Funzionari, scienziati, intellettuali, manager... Chi sono gli esperti a cui abbiamo affidato la gestione delle nostre vite? Quando, come e perché ci siamo messi nelle loro mani? E cosa succede se i risultati del loro lavoro non sono all'altezza delle nostre aspettative?
Affidando le nostre vite agli esperti, ne siamo anche diventati dipendenti. È una storia lunga, la storia di come l'umanità ha ridotto l'incertezza del mondo delegandone la comprensione e l'amministrazione a un'élite di individui considerati «migliori». Il Novecento ha segnato il trionfo di questi operatori specializzati, mostrando la loro eccezionale capacità di assicurare decenni di sicurezza e sviluppo, finché qualcosa si è inceppato. Di fronte ai competenti si ergono oggi i loro nemici autoproclamati: chiamiamoli populisti, perché oppongono alla retorica della minoranza istruita quella del «popolo», ai radical chic un radical choc. La domanda che pongono è urgente e merita di essere presa sul serio: a cosa servono gli esperti se non garantiscono piú gli stessi rendimenti del passato? Come i cicli economici richiedono talvolta, per ripartire, la sostituzione drastica di un parco tecnologico obsoleto con macchine di ultima generazione, anche i cicli culturali hanno bisogno periodicamente di essere resettati e riavviati. Al prezzo, va sottolineato, di un rischio colossale: perché se in rari casi questa strategia di «distruzione creatrice» permette l'inizio di una rinnovata fase di crescita, piú spesso porta invece alla catastrofe. E se fosse giunta anche per noi la fine di un ciclo?
(dal risvolto di copertina di: "Radical choc: Ascesa e caduta dei competenti", di Raffaele Alberto Ventura. Einaudi.)
La competenza è un boomerang che parte radical chic e torna radical choc
- di Massimiliano Panarari -
Critica della ragion competente «nell’era Covid». Ovvero, in quell’ennesima età dell’ansia collettiva che ha tributato gli onori delle cronache (e consegnato le chiavi dei salotti dei talk show) ai competenti dell’epidemiologia e della virologia. La tecnica al potere ha trovato una delle sue culle precisamente in Italia, dove l’abdicazione alle proprie responsabilità da parte della classe politica rappresenta un fenomeno di lungo periodo che ha aperto le praterie ad altri soggetti (poiché. come noto, in natura e in politica il vuoto non rimane a lungo). E ad ampliare gli spazi per l'affermazione politica dei tecnici ci ha pensato soprattutto all'indomani del quasi regime-change di Tangentopoli, l'infinita transizione del nostro sistema politico-istituzionale e dell'offerta partitica.
Ad affrontare me suo nuovo libro il tema dell'«ascesa e caduta dei competenti» è un intellettuale già impostosi nel dibattito con una serie di provocazioni brillanti e intelligenti, e che continua a battere il ferro incandescente dell'intervento culturale sul tempo presente. Il saggista Raffaele Alberto Ventura (classe 1983) - analista del Groupe d'études géopolitiques e collaboratore di Esprit - si è occupato già, a suo modo, di quella «questione generazionale» che costituisce una delle fratture materiali e immateriali più significative dell'Italia dopo la metà degli anni Novanta (in Teoria della classe disagiata, uscito da Minimum Fax). E con questo volume conclude quella che si può ritenere una sorta di «trilogia del collasso», palesando anche una sintonia, sotto alcuni aspetti, coi filoni (molto francofoni) della disastrologia e della collassologia. In questo lo studioso si presenta quale entomologo di un'apocalisse postmoderna di sicuro non gaia, ma reputata come ineluttabile alla luce delle trasformazioni radicali vissute dall'Occidente ora sprofondato nella pandemia. Di fronte alla quale le nostre società hanno reagito in maniera ancora più accentuata all'insegna di una spinta verso la «tecnostruttura» quale strumento di riduzione e contenimento dell'incertezza, che nell'ultimo secolo e mezzo è andata di pari passo con la burocratizzazione del mondo (e la sua correlata «gabbia d'acciaio», come delineò con straordinaria lungimiranza Max Weber). Un pegno pagato dalla popolazione sempre (o quasi, e con pochissime eccezioni) di buon grado, perché nel percorso della modernizzazione la tecnostruttura si è efficacemente incaricata di garantire lo sviluppo economico insieme alla sicurezza. Un binomio indissolubile presente, di fatto, già nelle radici della teorizzazione dello Stato moderno, quel Leviatano di Thomas Hobbes, al cui proposito Ventura sfodera alcune suggestive comparazioni con i «mecha componibili», i robottoni (come Voltron) costituiti mediante l'assemblaggio di una serie di altri automi tipici di un sotto-filone di anime e cartoni animati giapponesi.
L'allegoria hobbesiana rappresenta una delle vette della metaforologia del meccanicismo che, fra corpi, macchine e orologi, si travasa nell'economia e nell'idea della divisione del lavoro, giungendo sino al taylorismo, dove si riannoda giustappunto con la concezione via via egemonica nel XX secolo della razionalità burocratica efficiente e con le dottrine della modernizzazione economica. Nel corso degli ultimi secolo avevano difatti proceduto strettamente in parallelo le tre potenze dello Stato, del capitalismo e della scienza, mentre intorno al Sessantotto aveva provato a resistere all'affermazione definitiva della razionalizzazione neocapitalistica un certo pensiero neomarxista, a cui era collegato pure il «neobarocco» situazionismo, intriso di malinconia «secentesca» e propugnatore di una sovversione a colpi di spettacolo rovesciato di segno.
La critica della competenza ha coinciso a lungo con un «affare interno» al mondo culturale (dalla sociologia della conoscenza al costruttivismo, sino alla decrescita). Di recente, alcuni di quegli stessi spunti sono infine confluiti all'interno di quell'anti-intellettualismo che identifica uno dei fondamenti del populismo, e contrappone - annota Ventura - la bandiera del radical choc ai radical chic. L'autore, che populista sicuramente non è, compie nondimeno una disamina durissima di quelle che considera le retoriche della meritocrazia. E questi anni, nei quali la premessa e le premesse della tecnostruttura sembrano non funzionare più, sono interpretabili, a ragion veduta, anche secondo la chiave dei «rendimenti decrescenti della competenza» illustrata dal libro. Supportando le sue analisi con varie iniezioni di cultura pop - da Fantozzi a Snowpiercer (un interessante film di fantascienza distopica del regista premio Oscar di Parasite, Bong Joon-ho) - Ventura arriva alla conclusione che «il meccanismo della competenza, per come è concepito oggi, è una fondamentale fonte di ineguaglianza e di fragilità sistemica». Troppo radical choc come esito, a nostro giudizio, col rischio - certo, involontario - di assecondare qualche fautore (ed esteta) del Grand Hotel Abisso. Ma questo suo volume, al pari dei precedenti, va letto tutto e meditato con attenzione, perché di cose interessanti - anche quando non ci sembrano condivisibili - ne dice veramente tante.
- Massimiliano Panarari - Pubblicato sulla Stampa del 12/9/2020 -
Nessun commento:
Posta un commento