che operano nel mondo non realizzano profitti economici, ma riescono a saldare il debito [*24]. Altre ricadono nella categoria delle imprese zombie, che stanno sul mercato senza essere in grado di rimborsarlo, costrette dai creditori a rinnovare il credito cedendo come interessi parte del valore già incorporato nel loro patrimonio, in un processo che le porta all’estinzione. Altre ancora per far fronte ai crediti «possono estendere la loro agonia, comprimendo il valore della forza lavoro al di sotto della sussistenza» [*25].
Il capitale fittizio si incunea nello stesso processo di valorizzazione. Nella fase espansiva del plusvalore la riproduzione del lavoratore vi entrava come salario e come salario differito, a copertura dei costi del lavoratore e della sua famiglia. Nell’economia del debito l’unità familiare non c’è più. E’ stata travolta dallo stesso sviluppo materiale del fordismo, che al suo apogeo ha fatto saltare il disciplinamento sociale disarticolandola nei suoi componenti e facendo emergere una molteplicità di interessi individuali, puntualmente aggrediti dall’abbassamento del livello di sussistenza e dall’offerta pressante di credito.
L’indebitamento prende il posto di quello che nel fordismo era il risparmio canalizzato nel sistema bancario come eccedenza rispetto al rapporto tra redditi e consumi. Supplisce all’abbassamento dei redditi, alla precarietà dell’occupazione, al venir meno dei servizi pubblici e del welfare, all’aumento dei costi per la casa, per i figli, per l’istruzione, per la salute, per i trasporti, per i beni di consumo, per la vecchiaia. Le carte di credito sono così molecolarmente diffuse che i rapporti sociali di merce sono mediati dalla coazione al pagamento di interessi occulti. La normalità del debito ha una copertura ideologica straordinariamente efficace. «La magia della finanza sta nell’abilità di dare prendendo» [*26], poiché, anche se questa connessione è imposta, «il prodotto finanziario – un vitalizio, una pensione, un mutuo o un contratto assicurativo – connettono dal punto di vista dell’individuo costi attuali con benefici futuri» [*27].
Finché mantengono la fiducia del mercato i titoli sono considerati liquidi e diventano denaro, ricchezza monetaria, fonte di potere personale e sociale, che ancora si accresce offrendosi come credito e speculando sui titoli. «Mentre nel linguaggio comune "speculatore", o "speculazione" hanno varie connotazioni e implicano spesso giudizi sul piano morale, in economia "speculatore" e "speculazione" sono termini tecnici: chiunque abbia un portafoglio aperto è uno speculatore» [*28]. Le strategie speculative sovraespongono i titoli, quanto a prezzi e rischi, rispetto alle attività sottostanti, formando bolle speculative che periodicamente scoppiano. Le bolle sono escrescenze - che le banche centrali cercano di governare - di una economia del debito caratterizzata, attraverso gli interessi, dalla appropriazione privata del valore incorporato nella ricchezza sociale già prodotta, che accompagna la crisi della produzione del plusvalore.

- Giordano Sivini -

NOTE:

[*1]  -  « Dall’esame della massa di scritti non molto coerenti sul processo di circolazione di differenti tipi di capitale monetario, lo si può riferire al capitale produttivo di interesse». Harvey D., "Limits to capital", London, Verso, 2006 (1° ed. 1982), p. 287.
[*2]  -  Robert Kurz - "Il doppio Marx" - https://francosenia.blogspot.com/2014/01/marx-e-marx.html
[*3]  -  Gruppo Krisis, "Manifesto contro il lavoro", Roma, Derive e Approdi, 2003.
[*4]  -  Intervista di Sonia Montano a Robert Kurz: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/162-intervista-a-robert-kurz.html
[*5]  -  Marx K., "Il capitale, Libro primo", a cura di Cantimori D., Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 170-1
[*6]  -  Robert Kurz, ""Sanguinante e purulento da tutte le parti": https://francosenia.blogspot.com/2014/06/sangue-e-pus.html
[*7]  -  Marx K., "Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica", Firenze, Nuova Italia, vol. II, p. 401
[*8]  -  Anselm Jappe - Prefazione a "Geld ohne Wert", di Robert Kurz - https://francosenia.blogspot.com/2013/08/denaro-senza-valore.html
[*9]  -  Kurz R., "La vera barriera della produzione capitalista è il capitale stesso": https://francosenia.blogspot.com/2016/07/sarete-sempre-di-meno.html
[*10] -  Kurz R, "L’ascesa del denaro al cielo": https://francosenia.blogspot.com/2017/11/il-colore-dei-soldi.html
[*11] -  Idem.
[*12] -  Idem.
[*13] -  Kurz R., "La sostanza superflua", intervista di Galisi J. Filho: https://francosenia.blogspot.com/2015/07/ciascuno-e-la-sua-propria-prussia.html
[*14] -  Kurz R., "Vies et mort du capitalisme", Fécamp, Lignes, 2011, p. 139
[*15] -  Kurz R, "L’ascesa del denaro al cielo": https://francosenia.blogspot.com/2017/11/il-colore-dei-soldi.html
[*16] -  Lohoff E., Trenkle N., Die große Entwertung, Münster, Unrast, 2012: trad. francese La grande dévalorisation, Rotterdam, Post-Editions, 2014.
[*17] -  Lohoff E., "Due libri due punti di vista. Per una discussione su La grande svalorizzazione e Denaro senza valore" : https://francosenia.blogspot.com/2017/05/un-gioco-di-specchi.html
[*18] -  Lohoff E., Trenkle N., cit, p.162
[*19] -  Lohoff E., O caráter fetichista das mercadorias do mercado de capitais e o seu segredo, Krisis, 3 giugno 2018 (orig. ted. Krisis 1, 2014).
[*20] -  Idem.
[*21] -  Lohoff E., Trenkle N., p. 158
[*22] -  Meyer T., "La critica del valore come confezione ingannevole": https://francosenia.blogspot.com/2019/10/pacchi.html
[*23] -  Per una critica preliminare cfr. Sivini G., "Ernst Lohoff e la duplicazione della ricchezza": https://anatradivaucanson.it/dibattiti/ernst-lohoff-il-capitale-fittizio-e-la-duplicazione-della-ricchezza
[*24] -  Sivini G., "La centralizzazione del capitale e la caduta del saggio di profitto":  http://www.palermo-grad.com/la-centralizzazione-del-capitale-e-la-caduta-del-saggio-di-profitto.html
[*25] -  Starosta G.,"The Outsourcing of Manufacturing and the Rise of Giant Global Contractors", New Political Economy, 15, 4. 2010.
[*26] -  Martin R., "Financialization of daily life", Philadelphia, Temple University Press, 2002, p. 16.27
[*27] -  Blackburn R., "Finance and the fourth dimension", New Left Review, 39, 2006.
[*28] -  Biasco S., Arbitraggio Speculazione, Materiale didattico, Lezione 10, Roma, s. d., https://www. w3.uniroma1.it/

2 commenti:

Unknown ha detto...

Gentile Franco Buongiorno. Sarebbe bello se riuscissi a pubblicare un'articolo didattico su come e chi crea il denaro. Scusa e Grazie. Cordiali Saluti

BlackBlog francosenia ha detto...

Gentile Anonimo,
ti giro la risposta che Giordano mi ha voluto spedire per email:

« Caro Franco,
non sono le domande provocatorie ma è la risposta della Banca d'Italia che fa chiarezza: la moneta si crea per volontà politica.

https://youtu.be/7iq3drcHafg »

Spero che possa soddisfare la tua curiosità.

ciao